
Sempre più filosofi, pensatori e scrittori riscoprono la classicità come bussola per orientarsi nell'attualità. Volete capire come nasce una gang? Leggete Omero. E per conoscere l'amore tornate al mito degli Argonauti.Sembra che sia una sorta di reazione immunitaria. L'Europa - lo ha scritto Roger Scruton - soffre di una malattia chiamata oicofobia, che consiste nella «avversione per la propria casa e per il proprio retaggio». È un morbo che si esplicita nella tendenza, «in qualunque situazione conflittuale, a schierarsi con “loro" contro di “noi"» e nel «bisogno irrefrenabile di denigrare usi e costumi, cultura e istituzioni che siano tipicamente “nostri"». Più questa piaga si diffonde, tuttavia, più si notano qua e là forme di reazione anche piuttosto decise. Talvolta sono perfino involontarie: si riscoprono le radici perché non se ne può fare a meno, perché a un certo punto le membra, il sangue e la mente le bramano. O, semplicemente, perché, alla fine dei conti, tutto ciò che esiste al mondo di importante era già lì, dentro quelle storie che hanno creato il nostro mondo e ora impediscono che sia definitivamente distrutto. Lo spiega bene il grande scrittore francese Sylvain Tesson in un libro appena uscito intitolato Un'estate con Omero (Mondadori): «È il miracolo del mondo antico: quasi tremila anni fa, dalle coste dell'Egeo, un poeta, qualche pensatore e un pugno di filosofi hanno regalato al mondo insegnamenti il cui valore non è stato minimamente scalfito dal passare dei secoli». Tesson si è ritirato, anzi rifugiato, sulle isole Cicladi, ma ha portato con sé alcuni amici: i testi omerici. Si è immerso in profondità dentro di essi e, una volta riemerso, ha scritto: «L'Iliade e l'Odissea sono un “diario del mondo" e ci rivelano che, in fondo, nulla cambia sotto il sole di Zeus: l'uomo, animale grandioso e miserabile, illuminato e mediocre, resta fedele a sé stesso». «Il Medio Oriente è dilaniato dai conflitti, Omero rappresenta la ferocia degli scontri», continua il francese. «I governi saltano, Omero descrive la bramosia degli uomini. I curdi si battono con eroismo per i propri territori, Omero racconta la lotta di Ulisse per riprendersi il potere di cui è stato usurpato. Le catastrofi naturali ci atterriscono, Omero narra la furia della natura di fronte alla follia umana. Ogni evento contemporaneo trova eco nei suoi versi o, per meglio dire, ogni sussulto della Storia è il riflesso di una sua premonizione». I tesi antichi parlano di noi, del nostro oggi. Ne è convinto anche un altro scrittore di vaglia, l'irlandese Colm Tóibín, di cui Einaudi ha appena pubblicato La casa dei nomi, una vera e propria tragedia greca ispirata all'Ifigenia in Aulide di Euripide. Tóibín si sofferma in particolare sulla regina furente e rancorosa, Clitemnestra, intenzionata ad uccidere il marito Agamennone dopo che egli ha sacrificato agli dei la figlia Ifigenia. È una storia violenta, quella dell'autore irlandese, che mette in scena i conflitti fra uomini e donne, le lotte per il potere. È una vicenda che ha tutta la forza del mito. «Queste storie sono molto potenti, e viscerali», ha detto Tóibín al Giornale. «Hanno a che fare con i conflitti all'interno della famiglia. Oggi viviamo in un mondo in cui molte divisioni sono intime - per esempio, fra opinioni di destra e di sinistra - e molte guerre sono guerre civili, o fra gang, o all'interno di una stessa religione: perciò queste storie rimangono essenziali per noi». Si torna sempre lì, in Grecia. E, ovviamente, si torna a Roma. Allo splendore degli antichi. Non è un caso che, da un anno a questa parte le librerie siano invase di testi celebrativi delle cosiddette «lingue morte» (che morte non sono affatto). Ne citiamo solo alcuni, come il bestseller Viva il latino. Storia e bellezza di una lingua inutile (Garzanti) di Nicola Gardini, insegnante di letteratura italiana ad Oxford, di cui è appena uscito il successore, ovvero Le dieci parole latine che raccontano il nostro mondo, volato subito in cima alle classifiche. Ma ci sono pure Il presente non basta. La lezione del latino (Mondadori), di Ivano Dionigi, latinista e già rettore dell'Università di Bologna, e La lingua geniale: 9 ragioni per amare il greco (Laterza), di Andrea Marcolongo, grecista che ha firmato anche il più recente La misura eroica. Il mito degli argonauti e il coraggio che spinge gli uomini ad amare (Mondadori).Alcuni di questi volumi si basano sull'idea che il greco e il latino siano «lingue inutili» di cui però va spiegata la bellezza («l'utilità dell'inutile» a cui fa riferimento il celebre saggio di Nuccio Ordine). In realtà, inutili non lo sono affatto, come ha spiegato il grande studioso Luciano Canfora (autore del pamphlet Gli antichi ci riguardano). «Ogni libro come, diceva Plinio il vecchio, contiene qualcosa di utile», dice Canfora. «Però ho qualche riserva. Non è tanto giusto lasciarsi andare alle esclamazioni ammirative nei confronti del greco e del latino, perché si possono profondere per tutte le letterature del mondo, non solo per quelle antiche. Non si può fare gara a chi esclama di più, a chi esalta di più. Quel che bisogna fare è vedere il rapporto con una tradizione forte, da cui discendono tantissime parti essenziali della nostra civiltà nostra. E non solo di quella occidentale, perché anche il mondo arabo è diventato tale studiando Aristotele, Galeno, eccetera. Alessandro Magno portò l'ellenismo in Afghanistan. Non è solo roba nostra, insomma. È un patrimonio umano formidabile, matrice di letteratura e storia, matrice del pensiero». Già, gli antichi hanno dato forma al mondo, tutto il mondo. E la loro grandezza continua a toccarci. Se ne sono accorti pure i capoccioni dello show business americano. Netflix, per esempio, ha da poco annunciato che produrrà una serie tv chiamata Kaos, che racconterà i miti greci in chiave contemporanea. La produzione è affidata a Charlie Covell, già autore della fortunata The End Of The F***ing World. Nelle edicole italiane, invece, è già arrivata Xerxes, la nuova graphic novel di Frank Miller, autore di 300, che racconta la guerra tra greci e persiani. Un conflitto, dice Miller, che ci rivela «chi siamo e da dove veniamo. Perché le stesse forze che hanno combattuto allora sono ancora oggi in gioco».
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