2020-12-05
Dalla recita via social alle Camere umiliate. Le forzature di Conte gridano vendetta
La diretta Facebook del premier ha svilito l'Aula. È servita a creare fumo sul caso Paladino e a negare l'evidenza sul Mes.«Sono tantissime domande, grazie». Comincia così, con uno studiato moto di apparente stizza, la parte della conferenza stampa di giovedì dedicata alle domande dei cronisti ammessi a Palazzo Chigi.Giuseppe Conte è lo strano ingranaggio di un potere che è uscito dai gangli cui eravamo abituati. Ha dato corso legale a un'anomalia che la pandemia, con il suo stato d'eccezione incontestabile, sembra aver reso norma. In un anno e poco più, il trasformismo di un premier di un esecutivo di centrodestra passato a guidare un esecutivo di centrosinistra ha portato il governo (di quelli bravi, competenti, europeisti, sorto nell'estate 2019 dalle virtù della Repubblica parlamentare italiana dopo l'ira salviniana) a legittimare un esperimento che a molti pare sempre più agire al di fuori dei ranghi della Costituzione. La prima anomalia dell'altra sera è in una forma che si fa sostanza: la diretta via Facebook - ripresa a reti quasi unificate - si sovrappone cronologicamente e istituzionalmente al dibattito d'Aula, confinato a quisquilie irrilevanti mentre gli atti che sconvolgono la vita delle persone sono decisi e annunciati in altra sede. «Ma c'è il virus». Certo. Il che non impedisce, anche in ordinamenti più «governisti» del nostro (Francia, Inghilterra, eccetera) di passare dai voti degli eletti quando si tratta di chiudere negozi, limitare attività commerciali, restringere le libertà. È difficile non comprendere la rabbia di un Giancarlo Giorgetti - non il prototipo dello sfasciacarrozze «populista» - che smanaccia l'aria a fianco di una Giorgia Meloni furibonda: simboli di una opposizione ingabbiata alla Camera mentre i giochi si fanno fuori.Le forzature non finiscono qui. Conte, come detto, finge di stizzirsi per le «tantissime domande» e risponde, dando l'impressione di essere molto preparato a farlo, come prima cosa su un fatto sollevato da questo quotidiano, e non esattamente in tema con la conferenza stampa sul dcpm: il presunto uso improprio della scorta accorsa in auto della fidanzata. «Ho subito attacchi», spiega operando una spettacolare ellissi: perché si dà il caso che Giuseppe Conte sia indagato, e che il tribunale dei ministri sia chiamato a esprimersi sulla vicenda che tocca Olivia Paladino. Nel merito il premier usa il proscenio e ciurla nel manico, chiarisce che «la mia compagna non ha mai usato l'auto di scorta» (cosa mai sostenuta da nessuno), ammette che un «uomo della scorta è intervenuto» (ma altri testimoni ne avrebbero visti tre), soprattutto non dirada la nebbia istituzionale sorta dall'apparente incoerenza tra la prima versione del portavoce, Rocco Casalino , e il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese: il primo aveva fatto filtrare la presenza di una relazione di servizio sul caso, smentita in sede ufficiale dalla seconda. Ma tant'è: giovedì sera si bramava di sapere se a Natale si potesse vedere il padre e uscire di casa, non c'è stato spazio per altro.C'è una stortura più grave, però, e riguarda lo strumento scelto, nuovamente, per applicare restrizioni fortissime e contestate anche dalla maggioranza, nonché dalle Regioni: l'ormai famoso dpcm. Quando, non troppe settimane fa, è stato documentato un intervento diretto del Colle per limitare abusi (e forse anche per scongiurare eventuali responsabilità personali in caso di cause), la strada seguita era stata quella di parlamentarizzare il passaggio con un decreto legge, entro il cui perimetro aggiungere provvedimenti più capillari e tecnici. Intento rispettato in senso stretto, ma smentito nella realtà dei fatti, visto che il dl varato «con il favore delle tenebre» 24 ore prima ha una durata che rende più o meno inutile la conversione in Aula. Da qui la guerra, rumorosa ma probabilmente inutile, mossa dai 25 del Pd assieme a Italia viva che chiedono mobilità tra Comuni.E se l'incredibile minaccia di sottoporre milioni di cittadini a trattamenti sanitari obbligatori (i quali riguarderebbero i malati e non i sani, sarebbero disposti dai sindaci e non dai presidenti del Consiglio e comunque con mandato giudiziario e verdetto sanitario) non bastasse, a completare l'elenco delle aberrazioni arriva la menzogna sul Mes. Nel tentativo di depotenziare un passaggio che è cruciale, come testimoniano le traversie dei gruppi di M5s e Fi, Conte parlando del voto del 9 novembre, dice: «Verrò per spiegare quali sono i temi da affrontare al Consiglio europeo», «non si decide se usare il Mes». Bugia grave, perché sarà l'unico e ultimo voto in cui il premier non solo può ma deve assumere l'indirizzo del Parlamento su un Trattato internazionale con altri 18 Paesi, che avrà - a prescindere dall'eventuale utilizzo futuro del Mes - conseguenze immense. E una volta uscito dall'Aula con una formula ambigua, sarà comunque troppo tardi quando si passerà alla ratifica dopo la firma in sede Ue: è il classico metodo usato con il Fiscal compact, il bail in e molto altro. Tutti passaggi rivelatosi poi quanto meno poco meditati. Ma è una balla che passa, perché Di Maio ieri ha spiegato che «non si può votare contro Conte che va a chiedere di usare 209 miliardi», confondendo ancor di più le acque.Cosa genera queste forzature? Un regime? Un complotto internazionale? Come ha notato il politologo Lorenzo Castellani, Conte e i suoi paiono quasi involontari protagonisti di un immenso catalizzatore, la pandemia, che «annulla la “vecchia" rappresentanza e ci spinge verso istituzioni paternaliste e sempre più lontane, incontrollabili, dai cittadini. Il rischio che questo sistema finisca verso un dispotismo mite non è da sottovalutare». Messa così, fa quasi più paura.