
La Tether di Paolo Ardoino e Giancarlo Devasini ha, però, un altro obiettivo: scalzare l’euro digitale.Scalare la Juventus degli Agnelli Elkann con i soldi degli africani. Giancarlo Devasini e Paolo Ardoino, maghi delle criptovalute e inventori di Tether, sono destinati a entrare nella storia della finanza solidale. Anche se dalla porta della cucina. La loro stablecoin, una moneta digitale agganciata al dollaro Usa, vanta oltre 400 milioni di utenti e ha una capitalizzazione di mercato di 135 miliardi di euro. I detentori di Tether sono individui e Stati in via di sviluppo, come la Nigeria e i suoi 227 milioni di abitanti, che le banche tradizionali hanno dimenticato e ai quali questa coppia di italiani offre l’accesso al tempio del Capitale: il biglietto verde. A febbraio, sono spuntati con il 5% nella squadra di calcio più blasonata d’Italia e si sono messi, dicono loro, a disposizione della società che amano teneramente fin da bambini. La prima risposta di John Elkann è stata una porta in faccia: «Non vendiamo». Loro hanno continuato a rastrellare azioni in Borsa e due mesi dopo erano già saliti al 10. Lamentandosi: «Vogliamo cacciare il grano ma non ce lo permettono», ha spiegato il frontman Ardoino ai tifosi. Sarà una guerra di trincea, perché i maghi della cripto non demordono e stanno cercando anche sponde a Roma, nel governo. Che cosa vogliono ottenere? Il bersaglio grosso è spingere Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti a non appoggiare l’euro digitale. E al ministro dell’Economia, intanto, Tether chiede di rivedere le restrizioni sulle criptovalute.[...] Tether nasce nel 2012 grazie all’intuizione di Devasini, che crea un’infrastruttura tecnologica per lo scambio di valute digitali e una stablecoin, ovvero una moneta agganciata al valore del dollaro per limitare le fluttuazioni delle cripto più garibaldine. Da un paio d’anni la società ha sede nel Salvador e ha un’importante base operativa a Lugano, dove Tether è accettato in moltissimi negozi, e ha solidi rapporti con banche svizzere, oltre che con quelle del Far East. [...] Tether però si ostina a non presentare bilanci. Inoltre, non è più acquistabile sulle piattaforme europee perché non è in regola con la normativa Micar, che impone di conservare il 60% delle riserve presso banche Ue. Tether punta ai soggetti «non bancabili», intesi come singoli risparmiatori, investitori o intere nazioni in via di sviluppo, magari in default, o in grave crisi. Si tratta di circa tre miliardi di persone alle quali Devasini e soci offrono servizi rapidi ed efficienti, come le rimesse e i trasferimenti di denaro, e con il suo ancoraggio al dollaro diventa anche uno scudo rispetto a ciò che davvero terrorizza gli abitanti dei Paesi africani (dove ha il 70% di quota di mercato): l’inflazione galoppante. In più, questi soldi stanno fisicamente in un posto assai comodo: il telefonino. Utenti africani, sudamericani o dell’Estremo oriente consegnano dollari in cambio di un token coniato dall’azienda stessa, chiamato Usdt. Tether a sua volta detiene garanzie collaterali, sotto forma di buoni del Tesoro Usa, fondi comuni, bitcoin o prestiti garantiti. Su questa specie di riserva guadagna i normali rendimenti di mercato. [...] Chi ha studiato bene le stablecoin è Fabio Panetta. Il governatore della Banca d’Italia, padre putativo dell’euro digitale, mette in guardia da anni sui rischi [...]: «Se grandi piattaforme tecnologiche estere decidessero di promuoverne l’uso nei pagamenti tra i propri clienti, i mezzi di pagamento tradizionali utilizzati a livello nazionale come banconote e carte potrebbero essere spiazzati». [...]
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





