2022-05-23
Così l’Onu propaganda l’aborto nelle scuole
Nell’Agenda 2030, spiegata tra gli applausi in classe, c’è l’accesso universale alla «salute sessuale riproduttiva»: cioè l’interruzione di gravidanza. E ci sono aziende che aiutano le dipendenti che vi ricorrono. Ma non quelle che intendono far nascere il loro bambino.Nel 2015 l’Onu ha fissato 17 nuovi obiettivi, 17 nuovi traguardi da raggiungere entro il 2030, festeggiati da uno scroscio di applausi. Insieme a cose grandiose come sradicare la povertà, nel caso non lo abbiano ancora fatto i 5 stelle, o come dare a tutti l’accesso all’acqua, ci sono anche obiettivi che già rendono perplessi, come l’accesso universale all’aborto. Il termine tecnico è garantire entro il 2030 l’accesso universale ai servizi di salute sessuale riproduttiva inclusa la pianificazione familiare.Detto così suona bene, ma qui si sta parlando di aborto. L’aborto è una pratica antifisiologica, che interrompe in maniera chimica o chirurgica un processo fisiologico. È bizzarro che sia considerato una forma di salute sessuale riproduttiva un processo antifisiologico con possibili complicanze anche mortali dove una «cosa» (bambino? Feto? Essere umano? Grumetto di cellule?) viene uccisa. Nel bel film Unplanned si vede benissimo la disumanizzazione della «cosa». Le infermiere del centro per aborti trovano assolutamente normale festeggiare la gravidanza di una di loro dopo aver trasferito una ventina di grumetti di cellule dal ventre dove erano caldi sicuri al bidone dell’aspiratore, adibito agli smembrati. Nel nostro mondo già da un pezzo l’acqua doveva essere a disposizione di tutti, perché la nostra tecnologia è assolutamente capace di portarla ovunque, e una volta che c’è l’acqua, miseria e malattie retrocedono. Siamo un mondo dove già adesso dovrebbe essere impensabile il lavoro ai minori, mentre i bambini del Burkina Faso continuano a morire nelle miniere di oro per intossicazione di metalli pesanti. Eppure, ci preoccupiamo dell’aborto. Su cento donne che non possono accedere a un aborto facile e gratuito, solo una si rivolgerà all’aborto, le altre magari imprecando, porteranno avanti la gravidanza. E qui c’è la parte divertente. Una volta arrivato al quarto mese la quasi totalità di queste donne si sarà adattata all’idea di essere madre e comincerà a esserne contenta. Non è un’idea semplice, ci vuole del tempo per accettarla. Inoltre, la decisione dell’aborto viene spesso presa al secondo mese, quando per motivi ormonali le donne sono depresse, scontente e stanche. Sono successi diversi sbagli nelle sale operatorie dove si eseguono aborti. Più di una volta il bimbetto che avrebbe dovuto essere cancellato è rimasto dov’era, riuscendo a nascere. Succedeva soprattutto prima dell’abitudine al controllo ecografico dell’operazione. In molti di questi casi la mamma è andata a ringraziare il ginecologo per quello sbaglio. L’aborto, un bimbetto avvelenato da una pillola che sta facendo vomitare sua madre o smembrato dall’aspiratore, è il nuovo diritto umano. Ho accompagnato molti pazienti alla morte. Quando una donna che ha abortito volontariamente arriva ai suoi ultimi respiri, quel bimbo che non è diventato un uomo, quel figlio che non è lì a tenerle la mano, pesa come un macigno.In una scuola media l’insegnante, spiegando entusiasticamente la nuova agenda 2030, sottolinea che tutte le donne potranno immediatamente accedere a un aborto facile e gratuito. Per l’acqua e la miseria poi si vedrà, ma l’aborto sarà un successo immediato. Una ragazzina contesta, spiega che l’aborto le sembra una cosa orrenda, che è una cosa orrenda: una donna dovrebbe essere aiutata, spesso l’aborto viene fatto per mancanza di soldi, per mancanza di possibilità. Si potrebbe chiederle di aspettare qualche mese e dare il bimbo in adozione, perché tutto il mondo non vale la più piccola persona umana, il suo essere unica e irripetibile, il suo dolore nel morire. L’insegnante la blocca con disprezzo spiegandole che queste decisioni sono prese da persone più intelligenti di lei e più capaci di lei. La scuola squittisce che bisogna sviluppare il proprio spirito critico, ma è una burla. Sono gli stessi insegnanti che azzannano i ragazzi se osano uscire dai fetidi e rigidi binari del pensiero unico, se osano affermare che tutte le ore sperperate a squittire di inclusione sono di una noia abissale. La storiella è autentica. La scuola grazie all’Onu beatifica la salute riproduttiva della donna, orwelliana dizione con cui si indica un corpicino avvelenato, oppure smembrato. Sarà obbligatorio anche l’aborto, tra qualche anno, come già lo è stato in Cina? Le élite sono sceme e malthusiane. Non capiscono che il neonato è un dono, che senza natalità crolla il Pil, la gente muore di depressione e di epidemie influenzali che nelle popolazioni anziane sono un massacro. L’aborto è un crimine gravissimo nel cristianesimo. Quello che farete più piccolo di voi lo starete facendo a Me, ha detto Cristo. Insultare un allievo per le sue teorie religiose è una violazione della libertà costituzionale. Anche privati finanziano l’aborto. L’apripista è stato Amazon, ma già altri stanno seguendo. Amazon garantisce 4.000 dollari a ogni sua dipendente che desidera abortire. Non darà nulla alle dipendenti che desiderano avere un figlio. Se una donna in un momento di stanchezza, o depressione, desidera sbarazzarsi del suo bambino come ci si sbarazza di una cisti o un tumore deve avere la possibilità di farlo prima che, Dio non voglia, cambi idea. Quando una donna resta incinta è già madre. La scelta non è se essere o no madre, ma se essere madre di un bambino vivo o morto. Se decide di essere madre di un bambino morto, la morte entra dentro di lei. Considero quindi veramente eroico il gesto della editrice dottoressa Federica Picchi che, in comune accordo con me, ha tolto da Amazon il mio libro, Ora pro nobis, una storia di Ussari Alati, da lei pubblicato. Amazon vuol dire un terzo del fatturato. Certo, Amazon è comodo, c’è qualsiasi cosa, anche la più improbabile, ma sta assassinando il piccolo commercio, nelle nostre strade i negozi diventano saracinesche chiuse. Il negozio illumina la strada, dà lavoro al commesso e non gli conta i secondi per andare in bagno. Amazon vuol dire digitalizzazione. Durante il lockdown le azioni di Amazon sono salite alle stelle. I lockdown sono stati particolarmente feroci nei paesi mediterranei poco digitalizzati. Dei quattrini che ci presta l’Europa, e che dovremmo restituire con interessi micidiali, i soldi usati per la digitalizzazione sono molti di più di quelli usati per salvare gli ospedali fatti a pezzi. Amazon è il nemico dei piccoli negozi che rendono magnifiche nostre strade, tenendole pulite, illuminate e gradevoli, ed è stato immensamente favorito dai periodi di chiusura che ci sono stati imposti. Ricominciamo a comprare libri in libreria. Ricominciamo a comprare gli oggetti in un negozio, ad aspettare con pazienza i giorni necessari, ad accontentarsi di una possibilità di scelta meno enorme. Non finanziamo un piccolo corpo smembrato perché prima o poi il cuore della mamma si riempia di dolore. Non finanziamo chi ci vuole richiusi ognuno nel suo cubetto di plexiglas davanti a uno schermo a parlare con Alexa. Volere è potere. Se anche solo il 10% degli editori farà lo stesso, possiamo educare Amazon. Possiamo fermare la digitalizzazione. Possiamo salvare i bambini. Possiamo salvare i negozi. Possiamo salvare anche a nostre anime. Siamo molto più forti di quanto pensiamo.
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