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2020-11-23
Il cricket in Italia non va più di moda, ma oltre un secolo fa aprì le porte al calcio
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Ansa
Secondo i numeri diffusi dalla Federazione italiana cricket, le società affiliate alla Fcri nel 2020 sono 45. Numeri in crescita rispetto agli anni precedenti, nonostante l'interruzione causata dalla pandemia di Covid-19, e che fanno ben sperare tutto il movimento per il futuro di uno sport che in Italia fatica a imporsi all'attenzione del grande pubblico per svariate ragioni. Su tutte la carenza di strutture e la poca visibilità. Eppure, in giro per lo Stivale si contano circa 100.000 giocatori, la maggior parte, però, si dedica a questo sport di antichissima tradizione a livello amatoriale giocando solo per pura passione nei parchi o addirittura nelle strade, principalmente per la mancanza di strutture e campi regolamentari. Quel che manca, oltre ai fondi necessari per dare vita e continuità a progetti come l'insegnamento nelle scuole, in grado di far conoscere e diffondere questa disciplina alle nuove generazioni, è anche un interesse mediatico che possa far comprendere il gioco nella sua complessità di regole e far appassionare la gente. È uno sport che come altri e più di altri, per essere apprezzato ha bisogno di essere osservato. Ciò costituisce un grosso limite per lo sviluppo di questo sport che fa molta, troppa fatica ad attecchire presso il grande pubblico in Italia.
A livello mondiale, invece, il cricket si piazza al decimo posto della classifica degli sport più praticati. A incidere su questo piazzamento sono i numeri del subcontinente indiano, in particolare India, Sri Lanka, Bangladesh e Pakistan, così come degli altri Paesi del Commonwealth, e quindi Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica, Zimbabwe e Caraibi anglofoni. Solo in India, per esempio, si contano 200 milioni di giocatori di cricket, anche in questo caso, però, molti a livello spontaneo. Sempre in India, la finale di coppa del mondo di cricket è seguita da oltre 100 milioni di spettatori. In Europa solo l'Inghilterra conserva un livello altamente competitivo, con timidi tentativi di Irlanda e Galles.
Per giocare a cricket servono diverse abilità, non solo fisiche: strategia, concentrazione, corsa, precisione. Come nel calcio, le partite si giocano tra due squadre composte da 11 giocatori ciascuna, su un campo in erba che può essere ovale oppure rettangolare, ma più grande rispetto ai campi da calcio. La peculiarità del terreno di gioco è data dalla presenza del pitch, una corsia lunga circa 20 metri e larga 2 che taglia in due il campo, alle cui estremità si trovano tre paletti che formano la porta, in gergo «wickets». I tempi di gioco, gli «innings», sono due. Ogni squadra ha i battitori, i ricevitori o «wicket-keeper» e i «fielders», giocatori che corrono lungo il pitch per raccogliere le palle al volo ed eliminare così i battitori e portare punti alla propria squadra. Vince chi segna più punti.
Quando le squadre di calcio nascevano come club di cricket

(Photo by Neal Simpson/EMPICS via Getty Images)
Affermare che il calcio in Italia ha preso piede grazie al cricket può risultare bizzarro, ma non del tutto lontano dalla realtà. Il 7 settembre del 1893, con il nome di Genoa Cricket and Athletic Club, veniva fondata a Genova la prima squadra di calcio italiana. Inizialmente gli inglesi che diedero vita al Genoa alternavano il cricket al calcio e, nella maggior parte dei casi, chi sapeva praticare uno sport sapeva praticare anche l'altro. Si narra che, infatti, 8 giocatori su 11 della squadra che vinse il primo scudetto nel 1898 erano inglesi che durante la stagione invernale alternavano il cricket al calcio. Tra questi um medico di nome James Richardson Spensley, sbarcato in Liguria nel 1896, che si aggregò al club nelle qualità di portiere, per poi diventarne il presidente. Negli anni successivi, seguirono l'esempio del Genoa altre due grandi squadre del nostro calcio: il Torino e il Milan Football & Cricket Club.
Non è un caso, infatti, se i primi club di calcio nacquero proprio come squadre di cricket nel cosiddetto triangolo industriale del Nord Ovest formato da Genova, Torino e Milano, tre città dove le imprese cominciavano a dare un certo peso allo sport di squadra. Alla fine del diciannovesimo secolo, infatti, molti inglesi arrivavano in Liguria grazie all'importanza dello scalo portuale di Genova dopo l'apertura del Canale di Suez.
Nel giro di un decennio, però, le attività relative al cricket andarono pian piano diminuendo fino quasi a scomparire del tutto durante il periodo fascista. I club si dedicarono esclusivamente al calcio, divenuto nel frattempo lo sport popolare per eccellenza in Italia. Dopo la fine della seconda guerra mondiale si è dovuti ripartire quasi da zero e ha ricominciato a prendere vigore a partire dagli anni Sessanta con la nascita del Milan Club Cricket, la costruzione di un campo a Roma nella Villa Doria Pamphili, mentre per la costituzione dell'Associazione Italiana Cricket serve aspettare il 26 novembre 1980.
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Il gioco con mazza, palla e guantoni resiste nella top ten delle discipline più praticate al mondo, ma fatta eccezione per una manciata di Paesi in cui è sport nazionale, fatica a godere di un certo seguito e popolarità. La Federazione italiana cricket conta 45 società affiliate, mentre a giocarci sono in circa 100.000, la maggior parte a livello amatoriale.La prima squadra italiana di calcio a essere fondata fu il Genoa, nata il 7 settembre del 1893 con il nome di Genoa Cricket and Athletic Club. Anche Milan e Torino iniziarono le loro attività sportive come associazioni di cricket.Lo speciale contiene due articoli.Secondo i numeri diffusi dalla Federazione italiana cricket, le società affiliate alla Fcri nel 2020 sono 45. Numeri in crescita rispetto agli anni precedenti, nonostante l'interruzione causata dalla pandemia di Covid-19, e che fanno ben sperare tutto il movimento per il futuro di uno sport che in Italia fatica a imporsi all'attenzione del grande pubblico per svariate ragioni. Su tutte la carenza di strutture e la poca visibilità. Eppure, in giro per lo Stivale si contano circa 100.000 giocatori, la maggior parte, però, si dedica a questo sport di antichissima tradizione a livello amatoriale giocando solo per pura passione nei parchi o addirittura nelle strade, principalmente per la mancanza di strutture e campi regolamentari. Quel che manca, oltre ai fondi necessari per dare vita e continuità a progetti come l'insegnamento nelle scuole, in grado di far conoscere e diffondere questa disciplina alle nuove generazioni, è anche un interesse mediatico che possa far comprendere il gioco nella sua complessità di regole e far appassionare la gente. È uno sport che come altri e più di altri, per essere apprezzato ha bisogno di essere osservato. Ciò costituisce un grosso limite per lo sviluppo di questo sport che fa molta, troppa fatica ad attecchire presso il grande pubblico in Italia.A livello mondiale, invece, il cricket si piazza al decimo posto della classifica degli sport più praticati. A incidere su questo piazzamento sono i numeri del subcontinente indiano, in particolare India, Sri Lanka, Bangladesh e Pakistan, così come degli altri Paesi del Commonwealth, e quindi Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica, Zimbabwe e Caraibi anglofoni. Solo in India, per esempio, si contano 200 milioni di giocatori di cricket, anche in questo caso, però, molti a livello spontaneo. Sempre in India, la finale di coppa del mondo di cricket è seguita da oltre 100 milioni di spettatori. In Europa solo l'Inghilterra conserva un livello altamente competitivo, con timidi tentativi di Irlanda e Galles.Per giocare a cricket servono diverse abilità, non solo fisiche: strategia, concentrazione, corsa, precisione. Come nel calcio, le partite si giocano tra due squadre composte da 11 giocatori ciascuna, su un campo in erba che può essere ovale oppure rettangolare, ma più grande rispetto ai campi da calcio. La peculiarità del terreno di gioco è data dalla presenza del pitch, una corsia lunga circa 20 metri e larga 2 che taglia in due il campo, alle cui estremità si trovano tre paletti che formano la porta, in gergo «wickets». I tempi di gioco, gli «innings», sono due. Ogni squadra ha i battitori, i ricevitori o «wicket-keeper» e i «fielders», giocatori che corrono lungo il pitch per raccogliere le palle al volo ed eliminare così i battitori e portare punti alla propria squadra. Vince chi segna più punti.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/cricket-2648999206.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="quando-le-squadre-di-calcio-nascevano-come-club-di-cricket" data-post-id="2648999206" data-published-at="1606066307" data-use-pagination="False"> Quando le squadre di calcio nascevano come club di cricket (Photo by Neal Simpson/EMPICS via Getty Images) Affermare che il calcio in Italia ha preso piede grazie al cricket può risultare bizzarro, ma non del tutto lontano dalla realtà. Il 7 settembre del 1893, con il nome di Genoa Cricket and Athletic Club, veniva fondata a Genova la prima squadra di calcio italiana. Inizialmente gli inglesi che diedero vita al Genoa alternavano il cricket al calcio e, nella maggior parte dei casi, chi sapeva praticare uno sport sapeva praticare anche l'altro. Si narra che, infatti, 8 giocatori su 11 della squadra che vinse il primo scudetto nel 1898 erano inglesi che durante la stagione invernale alternavano il cricket al calcio. Tra questi um medico di nome James Richardson Spensley, sbarcato in Liguria nel 1896, che si aggregò al club nelle qualità di portiere, per poi diventarne il presidente. Negli anni successivi, seguirono l'esempio del Genoa altre due grandi squadre del nostro calcio: il Torino e il Milan Football & Cricket Club.Non è un caso, infatti, se i primi club di calcio nacquero proprio come squadre di cricket nel cosiddetto triangolo industriale del Nord Ovest formato da Genova, Torino e Milano, tre città dove le imprese cominciavano a dare un certo peso allo sport di squadra. Alla fine del diciannovesimo secolo, infatti, molti inglesi arrivavano in Liguria grazie all'importanza dello scalo portuale di Genova dopo l'apertura del Canale di Suez.Nel giro di un decennio, però, le attività relative al cricket andarono pian piano diminuendo fino quasi a scomparire del tutto durante il periodo fascista. I club si dedicarono esclusivamente al calcio, divenuto nel frattempo lo sport popolare per eccellenza in Italia. Dopo la fine della seconda guerra mondiale si è dovuti ripartire quasi da zero e ha ricominciato a prendere vigore a partire dagli anni Sessanta con la nascita del Milan Club Cricket, la costruzione di un campo a Roma nella Villa Doria Pamphili, mentre per la costituzione dell'Associazione Italiana Cricket serve aspettare il 26 novembre 1980.
Il ministro ha ricordato che il concorrente europeo Fcas (Future combat aircraft system) avanza a ritmo troppo lento per disaccordi tra Airbus (Francia-Germania) e Dassault (Francia) riguardanti i diritti e la titolarità delle tecnologie. «È fallito il programma franco-tedesco […], probabilmente la Germania potrebbe entrare a far parte in futuro di questo progetto [...]. Abbiamo avuto richieste da Canada, Arabia Saudita, e penso che l’Australia possa essere interessata. Più nazioni salgono più aumenta la massa critica che puoi investire e meno costerà ogni esemplare». Tutto vero, rimangono però perplessità su un possibile coinvolgimento dei sauditi per due ragioni. La prima: l’Arabia sta incrementando i rapporti industriali militari con la Cina, che così avrebbe accesso ai segreti del nuovo caccia. La seconda: l’Arabia Saudita aveva finanziato anche altri progetti e tra questi persino uno con la Turchia, nazione che, dopo essere stata espulsa dal programma F-35 durante il primo mandato presidenziale di Trump a causa dell’acquisto dei missili russi S-400, ora sta cercando di rientrarci trovando aperture dalla Casa Bianca. Anche perché lo stesso Trump ha risposto in modo possibilista alla richiesta di Riad di poter acquisire lo stesso caccia nonostante gli avvertimenti del Pentagono sulla presenza cinese.
Per l’Italia, sede della fabbrica Faco di Cameri (Novara) che gli F-35 li assembla, con la previsione di costruire parti del Gcap a Torino Caselle (dove oggi si fanno quelle degli Eurofighter Typhoon), significherebbe creare una ricaduta industriale per qualche decennio. Ma dall’altra parte delle Alpi la situazione Fcas è complicata: un incontro sul futuro caccia che si sarebbe dovuto tenere in ottobre è stato rinviato per i troppi ostacoli insorti nella proprietà intellettuale del progetto. Se dovesse fallire, Berlino potrebbe essere colpita molto più duramente di Parigi. Questo perché la Francia, con Dassault, avrebbe la capacità tecnica di portare avanti da sola il programma, come del resto ha fatto 30 anni fa abbandonando l’Eurofighter per fare il Rafale. Ma l’impegno finanziario sarebbe enorme. Non a caso il Ceo di Dassault, Eric Trappier, ha insistito sul fatto che, se l’azienda non verrà nominata «leader indiscusso» del programma, lo Fcas potrebbe fallire. Il vantaggio su Airbus è evidente: Dassault potrebbe aggiornare ancora i Rafale passando dalla versione F5 a una possibile F6 e farli durare fino al 2060, ovvero due decenni dalla prevista entrata in servizio del nostro Gcap. Ma se Berlino dovesse abbandonare il progetto, non è scontata l’adesione al Gcap come partner industriale, mentre resterebbe un possibile cliente. Non a caso i tedeschi avrebbero già chiesto di poter assumere lo status di osservatori del programma. Senza Fcas anche la Spagna si troverebbe davanti decisioni difficili: in agosto Madrid aveva dichiarato che non avrebbe acquistato gli F-35 ma gli Eurofighter Typhoon e poi i caccia Fcas. Un mese dopo il primo ministro Pedro Sánchez espresse solidarietà alla Germania in relazione alla controversia tra Airbus e Dassault. Dove però hanno le idee chiare: sarebbe un suicidio industriale condividere la tecnologia e l’esperienza maturata con i Rafale, creata da zero con soldi francesi, impiegata con l’aviazione francese e già esportata con successo in India, Grecia ed Emirati arabi.
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Guido Crosetto (Ansa)
Tornando alla leva, «mi consente», aggiunge Crosetto, «di avere un bacino formato che, in caso di crisi o anche calamità naturali, sia già pronto per intervenire e non sono solo professionalità militari. Non c’è una sola soluzione, vanno cambiati anche i requisiti: per la parte combat, ad esempio, servono requisiti fisici diversi rispetto alla parte cyber. Si tratta di un cambio di regole epocale, che dobbiamo condividere con il Parlamento». Crosetto immagina in sostanza un bacino di «riservisti» pronti a intervenire in caso ovviamente di un conflitto, ma anche di catastrofi naturali o comunque situazioni di emergenza. Va precisato che, per procedere con questo disegno, occorre prima di tutto superare la legge 244 del 2012, che ha ridotto il personale militare delle forze armate da 190.000 a 150.000 unità e il personale civile da 30.000 a 20.000. «La 244 va buttata via», sottolinea per l’appunto Crosetto, «perché costruita in tempi diversi e vanno aumentate le forze armate, la qualità, utilizzando professionalità che si trovano nel mercato».
Il progetto di Crosetto sembra in contrasto con quanto proposto pochi giorni fa dal leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini: «Sulla leva», ha detto Salvini, «ci sono proposte della Lega ferme da anni, non per fare il militare come me nel '95. Io dico sei mesi per tutti, ragazzi e ragazze, non per imparare a sparare ma per il pronto soccorso, la protezione civile, il salvataggio in mare, lo spegnimento degli incendi, il volontariato e la donazione del sangue. Sei mesi dedicati alla comunità per tutte le ragazze e i ragazzi che siano una grande forma di educazione civica. Non lo farei volontario ma per tutti». Intanto, Crosetto lancia sul tavolo un altro tema: «Serve aumentare le forze armate professionali», dice il ministro della Difesa, «e in questo senso ho detto più volte che l’operazione Strade sicure andava lentamente riaffidata alle forze di polizia». Su questo punto è prevedibile un attrito con Salvini, considerato che la Lega ha più volte sottolineato di immaginare che le spese militari vadano anche in direzione della sicurezza interna. L’operazione Strade sicure è il più chiaro esempio dell’utilizzo delle forze armate per la sicurezza interna. Condotta dall’Esercito italiano ininterrottamente dal 4 agosto 2008, l’operazione Strade sicure viene messa in campo attraverso l’impiego di un contingente di personale militare delle Forze armate che agisce con le funzioni di agente di pubblica sicurezza a difesa della collettività, in concorso alle Forze di Polizia, per il presidio del territorio e delle principali aree metropolitane e la vigilanza dei punti sensibili. Tale operazione, che coinvolge circa 6.600 militari, è, a tutt'oggi, l’impegno più oneroso della Forza armata in termini di uomini, mezzi e materiali.
Alle parole, come sempre, seguiranno i fatti: vedremo quale sarà il punto di equilibrio che verrà raggiunto nel centrodestra su questi aspetti. Sul versante delle opposizioni, il M5s chiede maggiore trasparenza: «Abbiamo sottoposto al ministro Crosetto un problema di democrazia e trasparenza», scrivono in una nota i capigruppo pentastellati nelle commissioni Difesa di Camera e Senato, Arnaldo Lomuti e Bruno Marton, «il problema della segretezza dei target capacitivi concordati con la Nato sulla base dei quali la Difesa porta avanti la sua corsa al riarmo. Non è corretto che la Nato chieda al nostro Paese di spendere cifre folli senza che il Parlamento, che dovrebbe controllare queste spese, conosca quali siano le esigenze che motivano e guidano queste richieste. Il ministro ha risposto, in buona sostanza, che l’accesso a queste informazioni è impossibile e che quelle date dalla Difesa sono più che sufficienti. Non per noi».
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Ecco #DimmiLaVerità del 5 dicembre 2025. Il senatore Gianluca Cantalamessa della Lega commenta il caso dossieraggi e l'intervista della Verità alla pm Anna Gallucci.