2022-06-30
Baldan Bembo: «Così ho anticipato “We are the world”»
Dario Baldan Bembo (Getty Images)
L’autore di «Amico è», successo che compie 40 anni: «Non era mai capitato nella musica leggera di avere sette cantanti assieme, ma è grazie a Mike Bongiorno se è diventato un inno universale. Il terzo posto a Sanremo? Meglio del primo, poi finisci nel mirino».Tra le tante celebrazioni in occasione di anniversari e ricorrenze, ricordare la nascita di una canzone e ciò che ha significato per varie generazioni è forse il modo più gioioso e simpatico. Venerdì 1° luglio a Maggiora, in provincia di Novara, Dario Baldan Bembo festeggerà con un concerto i 40 anni di Amico è, brano simbolo degli anni Ottanta. Un’occasione per rievocare una carriera straordinaria, vissuta sempre con eleganza. Correva l’anno 1982…«Quando stavamo incidendo Amico è in un prato di Maggiora, avevamo un gazebo dove c’era un televisore per seguire i Mondiali di calcio. Abbiamo portato fortuna perché poi l’Italia ha vinto. È stato un anno mitico». E da allora questo brano è un autentico evergreen.«Non è stata una cosa voluta, ci siamo accorti dopo che avevamo fatto un capolavoro destinato a rimanere: è un inno dell’amicizia che perdurerà negli anni, fin quando ci sarà amicizia tra gli uomini. La gente continua a cantarlo: lo intonano i bambini negli asili, gli amici in trattoria davanti a un bel bicchiere di vino, i tifosi delle squadre di calcio negli stadi. Lo conoscono tutti. Non era mai successo nella musica leggera italiana che un brano fosse cantato da sette interpreti (oltre a Baldan Bembo, Riccardo Fogli, Marcella Bella, Caterina Caselli, Pupo, Giuni Russo, Ornella Vanoni, Gigliola Cinquetti, ndr), precedendo la famosa We are the world. A me piace fare musica perché le persone cantino tutte insieme, è il mio stile».Com’è nata?«Ho composto la musica, poi il grande Sergio Bardotti, insieme alla bravissima Nini Giacomelli, ha scritto un testo straordinario. È nata con un pensiero tra me e Sergio Bardotti. Lui mi ha detto: “Perché non facciamo una canzone dedicata all’amicizia?”. “Porca miseria, che idea bellissima!”. L’unico consiglio tecnico che gli ho dato è stato: “Sergio, scrivi qualcosa che finisca sempre con la e”».Suona meglio…«Certo, perché la “e” è la vocale più aperta, più solare, più signorile. Potremmo dare un significato alle vocali: la “u” è cupa, la “o” è segno di riflessione…».Era la sigla di Superflash, il quiz di Mike Bongiorno.«La grande scintilla è stato proprio Mike Bongiorno: è merito suo se è diventata l’inno dell’amicizia, l’ha battezzata ufficialmente lui». Nel concerto ripercorrerà alcuni momenti della sua carriera.«Ho cercato di radunare alcuni dei miei amici. Ci saranno, tra altri, Riccardo Fogli, Franco Fasano, Francesca Alotta, Marco Ferradini con la figlia Marta, Aida Cooper, Silvia Annichiarico, Nini Giacomelli, il figlio di Mike Bongiorno, Nicolò, con il quale parlerò del rapporto con suo padre. Caterina Caselli mi manderà un videomessaggio. Mi dispiace che non ci sia Sergio Bardotti, scomparso da molti anni».Finalmente si esibirà in un concerto!«Non ho mai avuto l’idea di andare in tournée perché ho sempre preferito fare la vita del compositore. Ho fatto delle serate sporadiche, il primo concerto importante sarà proprio questo di Maggiore. Lo considero una puntata zero perché ho intenzione di replicarlo ogni anno, invitando sempre degli amici nuovi. Sarà sempre il concerto dell’amicizia. Il sindaco della città, Roberto Balzano, premierà all’interno del concerto una persona che si è distinta nel corso dell’anno per il valore dell’amicizia e della solidarietà».L’amicizia è un tema ricorrente della sua carriera.«Ho composto la musica di Amico di Renato Zero, con il quale è nata una bella amicizia che continua ancor oggi. Nel 1981, dopo Tu cosa fai stasera?, Renato mi ha detto che voleva cantare una mia canzone e così è nata Amico, alla quale è seguita Più su. Pochi sanno che a Renato ho dato venti canzoni, tra le quali una delle più importanti è Spiagge».Ha collaborato con altri grandi artisti, a cominciare da Mia Martini.«Nel 1972 era una giovane cantante venuta a Milano da Bagnara Calabra e un bravissimo produttore che si chiamava Giovanni Sanjust una mattina mi ha detto: “Non hai una canzone per questa nuova cantante?”. Io ho detto sì: avevo la canzone che poi sarebbe diventata Piccolo uomo. Per lei ho scritto Donna sola e Minuetto, con il testo del mio amico Franco Califano, e un’altra decina di brani. Quando venivo a Roma, incontravo i cantanti del circuito romano, come Franco, Venditti, De Gregori, Baglioni, ma a me piaceva stare a Milano con la nebbia!».A Milano chi frequentava?«Pensa che ho sempre abitato al terzo piano di un condominio, dove al sesto piano c’era Enzo Jannacci. Se ti dico in che modo ci frequentavamo, ti viene da ridere: l’unico modo di parlare era quando ci si incontrava nell’ascensore! Appartenevamo a due mondi diversi, ma ci stimavamo molto. Andavo al Derby, dove si esibivano lui, Cochi e Renato, Teocoli e Boldi. Gli anni Settanta e Ottanta erano una specie di Rinascimento».Un periodo d’oro.«Io sono esterrefatto dalla povertà culturale e sociale della vita che stiamo conducendo oggi, anche la mia è più povera di 40-50 anni fa. La mattina andavo a incidere per Lucio Battisti, suonavo l’organo Hammond nel suo Lp che stava incidendo, Amore non amore, e lui mi insegnava I giardini di marzo, al pomeriggio provavo con Mia Martini, alla sera ci si ritrovava tutti a bere e a mangiare e mentre si andava in piazza Duomo, passava per caso Fabrizio De Andrè e veniva a cantare con noi. Questo era un modo di passare una serata tranquilla a Milano! Hai capito che vita si faceva?».Ha fatto parte anche del Clan Celentano…«Si fa per dire! Ico Cerutti mi aveva convocato per essere l’organista di Hammond nel suo complesso e ho fatto molte serate con lui, quindi siccome lui apparteneva al clan Celentano, ne facevo parte anche io, ma Celentano l’avrò visto tre-quattro volte. Ho fatto parte invece della Nuova Equipe 84, con la quale ho partecipato al Festival di Sanremo 1971 con la canzone 4/3/1943 di Lucio Dalla, che ha eseguito anche lui. Ho avuto modo di conoscerlo: gli piaceva come suonavo l’Hammond».Che ricordo ha di Sanremo?«Era la prima volta che suonavo il pianoforte davanti a milioni di persone, però come faccio a raccontare un’emozione?».Dieci anni dopo ha partecipato nuovamente a Sanremo, questa volta da solo, con Tu cosa fai stasera?, altro suo cavallo di battaglia.«E anche questa volta sono arrivato terzo. Poi è diventato un pezzo di grande successo: ha venduto 600.000 copie, oggi se ne vendono 10.000, quando va bene. Ed è ancora attuale la versione di Sarah Brightman con José Cura che ha fatto il giro del mondo. La cosa che mi ha onorato è che questa grandissima cantante ha tenuto sia il mio testo, sia il mio arrangiamento». Ha pensato di vincere quel Sanremo?«No, mi è bastato il terzo posto. Non ho mai ambito al primo posto, forse per una questione mia di riservatezza. Poi il vincitore è sempre il più colpito: sei sulla cima e tutti vogliono buttarti giù. Nel 1985 sono tornato a Sanremo con Da quando non ci sei e sono arrivati tra gli ultimi. Dopo la serata, siamo andati tutti al ristorante: io ero contento di stare con tutti gli amici, mentre c’erano cantanti arrabbiati per essere arrivata settimi o ottavi».Aveva un’altra filosofia…«La filosofia del chi se ne frega!».Come ha iniziato a suonare? Aveva la musica nel sangue perché sua madre era pianista?«Ma mia madre aveva vergogna di suonare in famiglia, quindi non è che abbia imparato tanto da lei! A quei tempi, quando una donna aveva dei figli, non era serio che si mettesse al pianoforte a suonare».Un modello allora è stato suo fratello Alberto, anche lui famoso musicista?«Era troppo grande: aveva dieci anni più di me. Ha fatto una vita pazzesca, è stato in tournée con Mina, Ornella Vanoni, Gigliola Cinquetti, Nicola Di Bari. Odiava il fatto che qualcuno potesse pensare che mi stesse raccomandando. Mi ha fatto conoscere delle persone del suo ambiente, però poi mi diceva: “Sono cavoli tuoi, io non ti posso aiutare, vai con le tue armi”. Quando mi è capitato di lavorare con lui, ero sempre il più tartassato. Gli dicevo: “Alberto, non è che mi dai sempre addosso perché devi far vedere che non mi raccomandi”. Mi arrabbiavo come una bestia! Comunque, il suo era un mondo diverso dal mio. Ha fatto anche il compositore di colonne sonore».Lei ha composto il brano Djamballà nel film del 1970 Il dio serpente di Piero Vivarelli, nel 1970. Un grande successo.«Augusto Martelli, che stava componendo la colonna sonora, una sera è venuto da me: “Senti, Dario, non hai una canzone che devo mettere qualcosina per finire i titoli di coda?”. Gli ho fatto sentire all’organo Hammond questa canzone, gli è piaciuta molto e l’abbiamo incisa. Io ho suonato il flauto e ho fatto anche il coro. Altro che pezzo per finire i titoli di coda, è diventato il pezzo più importante del film!». Con un futuro produttore e distributore cinematografo, allora anche lui cantante, Ciro Dammicco, ha composto una canzone famosa, Soleado.«Era una canzone solo coro, poi a qualcuno è venuto in mente di scrivere un testo e di chiamarla When a Child Is Born, è diventata un Christmas Carol e viene cantata in tutte le occasioni natalizie in America, nelle chiese, nelle radio, una cosa pazzesca, un grandissimo successo. Io e Ciro Dammicco: una grandissima accoppiata, poi le nostre strade si sono divise. Anche Aria, la mia prima canzone, scritta da Bardotti, ha avuto 110 versioni nel mondo, la più famosa è quella di Shirley Bassey».Un’ultima curiosità: nel suo album omonimo, Dario Baldan Bembo, datato 1979, ha collaborato Giorgio Faletti. Come mai?«È successo per caso. Ci siamo incontrati una sera in un bar o in un ristorante e gli ho chiesto: “Giorgio, vuoi scrivere i testi per il mio prossimo album?”. “Sì, volentieri, è un onore per me” e l’abbiamo fatto. Non era ancora famoso. Una persona fantastica, un altro amico della mia vita».