2020-01-30
D’Alema, polpetta avvelenata al M5s
Sfruttando la tribuna strategica del Fatto, Baffino corteggia il Movimento per farne un satellite dei dem: «Per vincere abbiamo bisogno di loro, ma devono cambiare».Avvolgente come un boa constrictor, Massimo D'Alema è tornato. La preda attorno al cui collo l'ex presidente del Consiglio punta ad attorcigliarsi - per piegarla e soffocarla - è il Movimento 5 stelle, che D'Alema per un verso elogia e blandisce, e per altro verso annette al Pd come una specie di alleato minore. Sta qui il cuore dell'intervista del gran ritorno dalemiano, concessa al Fatto quotidiano, anche con l'obiettivo di rivolgersi direttamente a un'audience filo grillina. Il piano di D'Alema, che a questo punto non nasconde più il suo lavoro di regia descritto nelle scorse settimane dalla Verità, è fin troppo chiaro: il Pd, ormai depurato dalla presenza renziana, può tornare a essere quello che era il Pds, e, ai piedi di questa quercia, possono trovare collocazione alcuni cespugli, incluso un M5s che sarebbe ancora partito di maggioranza relativa in Parlamento, ma è in via di sparizione nel Paese. In un colloquio serrato e godibile con Fabrizio D'Esposito, che lo intervista, D'Alema appare - per ciò che dice in chiaro - carico di lusinghe verso i grillini («Il Pd non può far tutto da solo, per vincere ha bisogno dei 5s»), e mostra di volerli coinvolgere in un «nuovo scenario senza disperdere la carica innovativa che hanno saputo portare nel panorama politico italiano». A patto che si consegnino al suo disegno: «Dalla crisi possono uscire soltanto attraverso una coraggiosa operazione culturale e politica».E qui, secondo lo schema delle antiche relazioni dei segretari del Pci (mondo-Europa-Italia-partito), D'Alema la prende da lontano, dalla sua «convinzione che la distinzione destra-sinistra sia più che mai vitale» anche «come battaglia per un nuovo tipo di sviluppo ecosostenibile per una società più umana. Uno vede Trump e capisce cos'è la destra oggi nel mondo». Se ne deduce che Trump appaia disumano a D'Alema, che arriva a usare Greta contro l'inquilino della Casa Bianca: «È la destra che nega perfino l'esistenza del cambiamento climatico, che alimenta la paura, il nazionalismo, l'etnocentrismo, il razzismo». Quindi, o si è gretini, o si è del Ku Klux Klan, par di capire nel curioso bipolarismo dalemiano. Ma non divaghiamo. Se quello è il quadro della destra internazionale, Salvini ne è la proiezione italiana: «Io non penso che stia tornando il fascismo, né che la Lega sia fascista, ma in Salvini emergono tratti di una cultura e un comportamento neofascista». Bella prospettiva per Salvini: fascista no, ma neofascista sì. E infatti D'Alema non si ferma: «Ha introdotto una carica di violenza nella società italiana», e «questo è altro rispetto alla tradizione leghista». E così D'Alema pensa di spiegare al segretario leghista cosa sia stata la Lega, che a suo tempo definì - come si ricorderà - una «costola della sinistra».E i grillini? Devono accodarsi. E il Pd - cinicamente - potrà tenerli artificialmente vivi per aggiungere qualche voto al Sud: «C'è un pezzo di popolo, soprattutto nel Mezzogiorno, che ha trovato nei 5 stelle la risposta al suo disagio e alla sua volontà di cambiare. Se il Movimento cade, questa spinta rischia di spegnersi». Insomma, D'Alema prefigura per il M5s un destino da partito fiancheggiatore, una specie di partito dei contadini polacchi prima del 1989, costretto al ruolo di satellite del partito comunista. Chissà se coloro che nei 5 stelle si stanno battendo per salvaguardare la loro autonomia accetteranno questa annessione, resa ancora più umiliante dall'esaltazione dalemiana di Giuseppe Conte, con cui D'Alema mostra di avere sintonia e un filo diretto: «Conte mi sembra il più lucido, perché vede e sente questa prospettiva destra-sinistra». Dev'essere un omonimo del Conte che fino ad agosto governava con il «neofascista» Salvini. A completare il ritorno all'indietro delle lancette della storia, ci pensa un'altra intervista, quella rilasciata al Corriere della Sera da Dario Franceschini, che si lancia in una teoria dai tratti schizofrenici. Da un lato dice che «ci sarà un bipolarismo Lega-Pd», dall'altro che occorre andare «avanti con il proporzionale». Laddove, com'è noto, il proporzionale favorisce la frammentazione, e non certo la formazione di coalizioni compatte. Franceschini, invece, la mette così: «L'idea che il bipolarismo sia figlio del maggioritario e che il proporzionale sia il suo nemico, è smentito dalla storia italiana. Per 50 anni, con il proporzionale senza lo sbarramento, la vita politica è ruotata intorno al confronto bipolare tra Dc e Pci». Ricostruzione curiosa: che omette di ricordare la Guerra Fredda e il Muro di Berlino, e un quadro internazionale che precludeva un'alternanza. Senza dire della durata media dei governi: meno di un anno ciascuno, con crisi continue innescate dalla litigiosità e dal potere di ricatto di ciascun partito. È questo il modello a cui guardare per il futuro secondo Franceschini?