
La conferenza sull'ambiente, che inizia oggi, sarà un buco nell'acqua come tutte quelle precedenti. La lotta alla CO2 è economicamente e tecnologicamente insostenibile.Azzardiamo una previsione: l'imminente Cop26 sarà un fallimento. Già 20 anni fa quando, all'Aja, fallì la Cop6, azzardavo: ogni successiva Cop sarà necessariamente destinata a fallire. E così fu: se c'è oggi la numero 26 vuol dire che tutte le 25 precedenti han fallito. E fallirà anche la 27 e la 28, eccetera. Più che una previsione azzardata è una banale necessità, e mi meraviglia non poco che i promotori rimangano pervicacemente aggrappati al loro fallimento. Vediamo perché. Bisogna fare i conti della serva, sennò non ci si capisce niente. Cop significa Conferenza delle parti, ove le parti sono i Paesi del mondo che vorrebbero accordarsi per ridurre le emissioni di CO2. Nessuno sa perché mai vogliano ridurre quelle emissioni, ma evitiamo imbarazzanti domande, assecondiamoli, e procediamo senza indugi con le riduzioni senza chiederci perché. Quasi il 90% del fabbisogno energetico mondiale è soddisfatto emettendo CO2: dobbiamo necessariamente assumere che siano i Paesi ricchi che stringano la cinghia, visto che quelli poveri l'hanno già al collo, e per essi stringerla diventa pericoloso. Se mettiamo in ordine decrescente per Pil pro capite i quasi 200 Paesi del mondo, dove tracciamo la riga sopra la quale v'è la lista dei contribuenti al lodevole progetto? Per esempio, la Grecia sta al 50° posto, quindi dobbiamo salire. Israele sta al 35° posto, con l'Italia poco sopra. Bene: possiamo ragionevolmente ipotizzare che siano i 35 Paesi con il più alto Pil pro capite a farsi carico del calvario. L'Italia c'è, ma non ci sono, per esempio, né la Russia (che è messa come la Grecia), né Cina o India (che occupano i posti 80 e 120 dell'elenco).Il Pil planetario si attesta a meno di 100.000 miliardi di dollari, la metà dei quali compete a quei 35 Paesi di cui fan parte 1 miliardo di persone. Con un Pil di 50.000 miliardi, si potrebbe pensare che i 35 Paesi più ricchi del mondo ne impegnino 1.000 di miliardi per presumibilmente evitare che il pianeta arrostisca per global warming. Con 1.000 miliardi si installano reattori nucleari sufficienti a produrre 300 Gw (gigawatt) elettrici. Ma 300 Gw è la produzione elettronucleare corrente, la quale a sua volta evita il 5% delle emissioni: i 1.000 miliardi basteranno a ridurre le emissioni di appena il 5%. E 300 Gw è appena la metà della produzione elettrica cinese da combustibili fossili. In conclusione: 1.000 miliardi sono un'inezia per lo scopo che si vorrebbe perseguire.Non è difficile capire che anche con 5.000 miliardi - sono il 10% del Pil dei Paesi che dovrebbero contribuire - non si andrebbe lontano: le emissioni si ridurrebbero di meno di un terzo. Ogni abitante di questi Paesi, dal neonato all'ultracentenario, dovrebbe versare un obolo di 5.000 dollari? Mmh...Per non farci mancare niente, i riuniti a Glasgow covano di perseguire gli impossibili propositi non con il nucleare ma con il fotovoltaico e con l'eolico che, a parità d'impegno economico, comportano una riduzione delle emissioni che è, rispettivamente, un nono ed un quarto della riduzione ottenuta col nucleare. Oppure straparlano di idrogeno, che non esiste sulla faccia della Terra.La Ue sta stressando la Polonia per i 12 Gw elettrici che questo povero Paese senza pace produce dai suoi 50 impianti a carbone. A che pro, visto che, per esempio, nel solo 2020 la Cina ha installato 40 Gw di impianti a carbone e conta di installarne uno a settimana da qui al 2025? O, per rimanere in Ue, visto che la Germania di impianti a carbone ne ha 75? Le domande sono retoriche, e la risposta la lasciamo alla Polonia. Son curioso di vedere cosa essa farà.
L' Altro Picasso, allestimento della mostra, Aosta. Ph: S. Venturini
Al Museo Archeologico Regionale di Aosta una mostra (sino al 19 ottobre 2025) che ripercorre la vita e le opere di Pablo Picasso svelando le profonde influenze che ebbero sulla sua arte le sue origini e le tradizioni familiari. Un’esposizione affascinante, fra ceramiche, incisioni, design scenografico e le varie tecniche artistiche utilizzate dall’inarrivabile genio spagnolo.
Jose Mourinho (Getty Images)
Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.