2022-03-16
Costa: «Dobbiamo diventare autonomi nel settore farmaceutico, non solo nella produzione»
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Le aziende farmaceutiche italiane si sono riunite a Roma per discutere della carenza di farmaci nel nostro Paese. Tra i presenti, oltre al sottosegretario alla Salute, il ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti, il Sottosegretario al Ministero dell’Economia e Finanze Federico Freni e Andrea Mandelli, Vicepresidente della Camera dei Deputati e Presidente FOFI.«Dobbiamo diventare autonomi nel settore farmaceutico, non solo nella produzione, ma anche per tutto quello che serve per produrre». Andrea Costa, sottosegretario alla Salute, ha risposto così alla domanda che La Verità gli ha posto circa il problema della carenza di farmaci nel nostro Paese. Un passo in avanti rispetto alla reazione di Pier Paolo Sileri che, pochi mesi fa, alla stessa domanda rispondeva che non era un problema che riguardava il ministero della Salute.Quello della carenza dei farmaci è un fenomeno che negli ultimi anni sembra essere diventato sistemico. Favorito anche dalla pandemia, ma soprattutto dalla delocalizzazione in Asia della produzione di principi attivi non coperti da brevetto che servono a produrre farmaci a basso costo, come gli antibiotici o il paracetamolo.Si è parlato anche di questo nel convegno «Il ruolo sociale e strategico dell’industria farmaceutica italiana. Ricerca scientifica, innovazione, sviluppo e occupazione», organizzato dalle 13 imprese Farmaceutiche a capitale italiano, aderenti a Farmindustria, le FAB13. L’evento si è svolto ieri a Roma ed è stato moderato da Nicola Porro. Sono intervenuti il ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti tramite video e in presenza il sottosegretario alla Salute Andrea Costa, Federico Freni, Sottosegretario al Ministero dell’Economia e Finanze e Andrea Mandelli, Vicepresidente della Camera dei Deputati e Presidente FOFI.Il tema della serata era il sostegno alle aziende farmaceutiche considerate da tutti i partecipanti segmento strategico del nostro Paese. Il tema i cittadini lo conoscono bene. Lo scorso inverno in molti hanno dovuto aspettare giorni o girare diverse farmacie per reperire farmaci come il Klacid, a base di claritromicina, l’Augmentin in formulazione pediatrica, altri antibiotici a base di acido clavulanico, il paracetamolo e decine di altri.La stessa Lucia Aleotti, azionista e membro del Board di Menarini, intervenuta in video conferenza, ha ribadito quanto nessuno sia felice di avere il 74% dei principi attivi dei farmaci delocalizzati in Cina e India.Le case farmaceutiche adesso difendono il loro giusto diritto a preservare i brevetti dei farmaci realizzati grazie alla ricerca. Tutti hanno ribadito, anche il dl Concorrenza portando all’indebolimento dei brevetti, arrecherà un grosso danno alle industrie farmaceutiche che investono per anni in ricerca con l’obiettivo di realizzare poi i profitti proprio grazie ai brevetti.È infatti la mancanza di questi ad aver reso possibile la delocalizzazione dei principi attivi in Asia che adesso spesso vanno in carenza. Peccato che le aziende non facciano di tutto per produrre da sé questi principi attivi che rendono poco e che evidentemente possono essere comprati a prezzi vantaggiosissimi in quei Paesi dove, come ricorda la Aleotti, le tasse ambientali, fiscali e i controlli sul lavoro sono praticamente nulli.Alberto Chiesi, Presidente Chiesi Farmaceutici SpA, sottolinea come tramite le politiche contraddittorie del governo, si favorirà l’ingresso dei farmaci generici, prima di quanto previsto dalle aziende farmaceutiche, arrecando un evidente danno alle imprese.Giovanni Tria, Presidente Fondazione Enea Tech e Biomedical, nel suo intervento ha sottolineato: «Serve un coordinamento fra le politiche e anche una coerenza di fondo. Durante la pandemia è stato fatto uno scostamento di bilancio da 150 miliardi di euro, ma il settore farmaceutico non ha visto che poche decine di milioni di euro».Eppure molti di questi interventi arrivano da rappresentanti delle istituzioni, da persone che negli anni hanno ricoperto ruoli di governo. Il bello della larga maggioranza è che nessuno si prende la responsabilità di ciò che non funziona, come se di fatto, per le situazioni scomode si trovassero tutti all’opposizione quando serve.La carenza di farmaci a cui abbiamo assistito l’inverno passato, non passerà magicamente da sola e in questo momento, con lo scenario di guerra attuale in continua evoluzione, rischiamo di trovarci ostaggio dei paesi produttori di materie prime anche nel settore dei farmaci. Realizzare dei poli nazionali per la ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci, attraverso investimenti nel comparto farmaceutico a sostegno della filiera produttiva è necessario per sostenere le aziende, ma queste devono impegnarsi a coprire la catena del valore anche dei farmaci non più coperti da brevetto e quindi meno remunerativi. Proprio in favore di un accordo di tipo strategico tra pubblico e privato. Perché proprio India e Cina, massimi produttori di materie prime, oggi stanno assumendo posizioni ambigue rispetto all’invasione russa e si spera che questo non preannunci un futuro netto schieramento perché se questi Paesi dovessero chiudere le esportazioni, ci troveremmo con guai molto seri da affrontare in ogni settore. Anche in quello farmaceutico.
Un appuntamento che, nelle parole del governatore, non è solo sportivo ma anche simbolico: «Come Lombardia abbiamo fortemente voluto le Olimpiadi – ha detto – perché rappresentano una vetrina mondiale straordinaria, capace di lasciare al territorio eredità fondamentali in termini di infrastrutture, servizi e impatto culturale».
Fontana ha voluto sottolineare come l’esperienza olimpica incarni a pieno il “modello Lombardia”, fondato sulla collaborazione tra pubblico e privato e sulla capacità di trasformare le idee in progetti concreti. «I Giochi – ha spiegato – sono un esempio di questo modello di sviluppo, che parte dall’ascolto dei territori e si traduce in risultati tangibili, grazie al pragmatismo che da sempre contraddistingue la nostra regione».
Investimenti e connessioni per i territori
Secondo il presidente, l’evento rappresenta un volano per rafforzare processi già in corso: «Le Olimpiadi invernali sono l’occasione per accelerare investimenti che migliorano le connessioni con le aree montane e l’area metropolitana milanese».
Fontana ha ricordato che l’80% delle opere è già avviato, e che Milano-Cortina 2026 «sarà un laboratorio di metodo per programmare, investire e amministrare», con l’obiettivo di «rispondere ai bisogni delle comunità» e garantire «risultati duraturi e non temporanei».
Un’occasione per il turismo e il Made in Italy
Ampio spazio anche al tema dell’attrattività turistica. L’appuntamento olimpico, ha spiegato Fontana, sarà «un’occasione per mostrare al mondo le bellezze della Lombardia». Le stime parlano di 3 milioni di pernottamenti aggiuntivi nei mesi di febbraio e marzo 2026, un incremento del 50% rispetto ai livelli registrati nel biennio 2024-2025. Crescerà anche la quota di turisti stranieri, che dovrebbe passare dal 60 al 75% del totale.
Per il governatore, si tratta di una «straordinaria opportunità per le eccellenze del Made in Italy lombardo, che potranno presentarsi sulla scena internazionale in una vetrina irripetibile».
Una Smart Land per i cittadini
Fontana ha infine richiamato il valore dell’eredità olimpica, destinata a superare l’evento sportivo: «Questo percorso valorizza il dialogo tra istituzioni e la governance condivisa tra pubblico e privato, tra montagna e metropoli. La Lombardia è una Smart Land, capace di unire visione strategica e prossimità alle persone».
E ha concluso con una promessa: «Andiamo avanti nella sfida di progettare, coordinare e realizzare, sempre pensando al bene dei cittadini lombardi».
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Francesco Zambon (Getty Images)
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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