
Il sindaco di Milano si sfila e diventa green. Il neosegretario dovrà scansare gli agguati.Nello stesso giorno in cui entra di fatto in carica un nuovo papa dem, Enrico Letta, un cardinale meneghino che forse si immaginava (anche lui) pontefice, Beppe Sala, se ne va sbattendo la porta. Nel giorno del video messaggio di Enrico (che rivincita su Matteo Renzi e il suo #enricostaisereno), le stoccate di addio del sindaco di Milano non nascondono una nota di esplicita amarezza. Sala - infatti - annuncia in una intervista a La Repubblica la sua iscrizione ai gruppo dei Verdi europei e dice: «Da loro mi sento a casa» (come dire che al Nazareno non ci si sente). Subito dopo aggiunge: «Sono loro forza politica europea con cui mi identifico maggiormente dal punto di vista dei valori e dei contenuti». E il Partito democratico? Il sindaco riserva proprio alla parte politica a cui fino a ieri era considerato più vicino (ricordate i celebri aperitivi con Nicola Zingaretti?) la battuta più amara della sua esternazione: «Il Pd la scelta di dare troppo spazio, da troppi anni, alle correnti». Ecco la punta di veleno. Con due paradossi evidenti. Il primo: che fino a ieri Sala era considerato addirittura come un possibile leader di quel partito. E il secondo: quello di un sindaco che si iscrive a un gruppo parlamentare del parlamento europeo. Tuttavia, in queste ore di loockdown politico e sociale, la politica della sinistra è in vitro, mediatica, virtuale: niente dibattiti in sezione. E i paradossi più sfavillanti sono di sicuro quelli che si animano in casa dem. Basti pensare al modo in cui (nel suo primo messaggio da leader designato) Letta calca le parole sulla frase «Voglio la verità!». Sembra una parola d'ordine facile e dritta, ma nel partito di oggi già questa ricerca di senso e trasparenza potrebbe rivelarsi complicata. Qual è la prima reazione dei capi corrente (di cui Nicola Zingaretti, come sappiamo ha detto: «Mi vergogno di loro e della loro ricerca delle poltrone»)? Ma ovviamente quella di annunciare un voto unanime. I tre principali vessilliferi del «correntone saudita», ovvero gli ex renziani che hanno fatto la guerriglia all'ex segretario, infatti non nascondono la loro speranza nella «grazia di Stato», magari addirittura una simbolica amnistia di sapore «neodemocristiano». Come accadeva nei vecchi congressi della Balena bianca. Ma il problema è che Letta ha sempre detto di sé stesso di sentirsi un cattolico ex popolare (nel senso del Ppi) ma non ex democristiano. Non è un problema da poco se si pensa che il nuovo leader potrebbe con molta facilità ritrovarsi a gestire la formazione delle liste elettorali. E lo è ancor di più se si pensa che Luca Lotti, Andrea Marcucci e Lorenzo Guerini (tanto per fare e primi nomi dei tre dirigenti più critici e attivi contro Zingaretti) furono tra i protagonisti poi attivi della manovra che portò alla cacciata di Enrico Letta da Palazzo Chigi e alla sua sostituzione con l'uomo di Rignano. Il Letta di oggi è molto diverso da quello di allora, che entrava con il suo vecchio monovolume Ulysse a Palazzo Chigi da normale padre di famiglia e che al governo di era ritrovato a gestire una maggioranza a lui ostile, e la guerriglia sulla riforma della scuola di Renzi via twitter. Adesso Letta arriva invocato da tutti come un oracolo, dopo aver costruito una sua dimensione di immagine europea, fuori dalla politica, del tutto slegata dalle dinamiche di partito. Un nuovo Letta meno legnoso di quello giovane. Letta sa bene che fra i 101 che accoltellarono Prodi e Marini ci sono anche gli ex dalemiani di Matteo Orfini, con cui in passato aveva ottimi rapporti, e che poi divennero i più feroci alleati di Renzi contro di lui. Il tema che non sfugge a nessuno, però, è che tre ex leader del Pd sono oggi fuori dal partito (la tessera numero uno, Prodi, l'ex reggente, Guglielmo Epifani, e l'ex segretario, Pier Luigi Bersani) e anche il fondatore Walter Veltroni, oggi, si dedica più al giornalismo (e ai libri gialli) che alla politica. Per non parlare di Massimo D'Alema, che con Letta coltivò una relazione intensa, che si tradusse in un sostegno. Diventerà decisivo, dunque, capire se i primi passi di Letta riapriranno le porte agli ex renziani o ad Articolo 1, ad entrambi questi soggetti o a nessuno dei due. E ancora più decisivo sarà capire se Letta garantirà la continuità dell'alleanza giallorossa (come pare sia deciso nel patto fondativo di gestione stipulato con Zingaretti), o se dovesse - su questo terreno - cambiare linea. Infine, c'è la nota dolente, da cui non può prescindente: Veltroni fu disarcionato dal logoramento pur avendo dietro di sé una corrente strutturata e una candidatura da capo coalizione sulle spalle. Zingaretti si è dimesso malgrado avesse avuto una investitura da due milioni di voti e malgrado avesse recuperato quattro punti alle europee. Letta invece - e nessuno meglio di lui lo sa - diventa leader di un partito senza avere un suo gruppo dirigente strutturato, senza la forza propulsiva di un congresso. O riesce a dotarsi di questi strumenti di consenso al più presto. Oppure - finita la luna di miele dei Poltronator dorotei - rischia agguati ben peggiori di quelli riservati in questi anni ai suoi predecessori.
Giulia Buongiorno (Ansa)
La proposta è rimandata per supplementi di indagine. Giulia Bongiorno: «Scriverla bene».
«C’era un accordo politico importante, alla Camera c’è stato un voto unanime su questa legge, i massimi vertici dei gruppi parlamentari si erano stretti la mano e ciò ora significa che stringersi la mano con questa destra non vale niente perché all’ultimo momento si può tornare indietro, smentendo addirittura un voto unanime del parlamento. E hanno deciso di farlo proprio oggi, il 25 novembre (giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ndr)». È uscito dalla commissione Giustizia del Senato sbraitando che la destra ha stracciato l’accordo sul ddl stupro, il senatore di Italia viva Ivan Scalfarotto.
Nel riquadro la produttrice Giulia Maria Belluco (iStock)
La produttrice di «C14» Giulia Maria Belluco spiega: «Ci abbiamo messo cinque anni per scrivere la sceneggiatura. Le riprese saranno girate l’anno prossimo tra Veneto e Alto Adige». Si cercano ancora due attori internazionali...
Nasce in Veneto un film, C14, sulla Sacra Sindone, la più importante reliquia della cristianità, la cui storia è trapunta di dispute per verificarne scientificamente l’autenticità. Una nota ricerca britannica del 1988 con il radiocarbonio-14 la datò tra il 1260 e il 1390, negando che sia il sudario che ha avvolto il volto di Cristo. Analisi successive, tuttavia, hanno confutato tale risultato, come quelle del professor Giulio Fanti, dell’università di Padova, consulente della sceneggiatura, intervistato dalla Verità il 14 novembre 2024. La produttrice del film è Giulia Maria Belluco, 35 anni, nata a Treviso. Vive a Bassano del Grappa (Vicenza) ed è titolare della EriadorFilm. «L’ho acquisita nel 2023» spiega «con l’obiettivo di portarla sul mercato internazionale attraverso collaborazioni con Paramount, Discovery, Magnolia, Hallmark con le quali abbiamo fatto co-produzioni e produzioni esecutive qui in Italia. Una delle più viste è quella sulla famiglia Stallone, girata tra Puglia e Lazio».
Pier Paolo Pasolini (Getty Images)
Oggi il discusso evento sui lati conservatori del grande scrittore. La sinistra grida alla lesa maestà, eppure ha avallato per anni ricostruzioni farlocche sulla sua morte, al fine di portare avanti astruse piste politiche. E il vero vilipendio è proprio questo.
Il convegno su Pier Paolo Pasolini organizzato da Fondazione Alleanza Nazionale e dal Secolo d’Italia che si terrà oggi pomeriggio a Roma, il cui fine - come da titolo: «Pasolini conservatore» - è quello di dibattere (con il contributo di numerosi relatori tra cui il critico letterario Andrea Di Consoli, certamente non vicino alla destra politica) gli aspetti dell’opera e del pensiero pasoliniani che appaiono in conflitto con la sua area ideologica di appartenenza, quella comunista, è vissuto dalla sinistra italiana letteralmente come un sacrilegio. Nonostante dai curatori dell’evento sia già stato chiarito in tutte le maniere possibili che scopo del convegno è unicamente promuovere una discussione, senza nessuna volontà di «annettere» PPP - operazione che non avrebbe d’altronde senso alcuno - al pantheon culturale della destra, a sinistra si è addirittura giunti a gridare alla «profanazione», come fatto ieri, a botte di gramscianesimo mal digerito, dal professor Sergio Labate sul quotidiano Domani.
Gaia Zazzaretti prima e dopo il vaccino (iStock)
L’ex karateka Gaia lo sente in tv e sceglie di porgere il braccio. Poi, la malattia neurologica. Ma la virostar nega il nesso.
È vero che non se ne può più di «burionate». Ma come si può passare sotto silenzio gli ultimi post della virostar più famosa d’Italia, mentre continua a disinformare e contemporaneamente ridicolizzare persone danneggiate dal vaccino anti Covid chiamandoli #sorciscemi, senza alcun rispetto anche del diritto, di tutti noi, a essere informati correttamente su questioni che riguardano la salute, specie da chi dovrebbe avere, come lui, il dovere di dare informazioni corrette?






