2024-01-31
Dai nostri futuri legami con l’area l’occasione per svoltare sull’atomo
Gilberto Pichetto Fratin (Ansa)
Niger e Namibia sono tra i maggiori produttori di uranio. Approfittarne è possibile.Il vertice Italia-Africa, al di là di quello che è emerso nelle dichiarazioni ufficiali, apre prospettive interessanti su un tema particolarmente strategico per il nostro governo. La crisi energetica ha risvegliato l’interesse, a livello mondiale, per il nucleare e tra i maggiori produttori di uranio, il metallo fondamentale per questo tipo di energia, ci sono due Paesi africani, il Niger e la Namibia. Secondo le previsioni del Research and Market, la produzione globale di uranio dovrebbe raggiungere nel 2026 le 66.320 tonnellate, in crescita rispetto alle 55.690 del 2022. La World Nuclear Association riporta che i maggiori produttori di questo metallo sono il Kazakistan (45% dell’uranio mondiale pari a oltre 21.000 tonnellate), l’Australia (8%), il Canada (10%) il Niger (5%) e la Namibia (12%). La Russia detiene il 6% delle riserve globali, ma ha circa il 43% della capacità di arricchimento operativa su scala globale ed è quindi centrale nella catena del valore dell’uranio.Anche su questo metallo si sta combattendo una guerra geopolitica e qualora l’Italia volesse davvero riaprire la partita sul nucleare, non potrebbe fare a meno di fare i conti con i colli di bottiglia degli approvvigionamenti.Il rapporto dell’agenzia Ecofin Pro, dal titolo L’uranio africano verso la nuova età dell’oro: progetti e sfide, parla del rilancio di nuove miniere e di un grande afflusso di investitori nel continente. In Niger ci sono i progetti Dasa e Madaoulea che dovrebbero entrare in servizio nel 2025. Per il primo è coinvolta la filiale nigeriana della società canadese Global Atomic che punta a produrre 1.400 tonnellate di uranio entro il 2025, per il secondo sempre un’altra canadese, la GoviEx Uranium. Il Niger è presidiato dai francesi, in quanto ex colonia, con la Orano Corp., società costituita nel 2017 come filiale di Areva che fino al 2007 possedeva il totale delle azioni di tutte le miniere del Paese. La Francia importa circa i nove decimi delle 8.700 tonnellate di uranio arricchito per le centrali che servono al suo sistema nucleare. L’uranio rappresenta il 60-70% delle esportazioni della Nigeria. Nel 2023, la Namibia è diventato il terzo produttore mondiale e possiede quella che è considerata come la terza miniera di uranio più grande al mondo; è gestita dalla China National Uranium Corp (Cnuc), una sussidiaria della China National Nuclear Corp (Cnnc), e dal China General Nuclear Power Group (Cgnpg). Giacimenti sono localizzati anche in Mali, Zambia, Sudafrica. Quest’ultimo dispone di una riserva stimata attorno alle 113.000 tonnellate, pari al 5% del totale a livello planetario. In Malawi l’attività estrattiva è in fase di ripresa e sta calamitando l’interesse di investitori stranieri. In Botswana è presente l’australiana A-Cap Energy alla quale nel 2016 sono stati concessi per 22 anni i diritti minerari del sito di Letlhakane nel nordest del Paese. Da sottolineare che la maggioranza del pacchetto azionario della A-Cap è cinese. Giacimenti sono presenti anche in Algeria, Congo, Gabon, Guinea, Mauritania. In Africa sarebbero localizzate oltre il 20-23% delle riserve di uranio riconosciute del pianeta. Per l’Italia, uno sbocco in questo Continente, diventa fondamentale nell’ottica del rilancio del nucleare. Anche perché la produzione interna è problematica. Nel nostro Paese c’è solo una miniera d’uranio attivamente sfruttabile, il sito bergamasco di Novazza, in Val Seriana, a nord-est di Bergamo. È un piccolo giacimento scoperto mezzo secolo fa dall’Eni, ma chiuso dopo il referendum anti nucleare del 1987. Nel 2006 la società australiana Metex, fece domanda alla Regione Lombardia per ottenere la concessione all’estrazione ma le comunità locali insorsero.Non resta che spingere lo sguardo oltre confine, magari in Africa.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)