2023-05-31
La minoranza piddina gongola e dà il via alla fase logoramento
Vincenzo De Luca e Alessandro Alfieri (Ansa)
Alessandro Alfieri (Base riformista): «Perdiamo i moderati». Vincenzo De Luca prepara la vendetta. E pure la portavoce di Enrico Letta punge Elly Schlein.Giuseppi replica alla leader del Pd sulle alleanze: «Serve un’idea diversa di Paese, non basta salire sullo stesso palco». E mobilita il M5s sulle sue battaglie identitarie.Lo speciale contiene due articoli.«È andata, è andata». L’autorevole esponente del Pd, interpellato sul destino di Elly Schlein, dopo la devastante sconfitta alle amministrative, è talmente tranchant da sorprenderci: «In che senso è andata? Di già?», chiediamo. «Ma sì», risponde il nostro interlocutore, vecchia volpe dem, «ora inizierà il logoramento, la stritoleranno. Elly è sola, si è circondata di un gruppetto di amici, quasi tutti emiliani, e alla fine l’unico con il quale tratta è proprio Stefano Bonaccini». La minoranza interna è pronta a farle la guerra? «Minoranza? La maggioranza, vorrai dire! Non dimenticare che gli iscritti avevano scelto Bonaccini». Altro giro, altra telefonata, altro esponente di primissimo piano dell’area moderata dem: «La Schlein ha bisogno di un periodo di rodaggio», concede il nostro interlocutore, «è una personalità esterna al partito, non lo conosce, lei stessa non sta andando in tv perché vuole prima imparare a rispondere bene alle domande. Certo l’idea di fare del Pd un partito radicale di massa è impraticabile. Sui temi che interessano alle famiglie, come l’autonomia differenziata, il lavoro, il fisco, per adesso non abbiamo una posizione riconoscibile». A proposito di rodaggio, la Schlein dovrà prestare un po’ di attenzione anche a come costruisce l’agenda: pensate che aveva fissato per ieri, il giorno dopo i ballottaggi, l’incontro a Bruxelles con la delegazione dei parlamentari europei del suo partito. Missione annullata in fretta e furia e trasformata in un collegamento da remoto, ma bastava sfogliare il manuale dei giovani segretari per capire che, al di là del risultato, il giorno dopo un turno elettorale importante si resta in sede a fare il punto della situazione e non si svolazza in giro per l’Europa. Tra l’altro, nel collegamento video con gli eurodeputati Pd, che ha portato alla riconferma di Brando Benifei a capogruppo, si è discusso pure dell’invio di altre armi in Ucraina, e la linea della segretaria è all’insegna del via libera, seppure con qualche sfumatura, il che rende complicata la riconciliazione con il M5s di Giuseppe Conte, che resta contrario. Un bel rompicapo pure questo, per Elly, che prima di diventare leader del Pd aveva fatto capire di essere perplessa sull’escalation, ma che una volta ottenuta la segreteria ha rimodulato la sua posizione. Di fronte a questo caos, ridono di gusto quelli che il Pd lo hanno lasciato dopo l’elezione di Elly, come i senatori Enrico Borghi e Carlo Cottarelli (oggi l’Aula del Senato voterà a scrutinio segreto sulla sua richiesta di dimissioni da Palazzo Madama) e l’ex ministro Beppe Fioroni, mentre sogghignano gli avversari interni. I moderati di Base riformista, innanzitutto, ex renziani capitanati da Lorenzo Guerini, corrente della quale il senatore Alessandro Alfieri è portavoce nazionale: «È ora che tutti superino le reciproche diffidenze», dice Alfieri alla Stampa, «il centrosinistra va ricompattato. Il Pd deve saper parlare a tutti, anche ai moderati, oltre che alla sinistra. La sconfitta non va sottovalutata. Le alleanze non si costruiscono a tavolino, un errore fatto in passato, ma con il lavoro politico quotidiano: sarà lì che andranno superate le diffidenze a tessere un dialogo che porti a ricompattare il centro-sinistra». Avversario della Schlein è pure il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, o meglio viceversa, visto che Elly ha detto chiaro e tondo di essere contraria a un terzo mandato per lo sceriffo di Salerno, e che pure il posto da vicecapogruppo del figlio Piero è in bilico, nonostante sia la Campania l’unica regione dove il Pd ha tenuto: «Cari ragazzi», risponde sorridendo De Luca senior ai cronisti che gli chiedono di commentare la sconfitta, «diremo parecchie cose, ma non adesso. Parleremo, ma con calma». Aspetta al varco Elly Schlein, ma con fare più sornione, il presidente della Puglia, Michele Emiliano, che come De Luca alle primarie aveva sostenuto Bonaccini, così come i cattolici guidati da Graziano Delrio. Sono passati da Bonaccini alla Schlein, dopo le primarie, i lettiani, anche se ieri la portavoce dello stesso Enrico Letta, Monica Nardi, su Twitter ha perso la pazienza: «Lo scaricabarile, vi prego, no», ha scritto la Nardi, «Enrico Letta le amministrative le ha stravinte e per due anni di seguito: 5-0 nel 2021 e vittoria a valanga a giugno 2022. Poco dopo ha perso (male) le politiche. Ma non ha cercato alibi e non ha mai sparato contro nessuno del Pd». Con chi ce l’ha, la Nardi? Probabilmente con Francesco Boccia, «elliano» della prima ora, voluto dalla Schlein come capogruppo al senato: «Sforziamoci di fare un’analisi onesta», ha commentato Boccia, «Elly Schlein si è insediata il 12 marzo, tutte le alleanze erano chiuse, così come le liste. Le alleanze sono state fatte dal gruppo dirigente precedente, di cui io per primo facevo parte». A proposito di gruppi dirigenti: di quello nuovo fa parte Emiliano Fossi, segretario regionale del Pd in Toscana e deputato. Il suo Pd ha perso ovunque: a Massa, Pisa, Siena, e pure a Campi Bisenzio, comune del quale Fossi era sindaco, prima di dimettersi per andare a Montecitorio. Risultato: elezioni comunali anticipate e sconfitta. «Basta perdere!», recitava un cartello esposto da Fossi contro l’ex gruppo dirigente del Pd. Infatti: è il momento di straperdere.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/crisi-pd-schlein-2660723733.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="conte-gia-rottama-il-campo-largo" data-post-id="2660723733" data-published-at="1685481969" data-use-pagination="False"> Conte già rottama il «campo largo» Nostalgia giallorossa: il tema dell’alleanza tra Pd e M5s travalica i confini della politica e sfocia nella commedia dell’arte. Alle politiche dello scorso 25 settembre l’allora segretario dem, Enrico Letta, decise, nel nome della santa alleanza pro Ucraina, di impedire qualsiasi tentativo d’accordo anche solo tecnico con il M5s, consegnando il trionfo a Giorgia Meloni; ieri la nuova (ma già in fase di rottamazione) leader, Elly Schlein, è tornata a parlare di campo largo come unica strada per essere competitivi con il centrodestra. Manco a dirlo, Giuseppe Conte ha ridicolizzato la proposta: «Sono convinto», ha detto Conte, «che la Meloni non si batta con i campi larghi, la Meloni si batte con un’idea diversa di Paese. Perché fare opposizione dicendo non va bene questo, siete incapaci, inadeguati è sicuramente un primo passaggio, ma per dare una prospettiva concreta devi dire anche come interverresti. Siamo disposti a dialogare con il Pd, con Schlein, ma siamo disposti a farlo su temi e progetti, misurandoci su risposte concrete ai bisogni della comunità nazionale senza compromettere le nostre battaglie più significative». Fortunato, Giuseppi: il M5s era già crollato al primo turno delle amministrative, e così ieri l’ex premier ha dovuto analizzare un sola sconfitta, quella di Brindisi, unica città dove il M5s era ancora in gioco: «Brindisi», ha commentato Conte, «è una città che, storicamente, ha pagato un dazio elevatissimo alle fonti fossili. Il nostro progetto di transizione ecologica evidentemente non è stato spiegato bene, non è apparso persuasivo, pure in un contesto di grande difficoltà». Archiviata la pratica, Conte è tornato a parlare della prospettiva di alleanza con il Pd: «Per offrire un’alternativa al centrodestra», ha sottolineato il leader pentastellato, «non è decisiva la presenza insieme su un palco per qualche ora, serve la costruzione di un progetto politico nel confronto con le altre forze politiche, tra le quali anche il Pd di Schlein. Dialogo non può significare un incontro di vertice che risolve il problema dell’offerta politica, che va invece costruita con progettualità, va spiegata per bene, e sicuramente occorre anche del tempo per spiegarla. Bisogna assicurare presenza nelle città e nei quartieri tutti i giorni. Per questo, dopo una laboriosa attività istruttoria interna», ha annunciato Conte, «oggi partono 84 gruppi territoriali, i primi gruppi che lavoreranno in questa direzione. Molti altri gruppi partiranno nelle prossime settimane. Questo ci porterà ad allontanarci dalle vecchie logiche delle sezioni dei partiti, raccogliendo i problemi e i bisogni delle comunità locali attraverso il civismo attivo, ossia l’esercizio di una cittadinanza consapevole, promuovendo anche la partecipazione democratica dei cittadini». Al di là delle belle parole, è evidente che Conte, dopo la scoppola elettorale, non ha alcuna intenzione di farsi imbrigliare da un Pd lacerato, costretto a tenere dentro sensibilità opposte, dai nostalgici di Matteo Renzi alle sardine in tenda. Considerato che le Europee 2024 si svolgeranno con il proporzionale, Conte vuol puntare tutto sui temi identitari del M5s, a partire dal «no» a ulteriori invii di armi in Ucraina, unico tema forse che potrebbe portare i pentastellati a intercettare un po’ di consenso degli italiani, sempre che (speriamo proprio di no) l’anno prossimo il conflitto non sia ancora finito. La riedizione della gioiosa macchina da guerra giallorossa, in sostanza, sembra un miraggio: il centrodestra continua a non avere avversari in grado di contrastarne l’inarrestabile crescita, un quadro politico destinato a non cambiare ancora per molto, moltissimo tempo.
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