2021-10-28
Dal calcio ai dolci, tramonta l’era Campedelli
Dopo l'interruzione della favola Chievo, con l'esclusione dei gialloblù dai professionisti, arrivano i guai anche per il colosso Paluani. L'azienda ha chiesto il concordato per evitare il fallimento. Si chiude così l'anno nero del presidente che ha ereditato tutto dal padreIl primo segnale, nel Veronese, era stata la mancata chiamata degli stagionali per le feste di Natale. E ora, nel centenario della nascita, la Paluani rischia di ammainare bandiera ed è costretta a chiedere il concordato per fermare i creditori, banche su tutti. Si chiude così un anno nero per Luca Campedelli, che ha già visto la cancellazione del suo Chievo dai campionati professionistici di calcio. Prima il pallone che si sgonfia e poi i pandori che si afflosciano. Un declino davvero prematuro per un manager e imprenditore che a 23 anni fu il più giovane presidente di Serie A e a 53 anni appena compiuti rischia un brutale prepensionamento. La procedura invocata dalla Paluani di Dossobuono è il concordato, ovvero un modo per evitare il fallimento chiedendo la protezione del tribunale rispetto ai creditori, in cambio dell'elaborazione in tempi rapidi di un piano di rientro credibile e controllato dal giudice fallimentare. La richiesta della procedura concorsuale è stata presentata a Verona lunedì scorso e il tribunale l'ha accolta, nominando commissari giudiziari un avvocato, Matteo Creazzo, e un commercialista, Andrea Rossi. Spetterà a loro travestirsi anche da manager e presentare entro il 22 febbraio un piano industriale per il gruppo dolciario che nel 2021 dovrebbe avere un fatturato di appena 30 milioni di euro, contro i 56 milioni dell'era pre Covid. Che gli affari andassero male si era capito dalla mancata convocazione dei lavoratori stagionali per l'alta stagione di pandori e panettoni, una scelta che ha fatto presagire il peggio. Anche perché si trattava in massima parte di operai assai esperti e impiegati dal gruppo della famiglia Campedelli già da anni. La Paluani venne fondata nel 1921 e alla fine degli anni Sessanta aveva fatto il salto industriale con le famiglie Cordioli e Campedelli. Ora in molti danno la colpa al Covid, ma la pandemia cinese non ha messo egualmente in ginocchio altre aziende dolciarie, specialmente quelle che hanno saputo diversificare nei settori dei prodotti bio o dietetici, o che hanno aperto punti vendita diretti. Ma probabilmente l'indebitamento finanziario ha anche legato le mani a Campedelli, come si capisce scorrendo l'elenco dei principali creditori. Nella lista spiccano l'Inps e poi le banche, come Banco Bpm, Bper Banca, Carige, Crédit Agricole, Unicredit, Credito Valtellinese. I dipendenti a tempo indeterminato sono appena 75, ma gli stagionali sono mezzo migliaio. Con la richiesta del concordato, Campedelli mira a mettere in sicurezza la produzione di dolci per il Natale e la Pasqua, nella speranza poi di recuperare terreno in primavera. La favola Chievo, la squadra di un quartiere di Verona arrivata a giocare le coppe europee, a questo punto rischia davvero di andare in mille pezzi, diventando l'ennesima prova di quanto il calcio professionistico possa mettere a rischio le fortune dei presidenti, com'è avvenuto con la Parmalat di Calisto Tanzi (Parma calcio), La Bombril di Sergio Cragnotti (Lazio), L'Italpetroli della famiglia Sensi (Roma), la Giochi Preziosi di Enrico Preziosi (Genoa). In teoria, la Paluani vanterebbe pure un credito da 3,5 milioni nei confronti del Chievo e ha perfino prestato una fideiussione in favore del club calcistico per quasi 12 milioni. Sarà interessante vedere come valuteranno queste poste finanziarie i nuovi amministratori del tribunale. Il Chievo l'estate scorsa non è stato iscritto ai campionati, per via dei suoi 40 milioni di debiti, tra i quali 3 milioni con il Comune di Verona per canoni dello stadio non versati e una decina con il fisco. Campedelli, che ha fatto ricorso a Strasburgo, non l'ha presa bene e ad agosto ha lamentato che «tutto il calcio vive di debiti, ma paga solo il Chievo». Nel calcio, ha esordito nel 1992, diventando presidente per la morte del padre, commercialista. Campedelli junior ha saputo cavalcare bene per oltre un decennio la simpatia suscitata dal suo Chievo e da un allenatore come Gigi Delneri, stando in realtà sempre ben attento a schierarsi con i grandi club al momento delle scelte «politiche». Aria abbastanza compresa di sé, Campedelli non è mai stato molto popolare e neppure molto coraggioso, in un mondo decisamente bizzarro come quello del pallone, dove le leggi economiche sono tutte particolari e i giochetti sulle plusvalenze ancora dominano.Tra i giocatori simbolo del suo Chievo ci sono stati Eugenio Corini e, da ultimo, Sergio Pellissier. Il centravanti valdostano, amatissimo dalla tifoseria clivense, in estate ha fondato una nuova squadra, Fc Chievo 1929, ripartendo dalla Terza categoria, e ha avuto parole abbastanza dure nei confronti dell'ultima gestione Campedelli. Probabilmente, negli ultimi anni e non solo a causa della pandemia cinese, Campedelli aveva perso il tocco magico. Il 30 marzo 2020, in pieno lockdown, aveva tentato la carta dell'operazione simpatia con la donazione di 4.000 colombe pasquali al personale sanitario dei reparti di terapia intensiva di mezzo Nord. Aveva scritto anche una lettera aperta a medici e infermieri, per ringraziarli «dei sacrifici e delle difficoltà che state affrontando per noi». Ora i sacrifici toccano a dipendenti e creditori Paluani, nella speranza che il Natale riempia le casse della ditta e distragga per sempre l'ex golden boy dei presidenti dal mondo pallonaro. Un piccolo segnale di quanto sia stato sempre attento al «sistema» anche Campedelli, come Davide contro Golia, si trova scorrendo l'elenco dei legali ingaggiati per impugnare la mancata iscrizione del Chievo, dove spunta anche Bernardo Giorgio Mattarella, amministrativista e figlio del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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