2025-09-02
La cura per Camilla era pronta da due mesi
Vaccino anti Covid Astrazeneca (iStock). Nel riquadro, la giovane Camilla Canepa
Enrico Haupt, ex primario di Medicina generale, già ad aprile inviò all’Azienda sanitaria ligure (Alisa) il suo protocollo per trattare la trombosi causata da Astrazeneca. Ma il documento rimase impantanato nelle pastoie burocratiche e a giugno la giovane morì.La ricetta per salvare Camilla Canepa, quando la diciottenne ligure è stata ricoverata d’urgenza per poi spirarenell’ospedale San Martino di Genova, nella città della Lanterna circolava da settimane. Da circa un mese e mezzo. Ma è rimasta incredibilmente impantanata nelle pastoie della burocrazia. Nel periodo delle vaccinazioni di massa del 2021 Enrico Haupt, ex primario di Medicina generale all’ospedale di Lavagna, ha 71 anni, è in pensione, ma non riesce a staccarsi dal suo mestiere. È anche medico vaccinatore all’Evangelico di Genova. La morte di Francesca Toscano, 32 anni, insegnante di sostegno vaccinata con Astrazeneca il 22 marzo 2021 e deceduta il 4 aprile per trombosi cerebrale, lo colpisce particolarmente. Tanto da spingerlo, assieme ad alcuni colleghi, a elaborare un protocollo operativo che, se applicato per tempo, avrebbe potuto salvare la vita a chi si fosse presentato al Pronto soccorso con una sospetta Vitt, la trombocitopenia indotta da vaccino. La stessa patologia che il 10 giugno ha ucciso Camilla Canepa. Dopo un «colloquio informale con il direttore sanitario dell’Ospedale Evangelico Gaddo Flego», spiega il medico al pm di Genova il 25 marzo 2022, «ho predisposto un Pdta (percorso diagnostico terapeutico assistenziale, ndr) condiviso con i miei colleghi vaccinatori». Per il dottor Haupt è una corsa contro il tempo. La consegna alla Direzione sanitaria avviene il 13 aprile 2021 e il giorno seguente il documento viene girato ad Alisa (l’azienda sanitaria ligure) e, conferma il medico, «nello stesso tempo» è stato inviato anche «al Pronto soccorso». Quel giorno c’è una coincidenza. E Haupt la evidenzia davanti ai pm: «Combinazione lo stesso 13 aprile l’Aifa (l’Agenzia italiana per i farmaci, ndr) pubblica una informativa dove viene detto che gli operatori sanitari devono vigilare sui segni e sui sintomi e informare il vaccinato, quindi, combinazione... era una cosa coerente con le indicazioni dell’Aifa». Ad analizzare i due protocolli, però, c’è una contraddizione. La nota successivamente diffusa da Alisa, che recepiva le indicazioni del dottor Haupt, nel caso di sintomi neurologici dopo la somministrazione del vaccino, tra i vari esami prevedeva anche la Tac dell’encefalo senza mezzo di contrasto, quindi al naturale, senza iniettare nel sangue del paziente una sostanza opaca ai raggi x. Quella dell’Aifa, invece, prevedeva il liquido di contrasto. Un aspetto che, successivamente, deve essere stato corretto anche nel protocollo Alisa: «Il documento diceva», si evince dai messaggi WhatsApp mostrati dal medico al pm, «se Tac negativa, altra diagnosi […] infatti lo hanno cambiato e hanno messo Tac con mezzo di contrasto». Sostanzialmente, però, le indagini sanitarie indicate erano molto simili. La macchina burocratica però sembra muoversi al rallentatore. Il documento del dottor Haupt resta bloccato per settimane. «Il 15 aprile il Pdta», spiega in Procura l’ex primario, «viene inviato in Regione Liguria... Alisa... poi andiamo a maggio». Ed è a questo punto che il percorso amministrativo del Pdta si intreccia con la vaccinazione di Camilla. «La Camilla Canepa», ricorda Haupt, «viene vaccinata nell’ambito degli Open day». Il 25 maggio, infatti, le iniettano una dose di Astrazeneca, due giorni prima della pubblicazione ufficiale del Pdta da parte della Regione (27 maggio). Quando il 3 giugno Camilla si presenta al Pronto soccorso di Lavagna con emicrania e fotosensibilità, i criteri clinici per sospetta Vitt erano già scritti nel protocollo. Il documento, però, non è ancora ufficiale. Haupt lo dice chiaramente: «Certo ero un po’ insofferente del fatto che il Pdta non venisse pubblicato e ne ho parlato con il dottor Flego, chiedendo notizie sullo stato di valutazione del documento». L’idea era semplice, quasi banale: rendere il protocollo immediatamente fruibile a chi, in Pronto soccorso, si fosse trovato davanti un paziente con sintomi evidenti. Haupt precisa: «Quella sindrome lì... mal di testa o mal di pancia, le piastrine basse... se uno ha fatto il vaccino una settimana prima, il sospetto c’è tutto, a quel punto lì va attivata subito la terapia». Poi aggiunge: «Nella nostra idea, il Pdta doveva essere inviato ai Dea (Dipartimento di emergenza e accettazione, ndr) e al 118 al fine di far sì che le persone sospette di essere colpite da Vitt venissero subito attenzionate e trattate precocemente con immunoglobuline, nella considerazione che la somministrazione non ha effetti negativi, se non quelli di effettuare i prelievi ematici prima per evitare inquinamento del campione». Prelievo e terapia immediata. Attività che gli ospedali erano in grado di fare. Haupt lo dice senza giri di parole: «Le immunoglobuline sì. Mentre quello che non erano in grado di fare gli ospedali, a quell’epoca neanche il San Martino (di Genova, ndr), poi si sono adeguati, era fare l’analisi della ricerca degli anticorpi». Tutto molto semplice, all’apparenza. «So che prima del 27... della pubblicazione definitiva... nelle fasi finali», lamenta il dottore, «avevo ricevuto una bozza in questo senso, in maniera confidenziale dal direttore e avevo rilevato alcuni errori marginali». In sostanza, «dal 14 aprile», precisa Haupt, «si arriva al 27 maggio... dopo procedure interne, la Regione Liguria pubblica sulla Gazzetta ufficiale questo documento che viene girato dalla Direzione sanitaria degli ospedali ai Pronto soccorso, 118, eccetera». Ma il protocollo non è ancora operativo. «Il 28 maggio», ricorda il medico, «il documento è stato recapitato ufficialmente all’ospedale Evangelico e posso dedurre che analogamente sia avvenuto per gli altri ospedali». Intanto, fuori dagli uffici regionali, la campagna vaccinale corre. Gli Open day riempiono i palazzetti, le dosi vengono iniettate a ragazzi e adulti. Mentre il Pdta continua a girare tra gli uffici. E quel 28 maggio, ricorda Haupt, «era un venerdì, quindi nella migliore delle ipotesi il lunedì successivo i direttori di Dea avevano potuto convocare una riunione per diffondere questa documentazione e... il lunedì successivo era il 31 maggio». Troppo tardi. E Haupt sbotta: «Non basta appiccicarlo in bacheca, diciamo...». Quella carta, pensata per agire subito, rimane intrappolata tra uffici, timbri e riunioni. Così, il 3 e 4 giugno, a Camilla non viene applicato il percorso clinico indicato dal Pdta, né quello previsto dall’Aifa. Viene dimessa con una diagnosi di «cefalea». Quando Haupt riesce a inoltrare il suo lavoro personalmente alla collega Paola Truglio, primario del Pronto soccorso all’ospedale di Lavagna (indagata per la morte di Camilla e poi prosciolta) è il 6 giugno. Camilla era tornata in ospedale poco prima della mezzanotte del giorno precedente ed è già in gravi condizioni. «Ho un rapporto con la dottoressa Truglio professionale e non particolarmente confidenziale», spiega Haupt ai pm, aggiungendo che «quando la vicenda Canepa era già scoppiata, le ho chiesto come era andata e cosa era successo». Poi aggiunge, come detto, di aver «mandato il documento la prima volta il 6 giugno». Ma sottolinea anche di non avere «contezza se potesse averlo visto prima». Quel giorno, ricorda Haupt, scambia messaggi via WhatsApp con la collega. E dopo aver ricevuto «l’indirizzo mail della dottoressa Truglio» avrebbe inoltrato lì «il Pdta in formato Word». Il messaggio che accompagna il documento è questo: «Cara Paola, come promesso ti invio un po’ di documentazione. Il Pdta è stato approvato da Alisa il 27 maggio, dovrebbe essere stato inviato ai vari Dea. A mio avviso alla luce dei fatti odierni ha assunto anche rilevante importanza medico legale». La chat viene riletta dagli inquirenti: il tono è personale, quasi affettuoso. Finché non si fa tecnico: «Di Astrazeneca è interessante la tabella a pagina undici, dove si dimostra che in casi di bassa incidenza di infezione, come attualmente in Liguria, il rischio di morire di Covid per gli under 40 è nullo, mentre il rischio di morire per Astrazeneca è 10.000. Cari saluti, Enrico». «Direi che non ha ricevuto risposta», commenta la pm Francesca Rombolà. E la domanda resta sospesa: il protocollo era mai arrivato ufficialmente a Lavagna? «Non mi ha dato una risposta precisa», ammette Haupt. Fatto sta che a Lavagna la Tac viene fatta senza liquido di contrasto e non sarebbe stata visionata da un neuroradiologo. Per cui i piccoli segni riscontrabili anche a secco non vennero associati alla Vitt.
(Guardia di Finanza)
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
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