2021-07-06
Il crocifisso trascinato di nuovo alla sbarra
L'ennesima controversia sul simbolo cristiano appeso in tutte le aule italiane finisce oggi davanti alla Cassazione. Stavolta è in gioco l'idea di laicità dello Stato. L'esperto: «Occhio, il muro bianco non è affatto neutro. Celebra il rigetto di ogni fede». Cinque anni e mezzo a don Galli. Il suo caso sgonfia tanti proclami sulla lotta agli abusi.Lo speciale contiene due articoli.Oggi si decide il futuro del crocifisso nelle aule scolastiche, se possa restare o debba esser rimosso. A stabilirlo saranno le Sezioni unite civili della Corte di cassazione, chiamate ad esprimersi con un verdetto che, comunque vada, toccherà valori profondi: l'identità culturale dell'Italia, il pluralismo religioso e, naturalmente, la laicità dello Stato. Tutto è originato dal caso di un docente, vicino all'Uaar - acronimo di Unione atei e agnostici razionalisti -, il quale, durante le sue ore, rimuoveva sistematicamente il crocifisso, in contrasto sia con la volontà dei suoi studenti, in maggioranza favorevoli all'esposizione in aula dello stesso, sia con un provvedimento del preside, che chiedeva ai docenti il rispetto della decisione degli allievi.Per tale sua ostinazione laicista, al docente era stata irrogata la sanzione della sospensione di 30 giorni da funzioni e stipendio. Ne è scaturito un processo che ha visto la pur severa sanzione ritenuta legittima sia in primo grado sia in appello. Quando però la questione, su ricorso dell'insegnante, è giunta in Cassazione, la sezione lavoro, anziché esprimersi nel merito, ha fatto quella che ad alcuni è parsa una mossa a sorpresa: ha chiesto una decisione di merito alle Sezioni unite. Un rinvio basato sull'ipotesi che l'esposizione del crocifisso possa configurare una lesione della libertà d'insegnamento nonché di quella di coscienza del docente. «La novità di questo caso», spiega alla Verità Angelo Salvi, avvocato del Centro studi Livatino, che sta seguendo da vicino la questione, «consiste nella prospettiva. C'erano precedenti di studenti che avevano chiesto la rimozione del crocifisso, ma mai un docente, aspetto che pone la vicenda in una dimensione di possibile discriminazione sul lavoro». Il fatto che però la sezione lavoro della Cassazione abbia sentito la necessità di rivolgersi alle Sezioni unite espande automaticamente la questione oltre i confini giuslavoristici. «Il tema vero su cui rifletterà la Cassazione», aggiunge in merito Salvi, «sarà quello della laicità dello Stato. I giudici dovranno stabilire se la laicità sia da intendersi come neutralità assoluta oppure come spazio pubblico e punto d'incontro di diverse culture, attraverso un accordo tra i vari attori».Naturalmente, gli ambienti laicisti fanno il tifo per la prima opzione, sulla scorta della laïcité francese. «Ma anche questo approccio di totale distacco da ogni riferimento religioso», precisa il legale del Centro studi Livatino, «non è in realtà così neutro. Il “muro bianco" ha cioè un peso uguale e contrario a quello con affisso il simbolo cristiano. La mancata esposizione comporta comunque l'adesione ad una prospettiva, che imparziale non è». La laicità assoluta, insomma, altro non è che laicismo, ossia non indifferenza bensì rifiuto del religioso. Un discorso ben diverso e che oggi potrebbe ottenere il sigillo della Cassazione. Infatti, se in precedenza non erano mancati autorevoli verdetti anche internazionali a favore del crocifisso in luoghi pubblici (come il caso Lautsi contro l'Italia, con la Corte europea dei diritti dell'uomo che, nel marzo 2011, diede il suo placet alla permanenza del simbolo), in questo caso gli auspici non sono dei migliori. Su tutti, lo attesta un elemento. «Anziché pronunciarsi sul caso posto alla sua attenzione», sottolinea l'avvocato Salvi, «la sezione lavoro della Cassazione ha steso una ordinanza che definisce insufficiente l'attuale compendio normativo e giurisprudenziale». Tradotto dal giuridichese, significa che, volendo, i giudici avrebbero avuto già tutti gli elementi - come, del resto, i loro colleghi di primo e secondo grado - per affrontare serenamente la questione; il fatto che abbiano optato per un rinvio alle Sezioni unite, invece, pare il tentativo di sollevare un problema. Un problema che tanti consideravano risolto dopo che non la Santa Sede, bensì il Consiglio di Stato col parere 556 del 2006, in replica ad un ricorso della già citata Uaar, aveva affermato che «in Italia, il crocifisso è atto ad esprimere, in chiave simbolica ma in modo adeguato, l'origine religiosa dei valori di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di affermazione dei suoi diritti, di riguardo alla sua libertà, di autonomia della coscienza morale nei confronti dell'autorità, di solidarietà umana, di rifiuto di ogni discriminazione, che connotano la civiltà italiana». Era cioè stato il supremo giudice amministrativo a chiarire che non soltanto il crocifisso non discrimina, ma è l'antidoto ad «ogni discriminazione».Sarebbe quindi singolare se nella giornata odierna la Cassazione si esprimesse altrimenti, visto anche che il regio decreto che prevede l'esposizione del crocifisso ha resistito a 75 anni di vita democratica, e che perfino la Consulta in passato ha dichiarato la costituzionalità della stessa questione inammissibile, trattandosi di norme aventi natura regolamentare. Vedremo. Nel frattempo, si registra comunque il paradosso di un Paese in cui non passa giorno senza che s'intoni il ritornello dell'«inclusione» - verso tutti: persone di orientamento omosessuale, di fede islamica e migranti -, salvo poi indicare nel crocifisso una minaccia; e pazienza se alcuni milioni di cattolici si sentono offesi, problemi loro.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/crocifisso-scuola-2653686949.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="condannato-anche-in-secondo-grado-il-prete-pedofilo-assolto-dalla-chiesa" data-post-id="2653686949" data-published-at="1625576297" data-use-pagination="False"> Condannato anche in secondo grado il prete pedofilo assolto dalla Chiesa Colpevole anche in Appello. Don Mauro Galli è stato condannato una seconda volta per abusi sessuali nei confronti di un giovane che aveva 15 anni ai tempi del reato, compiuto a Rozzano (Milano). Rispetto alla sentenza di primo grado cambia lievemente la pena, scesa a cinque anni e sei mesi (dieci mesi in meno) perché il giudice ha concesso le attenuanti generiche in virtù del fatto che la vittima fu risarcita fuori dal dibattimento. Si conclude così uno dei processi più dolorosi e scabrosi per l'arcidiocesi di Milano, coinvolta nella triste vicenda per proprietà transitiva; don Galli non fu subito avviato ad indagine previa e non fu fermato dall'allora vicario episcopale, Mario Delpini, oggi arcivescovo della metropoli lombarda. Ma fu semplicemente spostato da Rozzano a Legnano, sempre a contatto con gli adolescenti. Il lungo calvario della famiglia della vittima si è concluso dieci anni dopo i fatti, avvenuti fra il 20 e il 21 dicembre quando il prete catechista invitò il ragazzo a «dormire nel lettone» nel suo appartamento privato. Per due volte i giudici hanno creduto alla versione del giovane, messa in dubbio a lungo dalla Curia e dal Vaticano, che per anni hanno intrecciato rapporti epistolari contrappuntati dalla freddezza burocratica nei confronti della famiglia. Mentre la mamma Cristina, fervente cattolica, chiedeva l'abbraccio della Chiesa e il riconoscimento degli errori del sacerdote, i vertici ecclesiastici si sono sempre trincerati dietro frasi di circostanza e inviti alla preghiera. Da qui la denuncia, i due processi e le due condanne. Con il sostituto procuratore generale Bianca Bellucci a sottolineare: «La sofferenza della parte lesa è stata così evidente che non c'era necessità di fare appello». Alla fine i genitori del giovane si sono ritenuti soddisfatti: «Siamo decisamente sollevati». L'avvocato Fulvio Gaballo ha aggiunto: «Bene così, il fatto è stato cristallizzato. Hanno concesso le attenuanti generiche, che erano state escluse dalla sentenza di primo grado, ma ci potevano stare. Speravamo di no perché i fatti sono molto gravi, però la Corte d'appello emette le sentenze a distanza di tempo e ce lo potevamo aspettare». Anche l'arcidiocesi di Milano ha commentato la sentenza con una nota confermando che «don Galli resta sospeso da ogni incarico pastorale e non può esercitare pubblicamente il ministero sacerdotale» e la diocesi «esprime ancora una volta la vicinanza alla vittima e alla sua famiglia». Il giudizio lascia aperta una contraddizione: due volte condannato da un Tribunale italiano, il sacerdote è stato assolto «per insufficienza di prove» nel processo del Tribunale ecclesiastico regionale lombardo con atti secretati e trasferiti a Roma. Una difformità legittima ma che balza all'occhio. La famiglia ha più volte chiesto di venire a conoscenza delle motivazioni di tale assoluzione, ma non ha ottenuto nulla. In attesa del verdetto del tribunale vaticano, i primi passi suonano a smentita rispetto a due capisaldi di papa Francesco: la trasparenza sui documenti riguardanti atti di pedofilia dei sacerdoti e una severità maggiore nel giudicare gli abusi sessuali. Nell'arringa del primo processo, lo stesso professor Mario Zanchetti (difensore di don Galli e storico legale della diocesi milanese), aveva detto: «C'erano fatti di rilevanza canonica ma non di rilevanza penale. C'erano fatti di rilevanza etica, morale, reputazionale». Forse si sbagliava.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
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