
L'arrivo in azzurro dell'ex tecnico interista certifica la sconfitta della Federazione. Chiamato per convincere Carlo Ancelotti, Billy ha fallito. Ma oltre alla difficile convivenza tra i due, il problema è la mancanza di un timoniere.«Magari ci casca», aveva detto Billy Costacurta scherzando (fino a un certo punto) agli inizi della trattativa con Carlo Ancelotti. Per condurla a termine e far sedere il monumento vivente sulla panchina della Nazionale, la federazione dei comissariati e dei commissari aveva ingaggiato proprio lui, compagno di merende ai tempi del Milan galattico. E per portarlo via dalla vetrina di Sky s'era perfino inventata un ruolo, quello di subcommissario, a metà fra il segretario di Jules Maigret e il rivoluzionario con il passamontagna di cachemire. Magari ci casca, ma Ancelotti non ci è cascato, Costacurta ha fallito la missione in doppiopetto e per colmo di fastidio gli tocca veder salire al trono Roberto Mancini, non propriamente un amicone suo e del pianeta rossonero. L'operazione è praticamente conclusa, il contratto è biennale con l'obbligo di arrivare agli Europei itineranti del 2020 ed eventualmente ai mondiali del Qatar del 2022. Il costo di Mancini è di quattro milioni netti a stagione, poco più del compenso di Gian Piero Ventura (il peggior ct della storia con Edmondo Fabbri, che però ai mondiali c'era arrivato), quindi un enorme passo avanti almeno nel rapporto qualità-prezzo. Con quel budget Ancelotti era inavvicinabile. Anche dimezzandosi lo stipendio sarebbe arrivato a sette milioni, quota impossibile per una Federcalcio senza presidente, in cui Giovanni Malagò e Roberto Fabbricini hanno galleggiato per tre mesi nell'immobilismo più totale. Alla vigilia del commissariamento il numero uno del Coni aveva promesso: «Qui bisogna rifondare il pallone, cambiare passo, dare una sterzata significativa». Adrenalina pura solo a parole, come il suo esempio politico Matteo Renzi. Poi ha messo lì l'uomo di fiducia e si è addormentato, lasciando che club, arbitri e procuratori continuassero a vivacchiare nelle penombre dei corridoi.Al di là dei soldi è stato proprio questo senso di abbandono, questa mancanza di progetti reali e di denari per concretizzarli che ha allontanato l'ex tecnico di Juventus, Milan, Chelsea, Paris Saint Germain, Real Madrid, Bayern Monaco da Coverciano. Insomma, il castello di carta messo in piedi da Malagò non lo ha convinto e ha detto «no, grazie» non alla Nazionale, ma alla gestione attuale della Federcalcio. La goccia che ha fatto traboccare il vaso e ha costretto Kissinger Costacurta alla resa è stata la comprensibile impuntatura dei vertici federali davanti alla richiesta di ingaggiare anche il figlio Davide Ancelotti come preparatore atletico e (ma non è confermato) il genero nutrizionista.Qualche giorno fa Claudio Nassi, storico ex dirigente che portò Mancini dal Bologna alla Sampdoria illumimandone la carriera, ha sintetizzato benissimo lo sbandamento federale in atto parlando con Tuttomercatoweb.com: «Prima di scegliere l'allenatore si doveva scegliere il presidente. Mai visto costruire una casa dal tetto. Se non capisci questo è un problema, se non ti accorgi perché sei finito fuori dai mondiali è un problema. Non si può andare a tentoni e mettere a capo gente che con il nostro sport ha poco a che spartire. Se non si capisce non c'è medicina. Il tecnico va supportato e aiutato da un team con il presidente in testa».La scelta di Mancini è in ogni caso di alto livello, riporta la Nazionale ad avere appeal anche per gli sponsor. L'ufficializzazione dell'accordo si avrà il 13 maggio, dopo la fine del campionato russo, quando il due volte allenatore dell'Inter chiederà la scissione del contratto che lo lega allo Zenit San Pietroburgo fino al 2020. Il presidente del club russo, Sergei Fursenko, è furibondo per lo scippo e pensa di rivolgersi alla Fifa per ottenere almeno un indennizzo. Mancini era già in predicato di guidare gli azzurri nel 2014 prima di Antonio Conte e vuole fortemente l'Italia per tre motivi. Il primo è un senso di rivincita personale nei confronti di una maglia, quella azzurra, che non gli ha mai dato grandi soddisfazioni: la Nazionale - pur avendo battezzato anche parecchi cani - è stata avara con uno dei più geniali giocatori degli anni Novanta. Il secondo è il carattere avventuroso; a differenza di Ancelotti lui è attratto dalle sfide impossibili in mezzo ai marosi. Il terzo è la certezza di poter lavorare con il suo team manager preferito, Gabriele Oriali, che con lui costruì l'Inter da consegnare a Josè Mourinho per il triplete. A questo punto il subcommissario Billy potrebbe dire: che ci faccio qui?Mancini troverà una Nazionale da rifare, e questo può essere un vantaggio. Senza il formidabile, ma invecchiato blocco Juventus (dopo la svolta del club di privilegiare calciatori stranieri in funzione Champions league rimangono futuribili Mattia Caldara, Daniele Rugani e Federico Bernardeschi), dovrà pescare fior da fiore da chi prova a valorizzare i giovani italiani: Roma (Lorenzo Pellegrini), Napoli (Lorenzo Insigne una certezza), soprattutto Milan (Gigio Donnarumma, Alessio Romagnoli, Davide Calabria, Andrea Conti, Patrick Cutrone). Poi si farà prendere dalla voglia di recuperare Mario Balotelli, un'impresa che gli riuscì fra poderose emicranie al Manchester City.Rifare la casa partendo dal tetto è una responsabilità che commissari e commissariati si sono assunti in toto. Proprio per questo i dirigenti del pallone si stanno compattando per far concludere al più presto il balbettante interregno Malagò-Fabbricini che ha fatto scappare Ancelotti. Hanno finalmente capito che il boomerang arriverà in testa a loro. Il numero uno di Lega Pro, Gabriele Gravina, lo ha spiegato con chiarezza: «Siamo pronti a votare entro maggio un candidato presidente credibile e condiviso». Il problema è che dicono così tutte le volte. Poi davanti alle urne litigano.
Il toro iconico di Wall Street a New York (iStock)
Democratici spaccati sul via libera alla ripresa delle attività Usa. E i mercati ringraziano. In evidenza Piazza Affari: + 2,28%.
Il più lungo shutdown della storia americana - oltre 40 giorni - si sta avviando a conclusione. O almeno così sembra. Domenica sera, il Senato statunitense ha approvato, con 60 voti a favore e 40 contrari, una mozione procedurale volta a spianare la strada a un accordo di compromesso che, se confermato, dovrebbe prorogare il finanziamento delle agenzie governative fino al 30 gennaio. A schierarsi con i repubblicani sono stati sette senatori dem e un indipendente affiliato all’Asinello. In base all’intesa, verranno riattivati vari programmi sociali (tra cui l’assistenza alimentare per le persone a basso reddito), saranno bloccati i licenziamenti del personale federale e saranno garantiti gli arretrati ai dipendenti che erano stati lasciati a casa a causa del congelamento delle agenzie governative. Resta tuttavia sul tavolo il nodo dei sussidi previsti ai sensi dell’Obamacare. L’accordo prevede infatti che se ne discuterà a dicembre, ma non garantisce che la loro estensione sarà approvata: un’estensione che, ricordiamolo, era considerata un punto cruciale per gran parte del Partito democratico.
2025-11-10
Indivia belga, l’insalata ideale nei mesi freddi per integrare acqua e fibre e combattere lo stress
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In autunno e in inverno siamo portati (sbagliando) a bere di meno: questa verdura è ottima per idratarsi. E per chi ha l’intestino un po’ pigro è un toccasana.
Si chiama indivia belga, ma ormai potremmo conferirle la cittadinanza italiana onoraria visto che è una delle insalate immancabili nel banco del fresco del supermercato e presente 365 giorni su 365, essendo una verdura a foglie di stagione tutto l’anno. Il nome non è un non senso: è stata coltivata e commercializzata per la prima volta in Belgio, nel XIX secolo, partendo dalla cicoria di Magdeburgo. Per questo motivo è anche chiamata lattuga belga, radicchio belga oppure cicoria di Bruxelles, essendo Bruxelles in Belgio, oltre che cicoria witloof: witloof in fiammingo significa foglia bianca e tale specificazione fa riferimento al colore estremamente chiaro delle sue foglie, un giallino così delicato da sfociare nel bianco, dovuto a un procedimento che si chiama forzatura. Cos’è questa forzatura?
Zohran Mamdani (Ansa)
Nella religione musulmana, la «taqiyya» è una menzogna rivolta agli infedeli per conquistare il potere. Il neosindaco di New York ne ha fatto buon uso, associandosi al mondo Lgbt che, pur incompatibile col suo credo, mina dall’interno la società occidentale.
Le «promesse da marinaio» sono impegni che non vengono mantenuti. Il detto nasce dalle numerose promesse fatte da marinai ad altrettanto numerose donne: «Sì, certo, sei l’unica donna della mia vita; Sì, certo, ti sposo», salvo poi salire su una nave e sparire all’orizzonte. Ma anche promesse di infiniti Rosari, voti di castità, almeno di non bestemmiare, perlomeno non troppo, fatte durante uragani, tempeste e fortunali in cambio della salvezza, per essere subito dimenticate appena il mare si cheta. Anche le promesse elettorali fanno parte di questa categoria, per esempio le promesse con cui si diventa sindaco.
Ecco #DimmiLaVerità del 10 novembre 2025. Il deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo ci parla del progetto del Ponte sullo Stretto e di elezioni regionali.






