- Il prossimo anno le vetture dovranno emettere meno CO2: l’elettrico non ha sfondato e per le case il rischio è di dover tagliare la produzione o pagare multe fino a 13 miliardi di euro. Da qui la richiesta dei costruttori a Bruxelles di far slittare la misura.
- Crisi Germania: Il colosso della logistica Schenker venduto per ridurre i debiti. Crollano le ore lavorate.
Il prossimo anno le vetture dovranno emettere meno CO2: l’elettrico non ha sfondato e per le case il rischio è di dover tagliare la produzione o pagare multe fino a 13 miliardi di euro. Da qui la richiesta dei costruttori a Bruxelles di far slittare la misura.Crisi Germania: Il colosso della logistica Schenker venduto per ridurre i debiti. Crollano le ore lavorate.Lo speciale contiene due articoli.A Ursula von der Leyen non basta che la Volkswagen, per la prima volta nella sua storia, stia pensando di chiudere uno stabilimento in Germania; non basta che la Volvo, oltre la stessa Volkswagen, abbia annunciato un forte ridimensionamento della produzione di auto elettriche; che Mercedes continuerà a fornire motori endotermici anche dopo il 2030 (correggendo la strategia resa nota in precedenza); non basta che Stellantis, a Mirafiori, fermi la produzione della 500 a batteria e che i dati continuino a dire che nessuno in Europa vuole i veicoli green. Lei va avanti, imperturbabile, a ribadire le scadenze della transizione ecologica.Anche ieri, mentre Bloomberg rendeva noto un documento riservato di Acea (l’Associazione delle case automobilistiche europee) con una valutazione degli effetti, da lacrime e sangue, delle norme restrittive sulle emissioni di CO2 dell’automotive a partire dal 2025, il presidente della Commissione europea, parlando alla Dld nature conference a Monaco di Baviera, rilanciava il mantra del Green deal: «Negli ultimi cinque anni abbiamo trasformato i nostri obiettivi climatici in legge. Abbiamo un set completo di regole chiare in atto. Ma mentre le implementiamo, dobbiamo anche incentivare coloro che si impegnano al massimo», ha detto, addolcendo la pillola con la promessa di «ricompense» all’agricoltura, uno dei settori che maggiormente soffrirebbero del giro di vite sulle emissioni.Il tutto condito dalla consueta retorica ecologista: «Vogliamo che la decarbonizzazione sia una fonte di crescita e innovazione, un’economia circolare e competitiva, che restituisca alla natura più di quanto le tolga». Non una parola sull’auto, probabilmente per non girare il coltello sulla ferita aperta del comparto, ma l’indicazione di come intende procedere è chiara. Nessun deragliamento, nessuna concessione rispetto all’agenda della transizione ecologica. Che sia in parte tattica perché in questo momento ha bisogno del sostegno dei verdi e del gruppo socialista per far passare le nomine dei commissari, non è dato sapere. Ma il tempo stringe perché da gennaio 2025 sono previsti limiti di emissioni molto rigidi che passano dagli attuali 116 grammi di CO2 a km per veicolo a 94 grammi. Un obiettivo che sarebbe stato possibile raggiungere solo aumentando in maniera importante la quota di auto elettriche, almeno fino a raggiungere il 20-22% del totale delle immatricolazioni. Invece le vetture a spina sono sotto il 15% del venduto e i veicoli commerciali molto sotto questa soglia: così gli obiettivi posti dalla Ue per il 2025 sono sostanzialmente impossibili da raggiungere.Da qui il grido dall’allarme dei costruttori e la richiesta di posticipare di due anni queste scadenze. Secondo un documento non ufficiale di Acea, visionato da Bloomberg, le case automobilistiche, senza un rinvio di tali obiettivi, si troverebbero o a dover pagare multe fino alla spaventosa cifra di 13 miliardi di euro e 3 miliardi per i furgoni o a dover tagliare la produzione di oltre 2 milioni di auto tradizionali, con disastrose conseguenze in termini di disoccupazione, (milioni di posti di lavoro che saltano), tensioni sociali, caduta della produzione industriale e impoverimento economico. Oltre al grande regalo all’industria cinese. Come ieri ha evidenziato il direttore Maurizio Belpietro, «è il fallimento di una politica industriale europea. Anzi il suicidio di un settore che, per circa un secolo e mezzo, ha rappresentato la grande industria». La cosiddetta transizione energetica sta «condannando il settore dell’automotive all’estinzione».Esattamente come si trova riportato nel documento informale rivelato da Bloomberg in cui si dice che «l’Ue è in crisi a causa della bassa domanda di veicoli elettrici da parte dei consumatori e della concorrenza sleale dei produttori di veicoli elettrici dei Paesi terzi, il che significa che l’industria non sarà in grado di raggiungere questi obiettivi di riduzione».Una conferma di quello che si respira nelle case automobilistiche viene da un recente intervista rilasciata dal ceo della Renault, gruppo peraltro con una grossa presenza pubblica nell’azionariato. Luca De Meo, aveva già anticipato che se «i veicoli elettrici dovessero rimanere a livello attuale, l’industria automotive europea si potrebbe ritrovare a pagare 15 miliardi di euro di sanzioni o, in alternativa, rinunciare alla produzione di 2,5 milioni di auto». D’altra parte, spiegava, la velocità del passaggio all’elettrico è la metà di quella necessaria per raggiungere quegli obiettivi che consentirebbero al settore di non incappare nelle sanzioni». Aggiungendo che la Commissione europea dovrebbe avere «un po’ di flessibilità». Anche se Acea ha precisato di non aver rilasciato alcun documento ufficiale, si tratta comunque di un sentiment del settore considerato che De Meo è l’attuale presidente dell’Associazione.È, quindi, sempre più evidente la necessità di rivedere scelte improvvide che rischiano di colpire pesantemente un’industria fiore all’occhiello della manifattura europea e non condivise dai consumatori. Qui si inserisce la richiesta del ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, di anticipare al 2025 la possibilità di rivedere la scadenza del 2035 sullo stop alla vendita dei motori endotermici, «per coniugare le necessità della transizione con quelle industriali e sociali». A questo si collega l’urgenza di intervenire, a questo punto nelle prossime settimane, sugli obblighi relativi alle emissioni per il 2025 proprio per evitare la desertificazione dell’automotive in Europa.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/crisi-auto-elettrica-2669202712.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ferrovie-in-rosso-boom-di-fallimenti-la-germania-sprofonda-nel-baratro" data-post-id="2669202712" data-published-at="1726261488" data-use-pagination="False"> Ferrovie in rosso, boom di fallimenti. La Germania sprofonda nel baratro La crisi industriale in Germania pare appena agli inizi e i segnali che arrivano sono davvero pessimi. Giovedì le ferrovie tedesche, Deutsche bahn (Db), hanno annunciato la vendita della società di logistica del gruppo, Db Schenker, per la cifra di 14,3 miliardi di euro, al colosso danese della logistica Dsv. Il gruppo ferroviario tedesco è nel mezzo di una grave crisi operativa e finanziaria e cerca, dunque, di fare cassa per alleggerire il peso del debito. In effetti, Schenker era l’unica società del gruppo in grado di portare un utile significativo (un miliardo di euro l’anno l’utile operativo). Dunque, privarsene avrà l’effetto di affossare il conto economico delle ferrovie. In cambio, Db guadagnerà tempo per la necessaria e dolorosa ristrutturazione, visto che il ricavato della vendita andrà integralmente ad abbattere il debito, salito quest’anno alla ragguardevole cifra di 32 miliardi. Nonostante la vendita dell’unico gioiello del gruppo, secondo i piani di ristrutturazione di Db sarà necessaria la soppressione di circa 30.000 posti di lavoro nei prossimi tre anni. Una cura da cavallo che vede i sindacati nettamente contrari. L’obiettivo del ministro dei Trasporti tedesco, il liberale Volker Wissing, è che «Db si concentri sulla sua attività principale: il trasporto ferroviario in Germania», come ha affermato in una nota. Dopo l’approvazione da parte del consiglio di sorveglianza delle ferrovie e del ministero federale dei Trasporti, l’acquisto dovrebbe essere completato formalmente nel secondo trimestre del 2025. Il capo del sindacato dei ferrovieri Evg, Martin Burkert, ha però affermato che esprimerà voto favorevole alla cessione solo «dopo attento esame e considerazione». Dsv intende tagliare dai 1.600 ai 1.900 posti di lavoro nella parte impiegatizia, dove vi sarebbero molte sovrapposizioni. Schenker aveva già pianificato di tagliare circa 800 posti di lavoro, ma Dsv, a quanto pare, vuole fare di più. Il nuovo gruppo che nasce dalla fusione avrà un fatturato di 40 miliardi l’anno e quasi 150.000 dipendenti. Nel frattempo, il numero di fallimenti in Germania è in aumento del 25% nei primi sei mesi del 2024, raggiungendo la cifra di 10.702, con perdite per i creditori pari a 32 miliardi (erano 14 miliardi nei primi sei mesi del 2023). Gli assicuratori di Allianz trade prevedono in totale oltre 20.000 fallimenti per il 2024, più di un terzo dei quali nell’industria. Secondo una indagine di Crif, nel primo semestre di quest’anno le fatture commerciali in Germania sono state pagate con 27,2 giorni di ritardo, otto giorni in più rispetto allo stesso periodo del 2023. Nel mese di agosto il 14% delle aziende tedesche ha fatto ricorso a riduzioni dell’orario di lavoro (+1,8% rispetto a maggio) e nei prossimi mesi il 23% delle aziende prevede di farvi ricorso. Colpiti soprattutto i settori dei metalli, apparecchiature elettriche, meccanica, auto. Intanto la crisi della Thyssenkrupp si avvita in una trama degna di una serie televisiva come Succession. Trapelano dettagli clamorosi su una tumultuosa riunione del consiglio di sorveglianza dell’azienda di fine agosto, in cui l’amministratore delegato Miguel López avrebbe dato in escandescenze e a seguito della quale mezzo consiglio di sorveglianza si è dimesso. Dopo la riunione, i dipendenti hanno intonato cori da stadio «López fuori!» mentre nello stabilimento di Duisburg risuonava Zehn kleine Jägermeister, una canzone punk su come, alla fine, di dieci personaggi sia rimasto solo uno. Ieri Continental, la società tedesca fornitrice di pneumatici e componenti auto, ha fatto sapere che «i licenziamenti forzati in singole sedi amministrative non possono essere del tutto esclusi». Continental ha già licenziato circa 5.000 dipendenti nel 2023 ed è nel mezzo di una ristrutturazione pesante. In grave crisi anche una grande società di consulenza tedesca, la Goetzpartners, i cui due dirigenti sono stati arrestati per frode e manipolazione del mercato. La crisi dell’auto tedesca è, quindi, solo la punta, assai visibile, di un iceberg che emergerà nelle sue reali dimensioni a partire dall’autunno.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Carlo Cambi
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Oggi, a partire dalle 10.30, l’hotel Gallia di Milano ospiterà l’evento organizzato da La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Una giornata di confronto che si potrà seguire anche in diretta streaming sul sito e sui canali social del giornale.
Clicca qui sotto per consultare il programma completo dell'evento con tutti gli ospiti che interverranno sul palco.
Evento La Verità Lunedì 15 settembre 2025.pdf
Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Il conservatore americano era aperto al dialogo con i progressisti, anche se sapeva che «per quelli come noi non ci sono spazi sicuri». La sua condanna a morte: si batteva contro ideologia woke, politicamente corretto, aborto e follie del gender.
Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?