2018-05-07
I Vip di Masterchef scodellano lezioni di pessimo gusto
La doppia morale dei cuochi inflessibili: Joe Bastianich promuove i panini di McDonald's, Carlo Cracco magnifica le patatine negli spot e Bruno Barbieri pubblicizza sughi in scatola «meglio di quelli della nonna».Un tempo si diceva che l'America era qui. Cosa ancor vera per alcuni (sempre meno purtroppo). Joe Bastianich, per esempio, ha trovato l'America in Italia. Oltreoceano era un ricco ma anonimo gestore di ristoranti a conduzione familiare, qui invece è una star televisiva a metà tra Pellegrino Artusi e Ave Ninchi.Diciamo che Bastianich è un italoamericano double face: in America fa l'italiano paisà e crapulone, in Italia l'americano danaroso e cool. Però con il fisco sembra decisamente italiano, del genere gnorri. La Guardia di finanza, infatti, gli contesta d'aver sottratto al nostro erario 1 milione di euro. A quanto pare il suo agriturismo - l'Orsone a Cividale di Friuli - è in realtà un ristorante, non coincide cioè la destinazione d'uso dichiarata. Bastianich proclama d'essere innocente, che è tutto un qui pro quo, anzi un misunderstanding: cosa possibilissima, ché parlando scriteriatamente la nostra lingua, quasi come l'Ollio di Oliver Hardy, è facile per lui confondere «agriturismo» con «ristorante», specie se il primo ha un'aliquota più bassa. Con buona pace dei pedagoghi spicciativi che consigliano ai giovani l'istituto alberghiero anziché il liceo, studiare serve ancora, almeno a evitare sviste lessicali da 1 milione di euro.A infastidire di Bastianich non sono tanto questi guai con il fisco o le uscite arroganti del tipo che «Campobasso è un posto da sfigati» (come se i suoi avi friulani provenissero da chissà quali metropoli) o ancora l'ergersi a filosofo propinandoci un monologo teatrale sulla sua vita di ulisside delle comande - Vino Veritas. La mia vita unplugged - di cui nessuno sentiva l'urgenza. La cosa che più infastidisce è la sua pubblicità per McDonald's, l'aver creato una serie di panini d'autore. Ma come? Prima fa il giudice inflessibile e supercilioso, che umilia cuochi o aspiranti tali, soppesandone i piatti e le anime peggio di Thot nell'oltretomba egizio, e un attimo dopo sponsorizza l'antitesi suprema della buona tavola, ovvero il fast-food? Sarebbe come se uno dei concorrenti di Masterchef gli scodellasse della roba surgelata ripassata al microonde.Vero è che pure il collega televisivo Carlo Cracco - prima della cotoletta a 26 euro e lo scarabocchio di pizza serviti nel suo nuovo locale milanese - ha girato tutto serafico lo spot delle patatine, quelle in sacchetto per i bar, vantandole più del caviale beluga. Stessa insolazione pubblicitaria è occorsa a Bruno Barbieri, l'altro moschettiere delle padelle, che tempo fa si sdilinquì per un sugo in scatola, asserendo che era meglio di quello della nonna. Alla fine, dopo tanti ridicoli siparietti, non si capisce più se costoro sono cuochi o cabarettisti, se indignarsi o ridere di loro. Una cosa però la fanno capire e bene: un principio etico, valido anche in altri ambiti (sport e social in primis), e cioè la mancanza di vera autorevolezza, vero carattere, vera grandezza, in chi viene consacrato, ammirato, additato - quale sommo modello o esempio - dal mercato. Ammettiamolo, basta un'offerta economica congrua per tramutare qualunque di questi «campioni», degni eroi del nostro evo fluido e mercantesco, in testimonial docili, mansueti, agli ordini di creativi senz'arte né parte (si vedano in tal senso le pubblicità degli sportivi, quasi tutte imbarazzanti).Bell'insegnamento per i nostri giovani. Bella morale. Bella scuola di vita. Invece di esaltare quelli con una sola faccia e una sola parola, si allevano - secondo la pittoresca ma efficace antropologia di Leonardo Sciascia - tanti «ominicchi e quaquaraquà». Qual è l'ultimo di questi vip che ha detto no a una pubblicità, ai quattrini, perché la riteneva ingiusta, indecorosa, indegna di lui? Se esiste si faccia avanti, perché noi fatichiamo a trovare un nome o a fissare un volto.Si può obbiettare che aspettarsi della dirittura e persino dell'eroismo da dei cuochi è ingiusto. In cucina s'atteggiano a generali di brigata, ma per gioco, mica sul serio, ché il loro piglio battagliero inizia e finisce sfilettando il merluzzo. Eppure un grande chef del passato - François Vatel - giunse a uccidersi perché, durante un ricevimento in onore del Re sole, venne a mancare il pesce. Certo erano altri tempi e altri uomini, appare fin troppo evidente osservando gli chef di adesso, la loro condotta disinvolta. Chiedetene conferma anche ad Antonino Cannavacciuolo, l'ultimo divo del brand Masterchef: a lui - che diversamente da Vatel non è «nu fesso» - a tavola il pesce fresco non può mai mancare, lui semmai lo scongela.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)