
La sua morte prematura fu drammatica, incredibile e destinata a restare indimenticabile come le sue leggendarie vittorie. Tutti i medici hanno sbagliato diagnosi. A salvarlo sarebbe bastato un po' di chinino. Fausto Coppi è stato il più grande campione del ciclismo italiano, secondo molti esperti forse il più grande del mondo, in ogni epoca.Il 15 settembre dell'anno passato si erano ricordati i cent'anni trascorsi dalla sua nascita. E oggi, 2 gennaio 2020, è il sessantesimo anniversario della sua morte: una data speciale perché la sua fine - a soli quarant'anni - fu romanzesca, drammatica, incredibile e destinata a restare indimenticabile nella sua biografia, come le leggendarie vittorie.L'ultimo anno trionfale di Coppi, campionissimo del ciclismo, fu il 1953: vinse per la quinta volta il Giro d'Italia e anche il campionato del mondo. Poi, dal 1954 al 1959, poche vittorie prestigiose, molti infortuni, una lunga decadenza fino alla imprevedibile vicenda che lo porta alla morte. Eccola. Il 10 dicembre 1959 Coppi parte con alcuni amici, ciclisti francesi, per un viaggio in Africa occidentale, all'epoca nell'Alto Volta, attuale Burkina Faso. Le esibizioni sono accompagnate da alcune battute di caccia. Coppi e un bravo corridore francese, Raphael Géminiani, occupano la stessa camera e una notte vengono assaliti dalle zanzare, contraendo la malaria. Sono stanchi e debilitati, rientrano insieme in aereo a Parigi, poi si separano, Fausto torna a casa a Novi Ligure. Il 20 dicembre Coppi e Géminiani si telefonano: sono entrambi febbricitanti. Quella stessa sera Géminiani perde conoscenza, è ricoverato in ospedale. Sua moglie allerta immediatamente uno specialista di malattie tropicali. Si scopre la presenza nel sangue del plasmodium falciparum, che provoca la malaria nella sua forma più violenta. Géminiani resta in coma otto giorni: viene curato con il chinino e salvato. Il 27 dicembre Coppi è a letto con febbre alta, nausea e brividi: i parenti chiamano un medico di Serravalle Scrivia e il primario dell'ospedale di Tortona. Ma i due non riescono a fornire una diagnosi. Nel pomeriggio del 1º gennaio Fausto si aggrava: a Tortona giunge anche un docente dell'Università di Genova. Coppi viene ricoverato d'urgenza prima a Novi e poi a Tortona: alle 22 del 1º gennaio perde i sensi, alle 23 è in «pericolo di vita», all'una di notte riprende conoscenza e parla con Ettore Milano, un suo storico gregario. Subito dopo entra in coma. È curato con antibiotici e cortisonici, ma non reagisce. Muore alle 8.45 del 2 gennaio 1960. Tutti i medici hanno sbagliato diagnosi, ritenendo Fausto affetto da un'influenza grave, nonostante la moglie e il fratello di Géminiani avessero telefonato dalla Francia per avvertire che a Raphaël era stata diagnosticata la malaria. Nessun medico diede importanza a questa preziosa informazione. Per salvare Coppi sarebbe bastato un po' di chinino.«Un uomo solo è al comando, la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Fausto Coppi». Quando sentivamo questo annuncio alla radio - non c'era la televisione, la voce, inconfondibile, era del popolarissimo radiocronista Mario Ferretti - esplodeva l'entusiasmo tra tutti gli italiani appassionati di ciclismo. «Per un corridore», diceva Coppi, «il momento più esaltante non è quando taglia il traguardo da vincitore. Ma quando decide di andare in fuga, di attaccare, anche se il traguardo è molto lontano».Il campionissimo è entrato nella storia del ciclismo, infatti, anche perché, in certe gare, decideva di andarsene via da solo, partendo da lontanissimo, e arrivando primo con notevoli distacchi. L'esempio più noto, ma non l'unico, è quello della Cuneo-Pinerolo del 1949 e dell'«uomo solo al comando», con la maglia biancoceleste. Qualcuno ha provato a fare un calcolo e ha detto che nella sua vita Coppi pedalò, in fuga solitaria, per almeno 3.000 chilometri. Di certo più di una volta arrivò con molti minuti di vantaggio sul secondo. «Quando Coppi vinceva per distacco, non avevi bisogno di un cronometro svizzero», disse l'ex ciclista Raphaël Géminiani: «Andava bene anche l'orologio di un campanile». Sempre Géminiani disse, parlando di Coppi, che aveva «vent'anni di vantaggio sul gruppo».Coppi, inimitabile nel suo sport, come uomo ha avuto una vita breve, tormentata e infelice. La notizia della morte arrivò inaspettata e commovente. Antonio Ghirelli titolò così Tuttosport, a caratteri giganteschi: «Era il campione più grande e infelice». Candido Cannavò, celebre giornalista sportivo, raccontò: «Fausto era ancora nella camera ardente. Arrivò Bartali. Prese la mano di Fausto e disse: “È incredibile, è incredibile". Pianse e pregò alla sua maniera. Il grande duello era finito per sempre». E Orio Vergani: «Il grande airone ha chiuso le ali». Eddy Merckx, straordinario campione belga, grande ma non grandissimo come Fausto: «Le vittorie di Coppi sono diventate un romanzo, le mie solo cronaca.»Sergio Coppi, il cugino: «Ricordo che dalla Francia arrivò dopo poche ore Luison Bobet, l'asso del ciclismo francese, e rimase con noi in casa tutta la notte, a vegliare la salma. Erano molto amici, Bobet aveva una venerazione per Fausto e non finiva più di piangere». Fausto era nato il 15 settembre 1919 a Castellania, in Piemonte.Era il quarto dei cinque figli di Domenico Coppi e di Angiolina Boveri. I genitori, originari di Quarna Sotto, si erano trasferiti proprio a Castellania, proprietari di un terreno coltivato a granturco e vigneti. E Fausto, dopo aver frequentato con scarso profitto le scuole elementari, affiancò il padre e il fratello maggiore nel lavoro dei campi. A quindici anni, compra la prima bicicletta e comincia a partecipare alle prime gare. Lo segnalano a Biagio Cavanna, il famoso massaggiatore di Costante Girardengo e di Learco Guerra. Fausto, con un fisico apparentemente poco atletico, e nonostante una struttura ossea e muscolare molto fragile, è dotato di una notevole agilità muscolare: alto 1.77, peso forma 74 chili, gambe lunghe e sottili, un sistema cardiorespiratorio fuori dal comune (torace ampio, capacità polmonare di 7,5 litri e 34 pulsazioni cardiache/minuto a riposo), qualità che ne esaltano la resistenza sotto sforzo. Nel 1940, nella squadra di Gino Bartali, a soli vent'anni è il più giovane vincitore di un Giro d'Italia. Ma la guerra prende il sopravvento e Fausto deve partire per l'Africa Settentrionale, caporale della divisione Ravenna. Nel febbraio 1945 è prigioniero degli inglesi, poi torna in Italia e ricomincia a correre e vincere. Una straordinaria collezione di successi. In breve: nel 1947 vince ancora il Giro, nel '49 Giro e Tour de France, nessuno prima di lui era riuscito a centrare la doppietta nello stesso anno. Il 1951 è un anno tragico: muore il fratello Serse, che cade a due km dall'arrivo del Giro del Piemonte, scivolando su una rotaia del tram. Coppi, sconvolto, pensa di abbandonare le corse, ma poi nel 1952 per la seconda volta centra la doppietta Giro d'Italia-Tour de France. Infine, nel 1953, quinto Giro e trionfo nel campionato mondiale, a Lugano.È memorabile e romanzesca anche la sua vita sentimentale. Il 22 novembre 1945 Coppi aveva sposato Bruna Ciampolini e un anno dopo aveva avuto da lei una figlia, Marina. Nel 1953 al suo fianco appare pubblicamente la cosiddetta Dama bianca, ed è la storia d'amore proibito più clamorosa e discussa di quegli anni, fra Fausto Coppi e Giulia Occhini. Presumo che i giovani di oggi saranno increduli, a seguire il racconto. Lo scandalo descrive l'Italia degli anni Cinquanta: adulterio, abbandono del tetto coniugale e concubinaggio rappresentavano, per una donna, il rischio concreto di finire in carcere. Giulia aveva 27 anni, sposata giovanissima con il medico varesino Enrico Locatelli, con due figli. Fausto aveva 34 anni, anche lui sposato e con una figlia. La loro relazione suscitò un rumoroso, straordinario interesse: gli italiani si divisero in innocentisti e colpevolisti. La storia era cominciata nel 1948: Giulia è spinta proprio dal marito, tifoso coppiano, a chiedere un autografo al suo idolo. Segue l'amicizia, scambi di biglietti e auguri, Locatelli invita Fausto a trascorrere una vacanza nella sua villa alle porte di Varese. E Giulia si innamora. In Fausto finalmente vede la possibilità di una vita elettrizzante. La relazione resta segreta, fino a quando un giornalista l'intuisce da un gesto di Coppi, che alla fine di una gara porge a una signora vestita con un montgomery bianco, il mazzo di fiori ricevuto in premio. Giulia, dopo furiosi litigi, decide di lasciare il marito e va a convivere con Coppi in un albergo. Poi mettono casa a Novi Ligure. Ed è qui che Giulia, denunciata, è arrestata dai carabinieri: passa tre giorni nel carcere di Alessandria. Infine, è condannata al domicilio coatto ad Ancona, presso una zia. A Coppi è semplicemente ritirato il passaporto. Nel marzo 1955 i due amanti sono condannati: Fausto a due mesi, Giulia a tre. Con la condizionale. La Dama bianca resta incinta e, per consentire a Fausto di dare il suo nome al bambino, va a partorire a Buenos Aires. Se fosse rimasta in Italia, Faustino, come lei decise di chiamare il bambino, avrebbe avuto per legge il cognome di Locatelli.Per capire la complessità del «personaggio» Coppi, ricordo una importante intervista - 1995 - al figlio Faustino, firmata da Pier Augusto Stagi. Faustino propone una dimensione particolare, ad esempio sulla infelicità del famoso padre.Perché la gente non ha mai perdonato sua madre Giulia Occhini? «Non lo so. Faccio fatica a capirlo. Posso capire lo sdegno dell'Italia degli anni Cinquanta. Una donna, una madre che lascia la propria famiglia per fuggire con il suo uomo... La romanzesca vicenda fece insorgere milioni di benpensanti. Ma non capisco per quale ragione, ancora oggi, mia madre debba essere considerata una poco di buono... Fu semplicemente una grande storia d'amore. Dicono che mia madre rovinò la vita e la carriera di mio padre, ma sono solo cattiverie! Mio padre non era più giovanissimo e le vittorie stentavano ad arrivare solo per una questione anagrafica. Dicono, anche, che fosse vanitosa, avida, amante dello sfarzo e della bella vita: sfoghi di gente che si sentiva tradita».Si dice, però, che suo padre fosse infelice, triste, insoddisfatto... don Piero Carnelli, sacerdote, amico di Coppi, ha rivelato che Fausto era stanco di Giulia, era intenzionato a trasferirsi a Milano, da solo. «Chi lo ha conosciuto sa bene che non era vero. Papà era gioviale, allegro, di grande compagnia... Non era tristezza, ma riservatezza. Lui amava stare in mezzo alla gente, preferiva ascoltare anziché parlare».Il suo sogno era vincere il campionato del mondo. Vi riuscì solo nel 1953, a 34 anni. Ricordo questo suo sfogo: «Mi sarebbe bastato un cavalcavia, non una salita vera, per staccare Van Steenbergen e Kübler, che invece mi batterono allo sprint». Era il campionato mondiale su strada 1949 di Copenaghen, un percorso totalmente piatto. Deluso, Coppi arrivò solo terzo: eppure quello fu il suo anno migliore, in cui vinse il Giro d'Italia, il Tour de France, la Milano-Sanremo e il Giro di Lombardia.
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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