2022-01-02
La curva del virus se ne frega dei lockdown
Una strada di Amsterdam. L'Olanda è in lockdown dal 19 dicembre al 14 gennaio (Ansa)
Persino il «Corriere della Sera» ha dovuto ammetterlo: in Europa la pandemia accelera o rallenta indipendentemente dalle misure prese dai governi. È l’ennesima dimostrazione che cercare di fermare le varie ondate con chiusure esagerate è del tutto inutile.Il virologo Anthony Fauci chiede calma: «Tra i ricoveri Covid vengono contate anche le appendiciti».Lo speciale contiene due articoli.«Tutto ciò che non è complicato è falso», recita un aforisma dello scrittore colombiano Nicolás Gómez Dávila che, pur morto da decenni, potrebbe avere molto da insegnare a tanti commentatori dell’attuale pandemia i quali, a ben vedere, hanno esattamente questo problema: la fanno troppo facile. A ormai due anni dall’inizio dell’esperienza pandemica, ragionano infatti ancora come se il contenimento e la circolazione del Covid-19 fossero un fatto di meri lockdown, lasciapassare e limitazioni varie, ovviamente sempre con la scusa di voler salvare il Natale, la Pasqua o le ferie estive. Peccato che le cose siano un po’ più complesse. Lo ha già dimostrato nei giorni scorsi, smarcandosi dal resto degli organi di informazione, proprio La Verità, quando ha smascherato l’infondatezza della notizia secondo cui in Germania il lockdown dei non vaccinati avrebbe invertito la curva dei contagi.Una narrazione per confutare la quale, si è segnalato su queste pagine, bastava uno sguardo ai grafici del Koch Institute, ben chiari nel mostrare come il picco dell’incidenza settimanale del contagio avesse toccato il suo apice a fine di novembre - per l’esattezza tra il 24 e il 29 - per poi iniziare il calo proprio due giorni prima delle nuove restrizioni, datate 2 dicembre. Dunque la stragrande maggioranza della nostra stampa, anche quella volta, ha preso un bel granchio. Sarà probabilmente per questo, e cioè per ritrovare un po’ di lucidità nell’analisi dei dati, che ieri l’insospettabile Corriere della Sera, sul proprio sito web, ha pubblicato un articolo a firma di Claudio Del Frate con cui si è preso atto di una realtà fino a quel momento ignorata, anche se nei fatti nota da tempo, e cioè che le misure dei singoli governi non riescono, da sole, a spiegare l’andamento dei contagi. La curva epidemiologica sta infatti presentando traiettorie inspiegabili, se lette banalizzando un fenomeno che, riprendendo Dávila, non si può che definire di grande complessità.Lo dimostra anzitutto la geografia pandemica del Vecchio Continente che, notava sempre ieri il Corriere, appare oggi spaccato in due e in modo che spiazza i chiusuristi a oltranza. Scrive infatti il quotidiano milanese: «Chi da oltre un mese ha adottato restrizioni vede il virus rallentare ma altrettanto si assiste in aree dove limitazioni sono state attivate solo da pochi giorni. Di converso, Stati che hanno abbassato con parsimonia l’asticella dei controlli si vedono investiti da un boom di nuovi malati tanto quanto chi in questi mesi ha lasciato correre». Il tutto con l’oggettiva difficoltà di trovare fattori che spieghino in modo compiuto questa differenza. Che appare oggettivamente notevole e, per di più, spiazzante.Sì, perché se è vero che ci sono nazioni in cui a seguito delle restrizioni la corsa del virus, dopo alcune settimane, rallenta, è altrettanto indiscutibile come una flessione simile della curva epidemiologica si verifica in aree dove le limitazioni son state attivate solo da pochi giorni. Emblematico, oltre al ricordato caso tedesco, il confronto tra Austria e Polonia. È infatti indubbio come il governo di Vienna stia vedendo premiata la propria decisione, risalente a metà novembre, di un lockdown per i non vaccinati; ma è altresì vero come un calo dei contagi simile si registri in Belgio, corso ai ripari solamente da pochi giorni.Allo stesso modo, in Polonia, è vero, si assiste ad una diminuzione dei nuovi casi dopo che a metà dicembre la capienza di ristoranti e locali pubblici è stata ridotta al 30%; il punto è che il Paese aveva toccato un record di morti che due settimane fa era di oltre 600 vittime, come media giornaliera. Per non parlare dello scenario mediteranno e sud europeo, con Paesi ad alta copertura vaccinale - dalla Francia all’Italia, fino al Portogallo, che detiene il primato europeo - in cui, ciò nonostante, si assiste all’impennata dei contagi. Tutto questo, per prevenire facili obiezioni, non significa che i vaccini non funzionino o che le precauzioni e qualche limitazione non possano sortire degli effetti. Semplicemente, si dovrebbe avere il coraggio di ammettere che, di fatto, non tutto è così chiaro nell’andamento dei contagi. E che, spesso, una volta iniziate, le ondate vanno tendenzialmente da sé.Il Corriere ha usato toni più felpati, scrivendo che dei «molti fattori che concorrono a determinare l’andamento» pandemico non tutti sono «immediatamente decifrabili», ma la sostanza resta la stessa: non esistono bacchette magiche. La corsa dei contagi non può essere fermata in un solo modo. Neppure puntando sui soli vaccini che, pur utili, hanno dimostrato di avere due significativi punti deboli: la prima è una certa vulnerabilità alle varianti, in particolare per quanto concerne i contagi - dato che fortunatamente la protezione dalla malattia grave sembra tenere -, la seconda è quella pericolosa falsa sicurezza che tendono a generare.Se le iniezioni vengono infatti continuamente presentate come la panacea di tutti i mali - all’insegna di una comunicazione polarizzata e divisiva tra vaccinati e no -, il messaggio che passa è che un cittadino, una volta vaccinato, possa permettersi di vivere esattamente come il Covid non esistesse. Ma in questo modo accade precisamente ciò che si vorrebbe evitare: una nuova accelerazione della curva dei contagi che, inevitabilmente, prima o poi finirà col ripercuotesi sulle ospedalizzazioni. Sono mesi che La Verità insiste su tale aspetto. Con l’inizio dell’anno nuovo, pure altri giornali iniziano ora ad accorgersene. Alla buonora.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/curva-virus-frega-lockdown-2656205325.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="fauci-derubrica-lemergenza-bimbi-negli-ospedali-fanno-test-a-tutti" data-post-id="2656205325" data-published-at="1641089574" data-use-pagination="False"> Fauci derubrica l’emergenza bimbi: «Negli ospedali fanno test a tutti» Sui ricoveri dei bambini positivi al Covid i numeri sono decisamente sovrastimati anche per Anthony Fauci, il virologo americano consulente della Casa Bianca per la pandemia. In questi giorni, parlando in una trasmissione televisiva della MsNbc, Fauci ha fatto un distinguo che, a queste latitudini, è spesso stato oggetto di derisione dal mainstream. L’esperto statunitense ha infatti osservato che molti dei bambini attualmente in cura presso le strutture ospedaliere sono ricoverati «con» Covid e non «a causa» del Covid. Come ha spiegato chiaramente Fauci, la maggioranza dei piccoli che sono attualmente nelle corsie degli ospedali americani risultano positivi perché «a tutti viene fatto il test per il Covid», anche se in realtà sono trattati per «una gamba rotta o un’appendicite», e non per le gravi conseguenze del coronavirus. In linea con i dati provenienti dal Sudafrica e dalla Gran Bretagna, «la variante Omicron di Sars Cov2 è più contagiosa, ma causa sintomi molto meno gravi», ha affermato il medico osservando come «il rischio che i bambini vengano ricoverati in ospedale con Covid è molto inferiore rispetto a quello di adulti e di anziani» e che «ci si aspettano numeri in aumento, data la crescita record di nuovi casi registrati negli Stati Uniti, e nel resto del mondo, a causa della diffusione di Omicron». In base agli ultimi dati, tra il 22 e il 28 dicembre, in America erano ricoverati in media 378 bambini di età pari o inferiore a 17 anni e positivi al coronavirus, contro i 342 al giorno di settembre. «Quantitativamente», ha aggiunto Fauci, «ci sono molte più persone, compresi i bambini, che vengono infettate ed è normale attendersi un aumento dei bambini ricoverati e positivi al virus». Ma quello che colpisce è la distinzione chiara fatta dall’esperto di fiducia del governo americano che ha precisato come «se si guarda ai bambini che sono ricoverati, molti di loro sono con Covid anziché a causa del Covid». In altre parole, lo stesso virologo ha ammesso il rischio che il dato, non contestualizzato, potrebbe essere «sovrastimato» perché anche i bambini vengono inseriti come ricoveri Covid, quando in realtà sono poco o per nulla sintomatici e si rivolgono all’ospedale per tutt’altra patologia. Nell’intervista alla MsNbc, Fauci ha inoltre affermato che gli Stati Uniti dovrebbero smettere di concentrarsi esclusivamente sul numero dei nuovi casi visto che la variante Omicron, secondo quanto riferito dai numeri disponibili, è più mite e, con oltre il 78% della popolazione che ha ricevuto almeno una dose di vaccino, ha causato un minor numero di morti e ricoveri rispetto alle ondate precedenti. «Cosa stiamo cercando di prevenire? Stiamo cercando di impedire alle persone di ammalarsi», ha osservato Fauci. «Quindi, se c’è un virus che può causare molte infezioni, davvero come l'ondata che stiamo vedendo proprio ora con Omicron, ciò che diventa più importante è la percentuale di persone che sono abbastanza malate da richiedere il ricovero in ospedale». A tale proposito il virologo, in controtendenza con quanto si continua a fare dalle nostre parti, ha sottolineato come non abbia tanto senso «fare il conto delle persone infette, quanto piuttosto considerare la percentuale delle persone che devono essere ospedalizzate, visto che Omicron dà sintomi lievi».
Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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