2020-07-26
Criticano Salvini e poi dicono le stesse cose
Il sindaco di Lampedusa, Salvatore Martello (Ansa)
Se il leader della Lega afferma che a Lampedusa la situazione è ingestibile, il sindaco dem lo bolla come «giullare». Salvo poi dichiarare lo stato d'emergenza perché i centri d'accoglienza sono pieni. Ormai la sinistra ragiona in modo schizofrenico.Lo chiamano Totò e lui cerca di essere all'altezza comica del nome. Per esempio: se arriva Matteo Salvini per denunciare che a Lampedusa c'è un'emergenza, lo bolla subito come «giullare». Subito dopo, però, lui stesso denuncia che a Lampedusa c'è un'emergenza. «Se il governo non interviene, lo faccio io», tuona usando le stesse parole usate dal leader della Lega. Ma proprio le stesse. Identiche. Prima le respinge con sdegno, poi le fa sue. Roba da Totò, per l'appunto. Totò le Mokò dell'isola. Totò, Peppino e la malafemmina dell'immigrazione. È una gag continua. «Non bisogna fomentare la rabbia», sentenzia per esempio quando l'ex ministro dell'Interno denuncia la situazione ingestibile del locale centro d'accoglienza. E poi subito dopo ripete come un pappagallo: nel locale centro d'accoglienza «la situazione è ingestibile», fomentando la rabbia di tutti. A cominciare ovviamente dalla sua. Uno spettacolo.Povero Salvatore Martello, detto Totò, sindaco di Lampedusa, maschera comica nel mezzo della tragedia. Da sempre finisce schiacciato nell'incrocio maledetto fra la realtà e l'ideologia. Comunista di sinistra, bersaniano, cuperliano, mai renziano per non spostarsi troppo a destra, era finito già nel mirino dei compagni quando, qualche anno fa, aveva osservato un dato di cronaca: «I bar di Lampedusa sono pieni di tunisini che si ubriacano e molestano le donne». Scoppiò il finimondo. La solenne cantoria dell'internazionale dell'accoglienza si levò a ugole unite contro di lui con un concerto di articolesse e giulianesgrene indignate: «Ma come si permette? Non era uno dei nostri? Allucinante. Indegno. Convertito da Salvini». E il povero Totò dovette espiare con anni di giaculatorie anti leghiste quell'ignobile macchia di realtà che aveva lasciato trapassare sul mantello dell'ideologia.Lui è fatto così. Ci ricasca ogni volta. In quel brodo di ideologia ci sguazza da sempre. Si riempie la bocca con le frasi da Fuocoammare, accoglienza e porti aperti. «In mare non esistono circolari: se c'è bisogno io chiedo di entrare e tu mi devi fare entrare». Oppure: «Il mare non è un'autostrada dove alzi una paletta e blocchi una macchina in transito». E ancora: «Il nostro porto è sempre aperto, siamo sempre pronti a dare accoglienza». Poi, però, quando il centro di accoglienza scoppia, quando ci sono mille persone dove non dovrebbero essercene neppure cento, quando non si riesce a controllare se fra i nuovi arrivati ci sono infetti da coronavirus o no, quando quelli che dovrebbero stare in quarantena scappano e mettono a rischio la salute dei propri concittadini e dei turisti, quando insomma la realtà procede per la sua strada indifferente ai proclami dell'ideologia, senza piegarsi (ingrata) alle parole d'ordine del buonismo, ecco che il sindaco inevitabilmente inciampa nella realtà (i tunisini che stuprano, l'emergenza da dichiarare). E la proclama ingenuamente. Senza accorgersi che così sta distruggendo tutta la costruzione farlocca di cui s'era fino ad allora beato.Salvini l'ha definito un «poveretto». Lui s'è risentito e ha rivendicato la sua origine di pescatore, anche se ora gestisce uno dei principali hotel dell'isola. Ma non è nella bega personale che vogliamo entrare. Non ci interessano le divergenze antiche, le ripicche, le mancate visite al Viminale. A volte le grandi avversioni nascono da ragioni meschine. E in questa vicenda il sindaco rischia solo di fare brutta figura. Quando, per dire, definisce l'ex ministro «mentitore seriale» perché gli sbarchi c'erano anche l'anno scorso, dice una scemenza smentita dai numeri del ministero dell'Interno (nel 2019 gli sbarchi ammontavano a quota 3.508 contro gli 11.334 di oggi). E i numeri si sa non sono un'opinione. Ma tutto ciò è piuttosto piccino e non meriterebbe attenzione, se non fosse che nel bipolarismo istituzionale di cui è vittima Totò le Mokò di Lampedusa si possono intravvedere tracce di una, seppur tragica, grandezza.Infatti questo suo essere un giorno dottor Jekyll contro Salvini e il giorno dopo mister Hyde che usa le stesse parole di Salvini, questa metamorfosi ripetuta, questo ondeggiare tra l'insulto e l'imitazione, questa capacità di indignazione rivoltabile e double-face, sono il segno evidente della più drammatica delle scissioni che vive tutta sinistra, quella tra l'ideologia e la realtà. E che sul tema dell'immigrazione raggiunge il culmine. La realtà infatti dice che Salvini ha ragione, ma bisogna dire che Salvini ha torto. A tutti i costi. Pure Marco Minniti nell'intervista di ieri al Foglio in fondo lo ammette: «Solo quello che è legale e regolato garantisce il diritto alla salute», dichiara infatti. Ergo l'immigrazione clandestina mette a rischio la salute di tutti. Però non bisogna lasciare che lo dica il leader della Lega perché lui va sconfitto. Come se il vero problema dell'Italia fosse sconfiggere Salvini, non il coronavirus o i trafficanti di uomini. La differenza è che Minniti, che è raffinato, affoga tutto ciò in un fiume di ragionamenti, giri di parole e formule forbite che riescono a mascherare il bipolarismo acuto e molesto. Invece il povero Totò, che è un pescatore, lo dice come gli viene. Le stesse cose ma in modo naif. Spontaneo. Pane al pane e emergenza all'emergenza. E così, poveretto, rischia ogni volta di svelare l'orrendo giochetto. Oltre che, naturalmente, di far la figura del pirla.