2021-09-16
Crolla il tabù della Difesa comune europea
Ursula von der Leyen (Ansa)
Si ipotizza una forza di intervento rapido di 5.000 militari degli Stati membri. D'accordo Sergio Mattarella: «Politica estera e sicurezza in complementarietà con la Nato». Impatti sulla nostra diplomazia e sull'industria militare e civile. Ma a chi toccherà decidere?Volenti o nolenti i governi europei dovranno fare i conti con il cambio di paradigma imposto ieri da Ursula von der Leyen. «Ci serve una Difesa Ue», ha detto in occasione del discorso sullo Stato dell'Unione. Il dettaglio fa la differenza. Accostare il termine Difesa a Ue significa andare contro tutti i trattati fino ad ora sottoscritti dai Paesi membri. Un conto è affrontare il tema dell'esercito unico inteso come forza operativa da dislocare in caso di emergenze (già esiste e si tratta di una unità da 1.500 uomini) e un conto è centralizzare e funzioni che a oggi spettano ai singoli governi o Parlamenti. Il cambio di paradigma della von der Leyen prevede una radicale riscrittura dei trattati.Ieri sera fonti vicine alla Ue hanno fatto sapere che durante il discorso non si è fatto esplicito riferimento a un «nuovo esercito» ma alla possibilità di ampliare l'attuale battlegroup a qualcosa di più performante. «Nelle discussioni preparatorie sulla bussola strategica che hanno avuto luogo all'inizio di quest'anno, un gruppo di Stati membri ha proposto di creare una forza di ingresso iniziale. Questa forza di intervento rapido consisterebbe di 5.000 militari - cioè delle dimensioni di una brigata - degli Stati membri dell'Ue. Si allenerebbero e si eserciterebbero insieme al fine di condurre solide operazioni militari guidate dall'Ue e reagire rapidamente alle crisi emergenti. Gli Stati membri stanno attualmente discutendo le modalità esatte di questa Forza», ha riferito ieri a LaPresse un portavoce della Commissione europea e del Servizio per l'azione esterna Ue.La rettifica in realtà conferma che il dado è stato tratto. La presidente sempre ieri ha tenuto a specificare tre cose fondamentali. La prima è che servirà una politica estera più comune, la seconda che dopo la disfatta dell'Afghanistan bisogna rivedere il ruolo dell'Ue nella Nato e la terza che ci vorrà anche una intelligence comune. A tutto ciò ha aggiunto le tempistiche. Ha anticipato che nella primavera prossima si terrà un vertice sulla Difesa comunitaria a Parigi e che a coordinarlo sarà Emmanuel Macron. A rispondere alla von der Leyen a Sud delle Alpi ci ha pensato Sergio Mattarella che ha detto senza mezzi termini: «All'Europa servono politica estera, Difesa e sicurezza comuni in complementarietà con la Nato». In pratica il vertice delle nostre Forze armate ha benedetto il progetto. Questo, assieme al ruolo francese è il perno di tutto. Infatti, il tema adesso non è più capire se si può fare marcia indietro, ma come gestire l'importantissima novità che impatterà in un solo colpo sulla nostra politica estera e sulla nostra industria militare (e pure civile). Come più volte ha avuto modo di osservare La Verità, accendere i motori di una Difesa comune senza definire gli aspetti decisionali (chi comanda), di intelligence e industriali (quali aziende produrranno le nuove armi) rischia di rendere inutile e inefficace il progetto o, peggio, dannoso per il nostro Paese. La presidente della Commissione ha atteso un mese esatto per parlare e commentare i fatti di Kabul. Chiaramente ha aspettato di avere il via libera informale da parte di Parigi, Berlino e pure Roma. Lo si deduce non solo dalle parole di Mattarella, ma anche dal fatto che entro l'anno Italia e Francia vogliano chiudere il cosiddetto Trattato del Quirinale. Nella dozzina di paragrafi, secondo indiscrezioni, ne spunta una tutto dedicato alla collaborazione militare e di intelligence. Potrebbe essere la base per il futuro della Difesa Ue? La domanda va posta a Mario Draghi che chiaramente ha preso in carico il dossier. La fine dell'era di Angela Merkel ha aperto falle nella filiera francotedesca. Al tempo stesso Parigi per la prima nella storia ha difficoltà a gestire la propria geopolitica anche in aree dove ha dominato per 70 anni. Basti pensare che in questi giorni i vertici militari francesi hanno paventato o minacciato (il confine è sottile) la possibilità di abbandonare il Mali, se il nuovo governo, frutto di rimpasti e golpe, dovesse aprire una collaborazione con i paramilitari russi di Wagner group. Fino a due anni fa ipotesi nemmeno pensabile. E non è l'unica ritirata dei cugini d'Oltralpe. Fino al 2016 a Bangui, in Repubblica Centrafricana, a separare cristiani e musulmani c'era qualche sparuto militare italiano, lettone e polacco e poi la Legione Straniera. Adesso anche in Repubblica centrafricana ci sono i russi. È chiaro che il futuro degli equilibri europei in Africa dovrà giocarsi senza l'aiuto Usa, impegnati in prospettiva nell'Indopacifico. Se il ruolo di Draghi fosse veramente quello di sostituire la Merkel allora vale anche la pena di capire che benefici ci potranno essere per il nostro Paese. Riusciremo a dire la nostra e non essere ruote di scorta nel grande progetto della Difesa Ue? A tutelare Fincantieri, Leonardo, Avio e i girini di quella che potrebbe essere l'industria della cyber security tricolore? È presto per capirlo. Ma al tempo stesso tutto si giocherà nei prossimi mesi. Al massimo entro la primavera del 2022. Guarda caso lo stesso lasso di tempo che ha l'Italia per prendere a Bruxelles il ruolo fino ad oggi in mano ai tedeschi. Il sostegno degli Usa è molto volatile. E Draghi non avrà la leva a stelle e strisce all'infinito. È la sfida più complessa da che abbiamo adottato l'euro.
Da sinistra: Piero De Luca, segretario regionale pd della Campania, il leader del M5s Giuseppe Conte e l’economista Carlo Cottarelli (Ansa)
Jannik Sinner (Ansa)
All’Inalpi Arena di Torino esordio positivo per l’altoatesino, che supera in due set Felix Auger-Aliassime confermando la sua solidità. Giornata amara invece per Lorenzo Musetti che paga le fatiche di Atene e l’emozione per l’esordio nel torneo. Il carrarino è stato battuto da un Taylor Fritz più incisivo nei momenti chiave.
Agostino Ghiglia e Sigfrido Ranucci (Imagoeconomica)
Il sindaco di Milano Giuseppe Sala (Imagoeconomica)