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Solo 15 giorni prima era un pericoloso estremista da rispedire in Egitto con provvedimento di espulsione del questore di Torino, decreto di trattenimento nel Cpr di Caltanissetta a firma Matteo Piantedosi convalidato dalla Corte d’appello e istanza di asilo politico rigettata dalla Commissione territoriale di Siracusa. Ieri, di colpo, dopo le proteste della sinistra e della Chiesa (che lo ritengono un simbolo da difendere), la giustizia italiana ha completamente riscritto il copione, trasformando Mohamed Shahin, l’imam alla guida della moschea di via Saluzzo, nel quartiere San Salvario di Torino, con gli stessi atti sul tavolo, in una persona priva di qualsiasi concreta e attuale pericolosità.
L’ordinanza, firmata dal giudice Ludovico Morello, dispone «la cessazione del trattenimento» nel Cpr, smentendo la convalida già emessa dalla stessa Corte e arrivando a smontarla, senza che nel frattempo sia accaduto nulla che non fosse già noto. E infatti gli uffici del ministero dell’Interno starebbero valutando di impugnare la decisione.
Il giudice, nella premessa, ricorda che il ricorso è ammesso «qualora si verifichino circostanze o emergano nuove informazioni che possano mettere in discussione la legittimità del trattenimento». Poi interpreta: «Seppure non possa parlarsi di revoca giurisdizionale della convalida, è da ritenere consentita comunque una domanda di riesame del trattenimento dello straniero e che, mancando una apposita disciplina normativa al riguardo, esso possa farsi valere con lo strumento generico del procedimento camerale […] per ottenere un diverso esame dei presupposti del trattenimento alla luce di circostanze di fatto nuove o non considerate nella sede della convalida». Alla base della decisione ci sarebbe quindi l’assenza «di un’apposita disciplina normativa». Ed ecco trovato il varco. Il primo elemento indicato riguarda i procedimenti penali richiamati nel decreto di convalida: uno, nato su segnalazione della Digos, per le parole pronunciate durante una manifestazione, il 9 ottobre, che sembravano giustificare il pogrom di Hamas del 7 ottobre 2023, il secondo per un blocco stradale risalente allo scorso maggio al quale l’imam avrebbe partecipato insieme a un gruppo pro Pal. Il giudice scrive che «gli atti relativi a tali procedimenti non risultano essere stati secretati» e che l’assenza di segreto era stata, «contrariamente a quanto si pensava in un primo momento», ignorata nella decisione precedente, che aveva valorizzato proprio quel presupposto «a supporto del giudizio di pericolosità». Il primo procedimento, secondo il giudice, sarebbe stato «immediatamente archiviato (in data 16 ottobre, ndr) da parte della stessa Procura», perché le dichiarazioni del trattenuto sarebbero «espressione di pensiero che non integra estremi di reato». Ma se l’archiviazione è del 16 ottobre e la convalida è del 28 novembre, il fatto non è sopravvenuto. È precedente. Eppure viene trattato come elemento nuovo.
Non solo. La Corte precisa, citando la Costituzione, che le dichiarazioni dell’imam sarebbero «pienamente lecite» e aggiunge che la «condivisibilità o meno e la loro censurabilità etica e morale» è un giudizio che «non compete in alcun modo» alla Corte e «non può incidere di per sé solo sul giudizio di pericolosità in uno Stato di diritto».
«Parliamo di una persona che ha definito l’attacco del 7 ottobre un atto di “resistenza”, negandone la violenza», ha commentato sui social il premier Giorgia Meloni, aggiungendo: «Dalle mie parti significa giustificare, se non istigare, il terrorismo. Qualcuno mi può spiegare come facciamo a difendere la sicurezza degli italiani se ogni iniziativa che va in questo senso viene sistematicamente annullata da alcuni giudici?». La stessa dinamica si ripete sul blocco stradale del 17 maggio 2025. La Corte afferma che «dall’esame degli atti emerge una condotta del trattenuto non connotata da alcuna violenza». Anche qui non viene indicato alcun fatto nuovo. Cambia solo il giudizio. Anche i contatti con soggetti indagati o condannati per terrorismo vengono ridimensionati. Nella precedente decisione a quelle relazioni era stato attribuito un certo peso specifico: «Nel marzo 2012 veniva fermato a Imperia insieme a Giuliano Ibrahim Del Nievo, trasferitosi quello stesso anno in Siria per unirsi alle formazioni jihadiste e morto in combattimento nel 2013». Nel 2018, in un’indagine su Elmahdi Halili (condannato nel 2019, con sentenza divenuta irrevocabile nel 2022, per aver partecipato all’organizzazione terroristica dello Stato islamico), «veniva registrata una conversazione in cui questi consigliava ad altro soggetto di rivolgersi a Shanin presso la moschea di Torino». Rapporti che ora diventano «isolati, decisamente datati» e «ampiamente spiegati e giustificati dal trattenuto nel corso della convalida». Spiegazioni che erano già state rese prima del 28 novembre, ma che allora non avevano impedito la convalida.
Nel decreto di Piantedosi, l’imam veniva indicato come un uomo «radicalizzato», «portatore di ideologia fondamentalista e antisemita». Ma, soprattutto, come vicino alla Fratellanza musulmana, movimento politico-religioso sunnita nato in Egitto nel 1928, che punta a costruire uno Stato ispirato alla legge islamica. Unico passaggio, quello sulla Fratellanza musulmana, al quale il giudice non fa cenno.
Il Viminale aveva espulso Mohamed Shahin, considerato un «pericolo per lo Stato»: disse di «essere d’accordo con quello che è successo il 7 ottobre in Israele». La Corte d’Appello di Torino lo fa uscire dal Centro di rimpatrio e gli dà un permesso... premio.
In Germania hanno appena sgominato una cellula che pianificava un attentato tipo quello ai mercatini di Natale di Berlino, quando nel 2016 un tunisino giunto in Italia sui barconi fece secche 16 persone e ne ferì 56 zigzagando con un Tir in mezzo alla folla. A Sydney invece domenica altri due islamici hanno fatto tirassegno sulla spiaggia, ammazzando 15 ebrei che celebravano la festa delle luci. Tuttavia, nonostante questi episodi inquietanti, la Corte d’Appello ha deciso di rimettere in libertà l’imam di Torino che si dichiarava d’accordo con la strage del 7 ottobre del 2023 e che a proposito del massacro di 1.200 persone e il rapimento di altre 250 da parte di Hamas ritiene che non si debba parlare di «violenza». Mohammad Shahin secondo i giudici non può essere trattenuto nel Centro di permanenza per il rimpatrio di Caltanissetta, perché le sue frasi sarebbero protette dalla libertà di parola e poi perché nel Cpr le condizioni sarebbero pessime. Tutto ciò mentre il Global Terrorism Index 2025 segnala che in Europa si concentra il 50 per cento delle vittime a livello mondiale, con attacchi raddoppiati in Germania, Svezia, Paesi Bassi, Svizzera e Finlandia, la maggior parte dei quali collegati allo Stato islamico, organizzazione che, benché non se ne parli, è tutt’ora viva e in attività.
Naturalmente non stupisce che la Corte d’Appello sia di manica larga con un imam che teorizza che l’assassinio di 1.200 persone e il rapimento di altre 250 non sia violenza. In fondo la sentenza si inserisce in una tendenza che nei tribunali italiani gode di una certa popolarità. Non furono ritenute incompatibili con il trattenimento nel Cpr in Albania anche decine di extracomunitari con la fedina penale lunga una spanna? Nonostante nel casellario giudiziale figurassero precedenti per reati anche gravi come aggressioni e perfino un tentato omicidio, i migranti furono prontamente rimpatriati e ovviamente lasciati liberi di scorrazzare per il Paese e di commettere altri crimini. Sia mai che qualcuno venga trattenuto e successivamente espulso.
Del resto, recentemente un altro magistrato, questa volta di Bologna, ha detto al Manifesto che le recenti disposizioni europee in materia di Paesi sicuri sono da ritenersi incostituzionali. Perché ovviamente per alcune toghe il diritto è à la carte, cioè si sceglie da un menù quello che più gusta. Se bisogna opporre un diniego alla legge varata dal Parlamento ci si appella alla giurisprudenza europea, che va da sé è preminente rispetto a quella nazionale. Ma se poi una direttiva Ue o del Consiglio europeo non piace si fa il contrario e ci si appella al diritto italiano, che in questo caso torna prevalente. Insomma, comunque vada il migrante ha sempre ragione e deve essere ritenuto discriminato e dunque coccolato e tutelato. Se un italiano inneggia al fascismo deve essere messo in galera, se un imam si dichiara d’accordo con una strage, non considerandola violenza ma resistenza invece scatta la libertà di espressione, quella stessa espressione che gli autori del massacro di Charlie Hebdo anni fa negarono ai vignettisti del settimanale francese, colpevoli di aver disegnato immagini sarcastiche sull’islam.
Purtroppo, la tendenza a giustificare tutto e dare addosso a chi denuncia i pericoli legati a un’immigrazione indiscriminata ormai dilaga. Ieri sulla prima pagina di Repubblica campeggiava uno studio in cui la questione che lega gli stranieri al crescente clima di insicurezza era addebitata ai media. Colpa di giornali e tv se si parla di migranti. «I picchi di informazione e audience sul pericolo stranieri avvengono nei periodi elettorali», tiene a precisare il quotidiano che la famiglia Agnelli ha messo in vendita. In realtà i picchi coincidono sempre con fatti di cronaca nera. Stragi, rapine, stupri: quei fatti che né i giudici, né alcuni giornali vogliono vedere.















