2025-07-15
Cresce il fronte contro le tasse di Ursula
Ursula von der Leyen (Ansa)
La Commissione deve spiegare come intende finanziare il bilancio 2028-2034. Le entrate arriverebbero da rincari delle sigarette, aumento dell’Iva, balzelli green e imposte sulle società. Previste sforbiciate ai fondi di coesione. Ma il blocco del «no» è ampio.I trattori tornano a Bruxelles: domani attesi in 40.000. Ci sarà la Coldiretti, che pensa anche ad altre iniziative.Lo speciale contiene due articoli.C’è un detto toscano che s’attaglia ai Paesi europei e all’Italia: l’avete voluta la bicicletta? O pedalate. La bici è Ursula von der Leyen che, incassata la non sfiducia (s’è salvata per la paura del Pse di essere minoranza e per un calcolo di opportunità dell’Ecr), torna all’attacco sui conti dell’Ue e annuncia una valanga di tasse. È vero che, come stabilito dal trattato di Lisbona, il Consiglio europeo (cioè i 27 governi ora semestralmente guidati dalla Danimarca) delibera sulle «risorse proprie» all’unanimità e che poi questa proposta deve passare dal Parlamento, ma è anche vero che proprio l’Eurocamera spinge la baronessa a fare cassa (di Qatargate e Timmermans-gate vietato parlare). Già nel 2020 raccomandò che l’Ue aumentasse le risorse per rimborsare i prestiti del Next Generation Ue - è uno degli argomenti forti che usa la baronessa - e due anni fa ha votato spinto dal Pse una risoluzione che vuole la tassazione diretta sulle società e le imprese. Ecco che Ursula batte cassa a cominciare dalle sigarette che rincareranno di un euro a pacchetto per finanziare il bilancio poliennale (2028-2o34) dell’Ue, che lievita come l’eurocrazia, sottraendo 15 miliardi agli Stati. Il rincaro di queste accise in percentuale è da capogiro: 139% sulle sigarette, 258% sul tabacco sfuso, addirittura il 1.090% sui sigari. I tabaccai sono sul piede di guerra convinti che aumenterà il contrabbando: tutti i Paesi baltici sono contro, la Svezia è disposta a fare la barricate così come la Grecia e l’Italia e si accodano Irlanda e Olanda, ma per ragioni un po’ più complesse. Ursula von der Leyen ha però un problema non da poco: si chiama Donald Trump. Gli europei non lo sanno, ma circa il 90% dei dazi riscossi in Europa va in tasca alla Comunità che anzi con questa proposta vuole aumentare ancora la sua quota. Una volta gli Stati nazionali trattenevano circa il 25% dei dazi per spese di riscossione, poi si è passati al 10%; ora Ursula vuole tutto per sé. Con la guerra commerciale che si intravvede con gli Usa scrivere a bilancio una cifra che oscilla sui 40 miliardi all’anno (il 14% del bilancio) dalle importazioni non è azzardo da poco; dunque Washington una parte di ragione sul fatto che l’Ue pone dazi esosi all’ingresso del mercato comunitario ce l’ha. Un aumento che la Von der Leyen non dichiara, ma ha in testa, è quello dell’Iva. Anche questo i cittadini europei non lo sanno: Bruxelles preleva lo 0,5% dell’ammontare Iva riscosso in Europa (circa mille miliardi all’anno) e si mette in tasca altri 35 miliardi. L’idea della baronessa è di aumentare di almeno uno 0,25% questa quota, che non si capisce se verrebbe scaricata sulle aliquote finali o sarebbe solo una minore entrata per gli Stati membri. E poi ci sono i quattro pezzi forti e una gigantesca manovra politica. Le nuove quattro imposizioni sono la tassa sugli utili delle società che fatturano più di 50 milioni di euro, caldeggiata dal Pse e soprattutto dal Pd e dalla sinistra, che sarebbe applicata progressivamente non si sa in che misura, una tassa sui rifiuti elettronici, un prelievo di altri 80 centesimi al chilo per gli imballaggi di plastica e infine un aumento del prezzo degli Ets (i certificati di smaltimento della Co2) in conseguenza di una nuova stretta sulle emissioni che comprende anche un inasprimento della tariffa sulle importazioni ad alta intensità di carbonio (la cosiddetta Cbam, e per fortuna che il green claims è stato ritirato!). Torna in auge anche la tassa doganale sui pacchi e-commerce che aveva irritato la Cina. In questo ipotetico pacchetto rientra anche la possibilità di tassare le multinazionali che hanno sede fiscale in Europa anche come misura di ritorsione ai dazi Usa. Sull’imposizione alle società e anche alle multinazionali - ecco l’opposizione di Irlanda e Olanda da cosa è principalmente motivata - il fronte del no è amplissimo: Germania in testa, con Italia, Francia, Polonia, Ungheria e altri dieci Paesi contrari. Ma il punto di crisi maggiore è la manovra politica sul fondo unico per la Pac e i fondi di coesione per trovare almeno 40 miliardi all’anno. La baronessa protesta che il bilancio Ue è per l’80% pre-ordinato (in forza dei trattati la Commissione non può fare deficit) e che le servono i soldi per il riarmo, ma soprattutto per dare subito almeno 10 miliardi all’Ucraina che, se entrasse nell’Ue, peserebbe solo sul bilancio «agricolo» per 100 miliardi in sette anni. In più la baronessa vuole dotare l’Ue di una propria capacità di finanziare la ricerca e la produzione in campo energetico (programmi per la fusione nucleare) delle biotecnologie (i cibi da laboratorio) e militare. Insomma ottenuta la non sfiducia Ursula von der Leyen si sente il capo di uno Stato che non c’è, ma vuole autonomia finanziaria. Ovviamente a spese degli europei che non l’hanno votata. Chissà se qualcuno le spiegherà - a lei impegnata conto «l’autocrate» Donald Trump - che la rivoluzione americana fu fatta per affermare il principio «no taxation without representation» (niente tasse senza rappresentanza).<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/cresce-fronte-contro-tasse-ursula-2673178983.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-trattori-tornano-a-bruxelles-nel-mirino-i-tagli-allagricoltura" data-post-id="2673178983" data-published-at="1752519654" data-use-pagination="False"> I trattori tornano a Bruxelles. Nel mirino i tagli all’agricoltura Se ogni promessa è debito Ursula von der Leyen ne ha davvero tanto, perché gli agricoltori si sentono presi in giro e hanno riacceso i trattori. Mercoledì, davanti a palazzo Berlaymont sede della Commissione, il Copa-Cogea - riunisce 23 milioni di aziende agricole e 22 mila cooperative - ha indetto una manifestazione pacifica, ma fermissima nei contenuti. Può darsi che belgi, tedeschi e francesi scarichino le solite tonnellate di letame davanti all’eurocrazia sempre scandalizzata dall’odore di stallatico, ma la protesta vera sta montando in tutti i Paesi europei dal basso. Nel mirino c’è l’idea riaffermata dalla presidente della Commissione di fondere i finanziamenti della Pac - politica agricola comunitaria - con quelli di coesione - servono a finanziare lo sviluppo delle regioni più svantaggiate - per generare una «sinergia». Tradotto, significa un taglio netto. I due capitoli nel bilancio europeo pesano nel settennato 380 miliardi circa la Pac e quasi 400 la coesione. Bruxelles vuole fondere i soldi dello sviluppo rurale (il secondo asse della Pac) con quelli di coesione: significa tagliare 100 miliardi. Guarda caso è la cifra stimata del peso dell’Ucraina sui fondi agricoli se entrasse nell’Ue. Per i fondi di coesione ci sarebbe solo un rendiconto nazionale con i finanziamenti concessi a consuntivo col meccanismo del Pnrr. Tutto questo per il bilancio a venire (2028-34). Però il fondo unico rurale-coesione potrebbe scattare già per i progetti in essere in questo scorcio di ciclo finanziario. Il ministro per la Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida è stato ultimativo: «L’Europa dovrebbe avere una pianificazione più forte di quelle che sono le politiche comuni e quindi non consideriamo fondi indistinti tra Pac e Coesione una soluzione praticabile. Anzi, è una involuzione delle politiche europee molto pericolosa». E l’Italia si è posta alla testa di 17 Paesi che rifiutano questa proposta della Commissione. Per discuterne Lollobrigida si è visto ieri col vicepresidente della Commissione Raffele Fitto nel tentativo di disinnescare la «bomba» fondi agricoli. A quel che si è saputo Fitto - che ha visto anche il Copagri - non si è sbilanciato affermando però che va «preservato il ruolo degli agricoltori». Ma questa centralità domani a Bruxelles la difenderanno i trattori.Per quel che riguarda l’Italia una forte mobilitazione è quella di Coldiretti che starebbe preparando anche a Roma delle proprie clamorose iniziative di protesta già oggi. Il presidente della maggiore organizzazione agricola italiana Ettore Prandini da ieri è a Bruxelles dove ha incontrato anche il commissario all’Agricoltura Cristophe Hansen al quale ha fatto presente che tutte le promesse fatte dall’Ue - dalla Pac, alla sburocratizzazione, al Green deal - per ora sono in «attesa» di essere mantenute e che la misura comincia da essere colma. In particolare Prandini - preoccupatissimo per la guerra dei dazi - ha affermato: «Con l’aggravarsi delle tensioni internazionali e lo spettro di una guerra commerciale occorre una Politica agricola comune forte, con un bilancio adeguato a garantire la sfida della sovranità alimentare. L’Unione europea deve voltare pagina dopo cinque anni segnati da idee preconcette e da una visione errata, pessimista e negativa del settore zootecnico», e ha evidenziato come il Green deal abbia penalizzato gli agricoltori e come debba essere scongiurata la minaccia dei cibi prodotti in laboratorio. Domani sarà in piazza a Bruxelles. Sono attesi non meno di 40.000 agricoltori. Forse incrineranno la fiducia della signora Von der Leyen.
«It – Welcome to Derry» (Sky)
Lo scrittore elogia il prequel dei film It, in arrivo su Sky il 27 ottobre. Ambientata nel 1962, la serie dei fratelli Muschietti esplora le origini del terrore a Derry, tra paranoia, paura collettiva e l’ombra del pagliaccio Bob Gray.
Keir Starmer ed Emmanuel Macron (Getty Images)
Ecco #DimmiLaVerità del 24 ottobre 2025. Ospite Alice Buonguerrieri. L'argomento del giorno è: " I clamorosi contenuti delle ultime audizioni".
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.
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