2020-10-04
Dai comizi virtuali al rinvio del voto. I quattro scenari per la campagna
Guarendo, il leader della destra galvanizzerebbe il suo elettorato. Un aggravamento renderebbe necessario un sostituto: Mike Pence o un ticket diverso, magari con Rudolph Giuliani candidato. Sarebbero esiziali i raduni solo online.Nemmeno lo sceneggiatore più fantasioso avrebbe potuto immaginare un finale più pirotecnico e imprevedibile per una campagna già del tutto anomala come le presidenziali Usa di questo 2020. Ma non è ancora il caso di vendere la pelle dell'orso, cioè di Donald Trump. Lo sceneggiatore potrebbe avere ancora qualche colpo di scena in serbo. Certo, una considerazione freddamente razionale tenderebbe a ridurre le chance di riconferma di Trump: già prima della notizia della sua positività, il suo punto debole era proprio - secondo l'opinione prevalente - una certa tendenza a sottovalutare la pandemia. Esserne rimasto vittima evidentemente non lo aiuta. Eppure, gli americani più lucidi respingono la spiegazione del «contrappasso», o del «karma», o della punizione divina. Semmai, ragionevolmente, capiscono che un uomo che deve governare un Paese e contemporaneamente conquistarsi la rielezione abbia incontrato centinaia di persone, alcune (o almeno una) delle quali poteva essere positiva ma asintomatica. Dunque, il contagio. Sorte capitata già al premier britannico Boris Johnson e al presidente brasiliano Jair Bolsonaro, e anche alla moglie del premier canadese Justin Trudeau. E pure Angela Merkel, celebratissima dai mainstream media, si è dovuta fare dodici giorni di isolamento per essere entrata in contatto con un portatore del virus. Solo chi è posseduto dalla faziosità vede la positività come una colpa da espiare: le persone normali sanno invece che può capitare anche essendo stati prudenti. E se è vero che Trump non è mai stato un supertifoso della mascherina, è pur vero che alla Casa Bianca vige un regime di test rigorosi e martellanti. E ora che succede? Si possono immaginare almeno quattro scenari. Cominciamo da quello più favorevole a Trump, quello che lo vedrebbe in versione supereroe. In questa ipotesi, il presidente potrebbe reagire bene alle terapie sperimentali e, tra 7-10 giorni, potrebbe essere in condizione di partecipare in qualche forma, il 15, al secondo dei tre dibattiti contro Joe Biden (che ne approfitta per proseguire in solitaria la campagna, ma rimuovendo i «manifesti negativi» contro l'avversario). Per Trump sarebbe un comeback da leggenda. Potrebbe dire di aver sconfitto il virus cinese, ma potrebbe soprattutto riscattare alla grande la sua teoria, quella secondo cui si possa convivere con il virus senza ammazzare l'economia. Se ce la fa in tempi rapidi un uomo di 74 anni con qualche problema di obesità, allora è davvero una buona notizia per tutti. Ci sarebbe non solo un effetto di galvanizzazione per i militanti trumpiani, ma anche un'ondata di ottimismo tipicamente americano che potrebbe - è il caso di dire - «contagiare» molti indecisi. Passiamo allo scenario opposto, il più cupo per Trump: quello di un pesante aggravamento della malattia. In questo caso - al di là della campagna elettorale - deve scattare la previsione del venticinquesimo emendamento, il trasferimento di poteri dal presidente al vice. Accadde dopo l'attentato a Jfk nel 1963, e, in epoca più recente, altre tre volte: nel 1985, in occasione di un intervento oncologico per Ronald Reagan, e altre due volte in occasione di colonscopie con anestesia subite da George W. Bush. Il destinatario dei poteri sarebbe il vicepresidente Mike Pence (negativo al test), scelto quattro anni fa per rassicurare la destra religiosa e la base più conservatrice del Gop. Tutto il mondo repubblicano punta su di lui per la grande notte di mercoledì 7 ottobre a Salt Lake City, nello Utah, quando è calendarizzato il dibattito tra i vice, lui e Kamala Harris. Più che mai, considerando la situazione di Trump e lo stato psicofisico generale non ottimale di Biden, tutti guarderanno quel duello come uno scontro tra potenziali presidenti e non tra numeri due.Restiamo nello scenario più negativo per Trump. Rimarrebbe lui il candidato o no? In teoria il suo partito potrebbe cambiare in corsa, anche con una convention volante (in questo caso per forza online e a distanza). Certo, quando manca meno di un mese al 3 novembre, parrebbe strana, nel caso, una scelta diversa da Pence (a cui andrebbe comunque affiancato un candidato vice). Anche se non si può escludere - almeno in linea teorica - uno spariglio clamoroso, tipo la scelta di un ticket del tutto nuovo, magari guidato da un uomo come Rudolph Giuliani (test negativo anche per lui), tra i primissimi del vecchio establishment repubblicano ad aver sposato la causa di Trump. In tutti questi casi, per chi avesse scelto di votare anticipatamente per posta, non sarebbe ovviamente possibile vedere scritto sulla scheda il nuovo nome: ma i voti per Trump sarebbero conteggiati per il nuovo candidato. Il terzo scenario è una insidiosa via di mezzo: quello di un Trump che non si aggrava in modo drammatico, ma resta fuori combattimento per tutto il resto della campagna. O, al massimo, riesce a presenziare a qualche rally virtuale, lontano dal suo popolo.Il quarto e ultimo scenario sarebbe il più cavalleresco, e cioè un grande accordo bipartisan per il rinvio del voto. Servirebbe secondo Costituzione l'intervento del Congresso: improbabile che accada, anche se, in un clima di reciproca scarsa legittimazione, questo sarebbe un modo di medicare alcune ferite e promuovere un clima diverso. Intanto, a Trump i consigli migliori sono arrivati dal Wsj: massima trasparenza sul decorso della malattia («il pubblico può accettare cattive notizie ma punirebbe gli inganni»), e - in caso di buona ripresa di salute - l'adozione di uno stile reaganiano, fatto di grazia e humour, e un passaggio da una campagna aggressiva a una centrata sui contenuti e sulle differenze programmatiche.