2019-07-06
«Così funziona la filiera coop che fa affari con i piccoli strappati alle loro famiglie»
La presidente dell'Associazione pedagogisti familiari Vincenza Palmieri racconta come opera davvero il sistema dei servizi sociali. Tolgono i figli (spesso ai genitori più poveri) così incassano.«Racconto queste cose perché le vedo tutti i giorni da anni, e bisogna che si sappiano». Vincenza Palmieri è psicologa forense, ha un paio di lauree e numerosi altri titoli accademici. Ha scritto libri e diretto collane scientifiche. Soprattutto, la dottoressa Palmieri è presidente della Associazione nazionale dei pedagogisti familiari e da un ventennio si occupa dei minori che vengono tolti alle famiglie. Bambini che lasciano la casa e i genitori e che, troppo spesso, finiscono stritolati da un sistema che la dottoressa chiama «filiera psichiatrica». Un meccanismo terribile che abbiamo visto mettersi in moto anche nella Val d'Enza scossa dall'inchiesta «Angeli e demoni». Come funziona il sistema?«Tutto è iniziato con la legge 328 del 2000. È la legge quadro, voluta da Livia Turco, sulla dislocazione dei servizi socio-assistenziali. Questa norma dà ai Comuni la possibilità di avvalersi di servizi socio-assistenziali in regime di convenzione. In pratica ha istituito i servizi territoriali». E che cosa prevede? «In origine prevedeva che i Comuni sotto i 5.000 abitanti potessero avvalersi di convenzioni con cooperative per svolgere questo tipo di servizi». In pratica, dunque, è stata una privatizzazione che ha favorito le coop. «Sì, l'idea era buona. Si pensava che in questo modo i Comuni risparmiassero». Poi ha dato il via a un business. «Anche perché in Italia ci sono circa 6.000 Comuni sotto i 5.000 abitanti. Non solo: questo tipo di modello è stato poi esportato anche in Comuni più grandi». Vediamo se ho capito. I Comuni possono affidare a privati i servizi per i minori.«Sì, un po' come avviene con i migranti o anche con gli anziani. Il fatto che su un territorio agisca una coop che si occupa di servizi sociali prevede poi che ci siano anche altri servizi. Che a loro volta necessitano di una coop che li svolga». Proviamo a spiegare quali sono i passaggi della filiera. «Parte tutto con la segnalazione ai servizi sociali. Può farla qualcuno. Oppure può essere che sia la stessa famiglia, ignara, a rivolgersi al Comune per ottenere qualche tipo di assistenza: buoni pasto, aiuti per i bambini... Questa richiesta di aiuto può trasformarsi, nei fatti, in una segnalazione». A quel punto, quando c'è stata una segnalazione, che cosa avviene?«I primi a intervenire sono gli assistenti sociali. Il servizio territoriale prende in carico il caso». E qui c'è l'intervento della prima coop, quella degli assistenti sociali. «Sì. Poi parte la verifica dell'idoneità genitoriale, cioè si controlla se i genitori svolgono il proprio compito in modo adeguato. Qui arriva una seconda coop, per cui lavorano psicologici, neuropsichiatri infantili eccetera». Come si fa questa verifica? «I genitori vanno a incontri in centri che hanno di solito nomi evocativi: “La mia famiglia", “Il centro della famiglia"... Un incontro non basta. Ce ne vogliono almeno 4. E questi sono solo i colloqui. Poi ci sono i test a cui devono sottoporsi i genitori e spesso anche i nonni. Ci vuole tempo. Ho visto valutazioni durate anche 8 mesi». E in questo lasso di tempo i bambini dove stanno?«Ci sono due possibilità. Possono finire direttamente in una casa famiglia. Oppure restano a casa propria, ma con l'Adm, ovvero l'Assistenza educativa domiciliare». In che cosa consiste? «La famiglia è seguita da educatori domiciliari, la cui professionalità, molto importante, è regolamentata da una legge dello scorso anno». Non me lo dica: anche gli educatori fanno parte di un'altra coop...«Esatto. Il problema è che spesso queste coop, oltre agli educatori (o al loro posto) fanno uscire altre figure professionali. O troppo formate, come gli psicologi, oppure senza qualifiche, come i cosiddetti mediatori culturali, che spesso hanno pure stipendi... diciamo particolari. Queste coop sono meno ricche delle altre, e lavorano su mandato dei servizi sociali, dunque devono essere gradite ai servizi e sono schiacciate sulle loro posizioni». Questi «educatori» o presunti tali che cosa fanno?«Queste figure, a volte non preparate, stilano delle relazioni sulla famiglia. Ma spesso invece di scrivere che progetto educativo mettono in atto o come supportano la famiglia, si lasciando andare a valutazioni disastrose, che rasentano l'abuso diagnostico. Magari scrivono che la mamma è troppo apprensiva, o che il nonno è troppo opprimente...». Non dovrebbero, invece. «Non è il loro compito. Il fatto, però, è che le loro relazioni finiscono sui tavoli dei giudici. E costituiscono un elemento di valutazione della famiglia. E il giudice, magari ignaro della situazione, può disporre l'allontanamento del bambino». Che a quel punto finisce in casa famiglia.«Sì, viene tolto ai genitori con i metodi che sappiamo e che tante volte si sono visti in tv. In un attimo portano via i bimbi, spesso 2 o 3 fratellini. Guardi, ne ho viste di tutti i colori. Ho visto madri a cui hanno tolto i figli perché erano sdentate...». In sostanza mi sta dicendo che i figli vengono tolti alle famiglie perché sono povere. «Anche ai ricchi in qualche caso vengono tolti. Ma di solito si tratta di famiglie fragili e in difficoltà economiche». Però, per legge, la povertà non può portare all'allontanamento dei figli. «Non la chiamano così. Magari scrivono che la casa è fatiscente, anche se non è vero. Nei fatti è un castigo della povertà, anche se non lo dicono». Come può accadere?«Perché questa filiera, per alimentarsi, ha bisogno dei bambini. Una casa famiglia incassa dai 60 ai 400 euro al giorno per un bambino. Per le altre coop i pagamenti dipendono dai bandi, ma ho visto cifre di migliaia di euro. E dietro le coop ci sono sempre i politici locali. Non avviene solo a Reggio Emilia, sa? Ho visto cose del genere ovunque in Italia». Sì, però si passa anche per i tribunali, non decidono tutto le coop...«Sì, magari in caso di conflitto si fa la consulenza tecnica di ufficio. Durante la quale il Ctu, fiduciario del giudice, ascolta i genitori. E, di nuovo, gli assistenti sociali, gli psicologi... Cioè si incancrenisce il sistema che ha causato il problema. Quello che poteva essere risolto con una consulenza ai genitori, con la pedagogia famigliare, diventa un dramma che dura anni. Per non parlare poi delle case famiglia». Parliamone. «Ci finiscono dentro bambini con il ciuccio ancora in bocca. Spesso ai bimbi vengono dati psicofarmaci, perché soffrono e diventano ingestibili. E poi ci sono le case famiglia ad alto contenimento per i ragazzini più irrequieti. E lì si viene davvero sepolti vivi».