2024-01-24
Le uniche critiche mosse dalle Regioni al piano pandemico sono sui pochi soldi
In una lettera al ministero della Salute, i governatori non fanno cenno a chiusure e vaccini. Obiezioni solo sui finanziamenti.Non sono state definite le risorse a disposizione. Il piano pandemico 2024-2028 solleva perplessità nelle Regioni non perché ripresenta lockdown, mascherine, obblighi vaccinali, ma per l’assenza di indicazioni sui fondi vincolati. «Si evidenzia quale punto prioritario, preliminare all’approvazione del nuovo piano, l’imprescindibile definizione del finanziamento a sostegno dello stesso, già a partire dal 2024, per garantire la continuità delle attività già avviate con il precedente piano, specificando eventuali vincoli di destinazione del finanziamento destinato a ciascuna Regione e Provincia autonoma», scrivono i governatori in una nota inviata al ministero della Salute. Mere questioni economiche, nessuna preoccupazione perché il piano rende le emergenze sanitarie problemi di sicurezza nazionale che limitano le stesse autonomie regionali, come si è ampiamente visto durante la pandemia. Quando nella bozza del piano che verrà approvato dalla Conferenza Stato-Regioni si dichiara che «il diritto alla salute giustifica […] l’adozione di misure che limitano quei diritti fondamentali dell’individuo il cui pieno esercizio è, tuttavia, incompatibile con le misure di prevenzione e di contrasto della pandemia necessarie, secondo i più accreditati protocolli scientifici, alla tutela della salute individuale e collettiva», viene di fatto limitato l’intervento vagliato dalla singola Regione. Davanti a incidenza di contagi secondo parametri ministeriali, il presidente della giunta non potrà dimostrare livelli di rischio inferiori a freddi algoritmi, e nemmeno impedire chiusure di aree, forse dell’intero territorio di sua competenza come accadeva durante il sistema «a semaforo». Le istanze economiche e commerciali saranno sacrificate in nome di misure restrittive del tutto simili a quelle applicate dai dpcm di Speranza. Ricorderete quando il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, parlò di «schiaffo» che Roma aveva dato «a tutti i lombardi» in quanto l’ex ministro della Salute aveva basato la decisione «su numeri ormai superati». L’allora presidente facente funzioni della Regione Calabria, Nino Spirlì, dichiarò: «Impugneremo la nuova ordinanza del ministro della Salute che istituisce la zona rossa in Calabria. Questa Regione non merita un isolamento che rischia di esserle fatale». Lamentava di aver parlato con ministri, con l’allora commissario all’emergenza Domenico Arcuri ma di non aver visto modifiche «rispetto alla volontà, evidentemente preconcetta, di “chiudere” una Regione i cui dati epidemiologici, di fatto, non giustificano alcun lockdown, soprattutto se confrontati con quelli delle nostre compagne di sventura: Lombardia, Piemonte e Val d’Aosta». Speranza fu solo capace di controbattere sprezzante: «Serve unità e responsabilità. Non polemiche inutili». La rabbia, l’impotenza di quei mesi in balia della cabina di regia, dove sono finiti? Le preoccupazioni dei governatori oggi appaiono solo economiche. Nel documento chiedono che per l’avvio del piano dal 2024 sia «mantenuto il finanziamento previsto per il 2023», 300 milioni di euro, «salvo procedere a conguagli successivi esperite le procedure di valutazione dei costi previste dallo sviluppo del nuovo piano. In particolare, analogamente al precedente piano 2021-2023, le risorse necessarie per la realizzazione dei piani pandemici regionali devono essere finanziate con fondi specifici vincolati all’attuazione del piano nazionale e aggiuntivi rispetto al finanziamento del Fondo sanitario nazionale». Giuste osservazioni, senza risorse i piani non funzionano, ma anche se sono mal impostati hanno poche possibilità di risultare efficaci. Possono togliere libertà e diritti, già l’abbiamo sperimentato sulla nostra pelle quando erano premier Giuseppe Conte e Mario Draghi, ma se l’idea è quella di farci vivere in continua preparazione di nuove emergenze sanitarie, come vuole l’Oms e gli Stati stanno obbedendo, fronteggiare le minacce richiederebbe altri provvedimenti che non siano lockdown o vaccino per tutti. Galeazzo Bignami di Fdi, viceministro alle Infrastrutture, un percorso di correzione alla bozza l’aveva indicato. Con La Verità ragionava, per esempio, sulla necessità di «precisare meglio tutte le fasi di risposta all’emergenza che andrebbero seguite, anche facendo riferimento al Regolamento sanitario internazionale». E ricordava che dopo le linee generali «ogni Regione, poi, dovrà redigerne uno proprio», di piano. Proprio alla luce di quanto diventerà vincolante lo strumento di prossima attuazione, i governatori dovrebbero ben riflettere su che cosa significa affermare che nell’ambito della salute pubblica il territorio deve «essere in grado di rispondere con tempestività ai bisogni della popolazione e garantire gli interventi di prevenzione necessari anche in caso di un’emergenza infettiva». Interventi che, si specifica in altra parte della bozza, «sono motivati da una condizione di necessità». Stabilita a Roma, o in base alle singole situazioni regionali?
Robert F.Kennedy Jr. durante l'udienza del 4 settembre al Senato degli Stati Uniti (Ansa)
Antonio Decaro con Elly Schlein a Bari (Ansa)