2022-01-26
Laura Cretara: «Così ho inciso e firmato le monete che avete in tasca»
Laura Cretara (Ansa-IStock)
La donna da record per la numismatica: «Sono “mie” le 500 lire e l’euro. Mi ferii in laboratorio con mio padre e da lì iniziò tutto».Nel 1944, Laura, figlia del quotato pittore, fotografo e incisore Francesco Cretara, era una bambina di 5 anni che, incantata dall’arte familiare, trascorreva giorni e notti nello studio di Roma nei pressi di piazza Bologna, incantata a osservare strumenti di lavoro e creazioni del padre, sognando di imitarlo. Già allora si dimostrava assai determinata, tanto da dilettarsi, anziché giocare alle bambole, nell’utilizzo del bulino, il punzone in acciaio cui si ricorre per incidere, e da pretendere e ottenere l’esposizione dei suoi lavori. Quella bimba non poteva immaginare che, dopo essere stata assunta per concorso, nel 1961, dalla Zecca di Stato italiana, sarebbe diventata la prima donna nella storia mondiale della numismatica a incidere e firmare una moneta metallica.Ancor più distante dalla sua immaginazione era pensare che, non solo le sarebbe stato affidato l’incarico di realizzare alcune note monete della storia della lira italiana, come la bimetallica da 500 lire circolata dal 1982, con corona dorata color bronzo, e circolo interno in una lega d’acciaio chiamata acmonital, ma anche quella più rappresentativa nel nuovo sistema monetario che sostituì le valute sovrane di gran parte dei Paesi europei. Laura Cretara, classe 1939, nata a Roma e sempre vissuta nella capitale, con quel bulino che apprese a usare in tenera età, ha dato corpo alla versione italiana della moneta da 1 euro, tuttora circolante, quella con inciso l’Uomo vitruviano disegnato nel 1490 da Leonardo da Vinci e ispirato a uno scritto dell’architetto romano Marco Vitruvio Pollione circa le proporzioni ideali del corpo umano tra cerchio e quadrato. Nel 20° anniversario dell’introduzione dell’euro, avvenuta il 1° gennaio 2002, e del definitivo pensionamento della lira, uscita di scena a fine febbraio di quell’anno dopo un regime di doppia circolazione, colei che dopo aver per tanti anni scolpito nel metallo la parola «lira» ha dovuto sostituirla con il termine «euro», guarda affettuosamente le sue creature. Nella sua intensa vita professionale ha lasciato un segno nella storia di due ere monetarie, quella, lunghissima, dell’ex-valuta sovrana, ancor rimpianta dagli italiani, che ricordano quando un espresso si pagava con una carta da 1.000 con l’effigie solenne di Giuseppe Verdi, e quella, giovane, della moneta unica europea, talvolta ancor oggi sogguardata «con una faccia un po’ così, un’espressione un po’ così», per ricordare un verso di Paolo Conte. Se qualcuno nel 1961, quando entrò nella Zecca dello Stato, le avesse detto che 40 anni dopo la lira sarebbe stata congedata, ci avrebbe creduto?«No, assolutamente no. Poi, sono cambiate tante cose. La lira era solo italiana. L’euro ha scavalcato i confini geografici. Attraverso la moneta, ogni Paese esprime la sua immagine. Io vedo l’euro come una possibilità di ampliare lo sguardo italiano oltre le frontiere. Ogni popolo ha la sua storia, la sua cultura. Ma l’Uomo vitruviano è un simbolo che le altre nazioni non hanno. Leonardo non solo è un italiano, ma un personaggio universale».Cosa provò quando l’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi manifestò il suo compiacimento per la scelta del disegno leonardesco da incidere sulla moneta da 1 euro?«Provai emozione e orgoglio. Tra l’altro la moneta bimetallica è un’invenzione italiana, inaugurata con la moneta da 500 lire. Una sfida tecnica, perché con due metalli che devono dialogare, lo spazio di modellazione si riduce. Ma soprattutto: quale immagine poteva essere migliore dell’uomo di Vitruvio? Non dimentichiamo, poi, che anche la moneta da 2 euro, realizzata dalla mia allieva Carmela Colaneri, è bimetallica e rappresenta Dante. Le nazioni europee hanno lingue e culture diverse, ma Leonardo e Dante sono figure non solo europee, ma di rilievo mondiale».Come si giunse alla scelta finale e quali, accanto a Leonardo, gli altri papabili?«È stato un lavoro lunghissimo. Fu fatto un sondaggio tra i cittadini. Mi colpì il fatto che gli italiani non sceglievano necessariamente un simbolo o personaggio della propria regione, ma immagini evocative dell’Italia intera. I miei allievi della scuola incisori fecero molti disegni che portavo in Commissione. Un’alternativa fu il David di Michelangelo. Poi, quando Ciampi vide l’uomo vitruviano disse: “Questo è l’euro”».Qual è stata la prima moneta che ha inciso?«Credo il rovescio di una medaglia su Roma capitale, da 500 lire, che tuttavia non ho potuto firmare e rappresenta la piazza del Campidoglio disegnata da Michelangelo. Ero appena entrata in Zecca e non mi avevano coinvolto con gli altri incisori. Una notte stetti alzata e preparai la mia proposta, che alla fine fu scelta dalla Commissione tecnico-monetaria del ministero del Tesoro».Fu difficile entrare e farsi spazio nella Zecca dello Stato?«Quando decisi di partecipare al concorso indetto dalla Zecca, mi fu opposta l’obiezione di non aver fatto il servizio militare. Tuttavia, sul bando non c’era scritto, ribattei. Chiesero lumi al ministero e la data della prova fu rimandata. Partecipai, francamente, con una buona prova. E lo superai. Ma la professione d’incisore, storicamente, è sempre stata considerata maschile. Una volta assunta, forse pensarono: “Vabbè, je famo fa’, che ne so, le perizie delle monete”…».Come i fatti hanno dimostrato, non fu così. Che ruolo ha avuto la figura di suo padre nel suo destino?«Papà mi ha trasmesso il germe del lavoro d’incisore e scultore. Aveva lo studio in casa ed io, bambina, ci andavo a dormire, guardando il torchio a stella e sentendo l’odore degli inchiostri. L’amore per il proprio padre spinge a fare cose grandi. Quando, ai primi tentativi, su una lastra di linoleum, mi forai una mano con il bulino, scoppiai in lacrime. Lui mi disse: “Poco male, così ti è entrato anche il mestiere”».Qual è la moneta da lei realizzata per cui sente più affezione?«Certamente quella da 1 euro. Ma anche la 500 lire bimetallica, perché si lavora su uno spazio ridotto, la corona esterna e l’interno. Ricordo che quando fu coniata, uscii con quella moneta in tasca per acquistare il giornale, senza dire nulla a nessuno, nemmeno al giornalaio». La tecnologia ha cambiato la professione d’incisore di monete?«Io sono uscita dalla Zecca nel 2004 ma credo che ora anche il computer ricopra un suo ruolo. Devo dire che l’introduzione del pantografo ha agevolato il lavoro. Tuttavia, per il ritocco di conio e punzone, la precisione del segno la dà il bulino, ciò che le macchine non possono fare».Le monete in euro hanno mantenuto, su un lato, simbologie delle identità nazionali. Non così è stato, invece, per le banconote, che paiono piuttosto anonime…«All’epoca di studio dell’euro, accompagnai a Bruxelles, in Commissione, l’ingegner Ielpo (Nicola Ielpo, lucano, direttore della Zecca di Stato dal 1979 al 1999, ndr). Se con le monete fu possibile riservare una parte a immagini dei singoli Stati nazionali, per le banconote era diverso e alla fine si scelse di rappresentare sintesi di elementi architettonici comuni a tutta Europa. Nelle banconote siamo tutti europei, mentre l’orgoglio nazionale si esprime sulle singole monete. Questo l’intento».Tra il 1993 e il 1996, ha rinnovato le monete classiche da 50 e 100 lire apparse negli anni ’50 con la dea Minerva e il dio Vulcano, con due versioni leggermente più piccole in cupronichel. Poi vennero le micro-monete da 50 e da 100, di dimensioni talmente ridotte da essere snobbate dagli italiani. Un segno di decadenza?«Le raffigurazioni di quelle monetine erano le stesse di quelle classiche da 50 e 100 lire. Dato che la moneta esprime un suo linguaggio, che messaggio si dava? Che si voleva risparmiare nella loro produzione? Oppure che valevano di meno? Quel messaggio non era buono».Per Sandro Sassoli, che ha curato le celebrazioni per l’addio alla lira, ha disegnato un logo dedicato all’ex-moneta nazionale. Conserva qualche copia delle monete che ha realizzato e almeno un biglietto da 1.000 per ricordo?«Non le ho, me ne dispiaccio, sono sempre stata molto impegnata. Delle mie monete ho solo le fotografie dei cataloghi. Piuttosto sto cercando di rimettere in ordine vecchi faldoni di lavoro. Può darsi che una banconota da 1.000 lire spunti da qualche cartella…».Il primo numero della Settimana enigmistica, del 23 gennaio 1932, costava 50 centesimi di lira, che non equivalgono nemmeno a un centesimo di euro. Ha un ricordo della sua infanzia legato alla nostra lira?«Ricordo il biglietto di carta da 1 lira, molto piccolo. Mi sembrava di avere una cosa importante e tra me e mio padre c’era una specie di contratto. Lo aiutavo nel lavoro ed esigevo di essere pagata. Non era, insomma, una paghetta, come si usa oggi, ottenuta senza far nulla. Poi rammento che con 5 lire si compravano i bruscolini dall’omino davanti alla scuola, oppure i lacci di liquirizia». Secondo lei, in generale, si stava meglio quando c’era quella lira, talvolta forte ma spesso svalutata e una volta espulsa dal serpente monetario europeo?«È un discorso economico. Ora abbiamo da tanto tempo l’euro, ma è l’economia che ha problemi e c’è un grande punto interrogativo sul futuro. L’Italia deve capire, guardando la sua storia, cosa si può modificare. Siamo una nazione, non un agglomerato di regioni; abbiamo un problema e dobbiamo risolverlo a vantaggio di tutti, altrimenti rischiamo di andare a fondo. E dobbiamo riprenderci un orgoglio che, mi sembra, talvolta difetti».La lunga storia della lira e le ragioni del passaggio all’euro dovrebbero essere insegnate a scuola?«Un ragazzino di oggi è nato con l’euro. Dovremmo spiegargli perché pensarci europei, e che non lo siamo sempre stati. È bene essere orgogliosi di difendere la nostra identità di italiani, sentendoci europei. L’Europa dovrebbe diventare una nazione unita in intenti, politica, progetti, ma siamo ancora lontanucci, diciamo…».
Jose Mourinho (Getty Images)