2025-05-10
        Un frate, un polacco e i turchi in fuga. Da questa ricetta nasce il cappuccino
    
 
Vienna, 1683: gli ottomani sono battuti dalle truppe della Lega Santa. Un imprenditore dell’Est scova chicchi di caffè nel campo degli sconfitti, il francescano inviato da papa Innocenzo XI aggiunge latte: nasce la leggenda.Non fate la guerra, fatevi un cappuccino che è meglio. Nel «pacco» di aiuti inviati dall’Italia all’Ucraina in guerra con la Russia, assieme a mortai, lanciamissili, mitragliatrici, c’è anche il cappuccino. Si capisce che è un cappuccino da battaglia, liofilizzato, ma sempre cappuccino made in Italy è. Lo si trova nelle migliaia di confezioni di viveri da combattimento spedite a Kiev, le cosiddette razioni K.Nei sette menu previsti dalle razioni K, ognuno dei quali contempla i tre pasti principali (colazione, pranzo e cena), il cappuccino è in buona compagnia tricolore: tortellini al ragù, pasta e fagioli, minestrone, insalata di riso, tacchino, tonno, filetti di sgombro, pollo, medaglioni bovini, macedonia. Oltre al re della colazione rituale, nell’involucro del breakfast militare, molto apprezzato dai soldati ucraini, ci sono biscotti dolci, barrette di cereali e cioccolata, due confezioni di marmellata, tè solubile, caffè e latte liofilizzati, cioccolato fondente.Torniamo in Italia, dove la coppia della doppia «c», cappuccino e cornetto, dà il buongiorno a una buona percentuale del popolo italico. Una recente indagine della Lavazza pone il cappuccino al primo posto delle bevande chieste nei locali pubblici: il 34% delle persone che consumano la colazione in bar, caffè, hotel, b&b, autogrill, chiede il cappuccio, il 27% vuole l’espresso. Attenzione, però: si fa presto a dare del cappuccino a una bevanda che non lo è. Se non è preparato con attenzione diventa un normale caffelatte, con tutto il rispetto per il caffelatte. Luigi Odello, presidente del Centro studi assaggiatori, giornalista e docente di Analisi sensoriale alle Università di Verona, di Udine e alla Cattolica, raccomanda alcune regole nel prezioso volumetto, Caffè e cappuccini: «Per fare un grande cappuccino occorrono, di base, un espresso eccellente e un ottimo latte fresco e intero». Le proporzioni tra latte e caffè? Un terzo e un terzo. L’ultimo terzo è dato dalla schiuma che non dev’essere troppo abbondante perché squilibra il cappuccino.Anche l’esecuzione dev’essere perfetta: la quantità adatta di latte è essenziale per ottenere una crema gustosa. Se è troppa, finisce per diluire il caffè e non crea la spuma voluta che si ottiene con il latte versato in un bricco d’acciaio nel quale va introdotto il beccuccio del vapore della macchina espresso e muovendo con velocità il bricco dall’alto al basso e viceversa fino all’ottenimento di una schiuma consistente da versare nella tazza dove è già preparato il caffè. «Se l’operazione è fatta bene», sottolinea Odello, «avrete una cupola pannosa con un orlo color nocciola». Domanda: si può completare con uno spruzzo di cacao? «Sì, il cacao origina tanto con il latte quanto con il caffè veri matrimoni d’amore».Quando e dove sono state celebrate le prime «nozze d’amore» tra caffè e latte? Entriamo nella leggenda ambientata nella guerra tra le nazioni europee cristiane e l’impero turco musulmano. Siamo a Vienna nel settembre 1683. Fu in quei giorni d’inizio autunno che la Lega Santa delle nazioni cristiane fermò la marcia dell’Impero ottomano che mirava ad azzannare il cuore dell’Europa dopo aver divorato tutti i Paesi balcanici. Dalla storia alla leggenda: negli stessi giorni, secondo qualche novellante, nasce il cappuccino. Può essere che l’italianissima bevanda conosciuta in tutto il mondo con il suo bel nome toscano, «cappuccino», abbia origini mitteleuropee? Vediamo cosa accadde a Vienna in quei giorni del 1683. La città è in festa. Finalmente respira dopo due mesi di feroce assedio da parte dell’esercito turco agli ordini del gran visir Kara Mustafa Pasha. Il comandante ottomano aveva tentato di tutto per conquistare la capitale dell’Austria. Se ci fosse riuscito, avrebbe avuto la porta spalancata per la conquista del Vecchio continente. Ma a Vienna i turchi sono fermati, battuti e messi in fuga dall’esercito della coalizione cristiana guidato dal re polacco Giovanni III Sobieski.Gran parte del merito spettò all’opera di mediazione di un fraticello friulano dell’ordine dei frati minori cappuccini. Padre Marco d’Aviano era stato inviato da papa Innocenzo XI con il preciso scopo di mettere in piedi la Lega Santa per fermare i turchi. Fra Marco, che aveva fama di taumaturgo (è stato beatificato da papa Giovanni Paolo II nel 2003), riuscì nel difficile compito di mettere d’accordo sovrani che non potevano sopportarsi, ma che chinarono il capo alle parole piene di fervore e zelo del sant’uomo che, nei suoi discorsi, mescolava italiano, latino e tedesco facendosi capire da tutti.Messi in fuga i turchi, entra in scena un quarantenne di origine polacca, Franciszek Jerzy Kolschitzky. Fornito di buone doti imprenditoriali, buon conoscitore delle usanze turche avendo fatto da tramite tra la monarchia asburgica e l’impero ottomano, Kolschitzky penetrò nel campo della mezzaluna abbandonato in tutta fretta dai musulmani sconfitti rinvenendo, in una tenda-magazzino, un bel mucchio di sacchi pieni di semi verdastri. Erano chicchi di caffè da tostare. Lui li conosceva bene perché col caffè aveva curato una fastidiosa emicrania. Se li portò via e, così raccontano i suoi biografi, aprì la prima bottega di caffè di Vienna vicino alla chiesa di Santo Stefano.Il mitico pioniere dei caffettieri viennesi non ottenne subito il successo che si aspettava: il gusto amaro della nera bevanda non piaceva ai viennesi. Ma Kolschitzky non era tipo da arrendersi. Risolse il problema facilmente, addolcendo il caffè col miele e conquistando così i palati viennesi. Dalla porta della bottega dell’astuto polacco, secondo la leggenda, entra un giorno Marco d’Aviano, curioso di degustare il famoso caffè di quei satanassi di turchi. Anche il frate friulano trovò l’infuso troppo amaro ma, al posto del miele, chiese della schiuma di latte per addolcirlo senza esagerare. Fu così che, da nero come il peccato che era, il caffè si stemperò in una dolce sfumatura nocciola che faceva pendant con il saio indossato da fra Marco. L’occhio svelto di Kolschitzky colse al volo la somiglianza del colore della bevanda con la tonaca che indossava il francescano ed esclamò «Kapuziner!». E cappuccino fu. Sulla quale bevanda mise la firma un frate italiano: «Pax et bonum».È vero che c’è tanta leggenda in questa versione, ma è probabile che a Vienna, una delle culle europee della caffetteria, il caffè turco venisse corretto in tanti modi: con miele, panna, zucchero. Anche con le spezie e qualche liquore dolce. Ma quello non era il cappuccino come lo intendiamo in Italia e come tutto il mondo conosce e riconosce italiano. Non c’è dubbio che il cappuccino abbia Dna e passaporto italiani. A favorire la sua nascita nel Bel Paese è stata la diffusione, nella prima metà del Novecento, delle macchine da bar per l’espresso che permettono di scaldare e montare il latte. Passando gli anni, la famiglia del cappuccino si è allargata. È nato il babyccino, senza caffeina per i bambini; il mokaccino, versione dolce e aromatica a base di caffè, cioccolato e latte. C’è chi vuole il cappuccino chiaro e chi più scuro. I golosi lo vogliono con la panna montata e cacao o speziato con cannella, noce moscata, anice stellato o aromatizzato al caramello, al cioccolato, al pistacchio, alla nocciola. Affascinante la cappuccino art, una tecnica che permette al bartista (neologismo che fonde barman e artista) di creare disegni sulla schiuma del cappuccino: cuori, rametti di foglie, fiori, pupazzetti, simpatici animaletti e perfino ritratti.C’è un orario per il cappuccino? I puristi dicono di sì: si deve bere non più tardi delle 11. Vallo a dire ai tedeschi che tra poco invaderanno il Garda domandandolo a tutte le ore, anche a pranzo e a cena. E vallo a dire a quella tal newyorkese che ha recensito entusiasta un pranzo consumato al Cappuccino cafe, a Brooklyn: «Ho apprezzato molto il mio pranzo. Ho ordinato l’hamburger gourmet, formaggio cheddar e cipolle. Era delizioso, ho ordinato l’hamburger medio ed era estremamente succoso. Ho terminato il pasto con un cappuccino». Bleah.
        La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
    
        Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
    
        Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
    
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico. 
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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        Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)