
Centinaia di crac con folle di risparmiatori che hanno perso tutti i soldi prestati. I guai di Fico a Bologna, ultimo fallimento di un mondo in crisi.Dovevano essere 10 ettari di divertimento gastronomico, una sorta di Disneyland del cibo made in Italy in grado di attirare turisti da tutto il mondo, invece sono diventati 10 ettari di solitudine. Fico, acronimo che sta per Fabbrica italiana contadini, il parco del cibo inaugurato a novembre 2017 fuori Bologna da Oscar Farinetti, il patron di Eataly, con la sfilata di metà governo a partire dall'allora premier Paolo Gentiloni, si sta rivelando un fiasco. Colpa del Covid, dicono gli sponsor politici, ma già prima della pandemia Fico aveva il fiato corto. Sui quasi 100.000 metri quadrati con ristoranti e spazi dedicati ai produttori e alle esposizioni sulla storia e la cultura dell'alimentazione, si sono visti appena 5 milioni di visitatori in due anni: secondo la propaganda ne avrebbero dovuto attirare oltre 6 milioni l'anno. Come mai, a fronte della grancassa mediatica e dell'impegno dei pezzi grossi del Pd? Semplice: è il segno che il sistema coop non funziona più. Inserire in un'operazione economica le cooperative rosse non è più una garanzia di successo. Avere la giunta «amica» non fa salire il fatturato in modo automatico se poi quello che viene offerto non ha l'appeal dell'originalità e costa il doppio. La crisi dei partiti tradizionali, soprattutto del Pd, ha allentato la cinghia di trasmissione tra la politica e l'economia rappresentata dal sistema cooperativo rosso. A questo si aggiunge un meccanismo sempre più globalizzato e lo strapotere, nella grande distribuzione, dei giganti di Internet. Se Amazon è in grado di far arrivare a casa una confezione di pasta artigianale o il vino di un'azienda agricola locale, non si capisce perché il consumatore dovrebbe mettersi in auto per arrivare alla periferia di Bologna e comprare prodotti simili, ammesso che li trovi, al doppio del prezzo.Ma a quanto pare ciò non hanno indotto Farinetti, le coop e il ricco parterre di partner a desistere dall'operazione, magari pensando che il vecchio sistema potesse funzionare ancora. A mettere i soldi (140 milioni) nella gigantesca impresa di Fico sono stati il Comune di Bologna che ha concesso l'area dell'ex mercato centrale valutata 55 milioni, la Regione Emilia Romagna, un pool di investitori, il fondo immobiliare Prelios che ha raccolto risorse da 26 partner istituzionali (in prima fila il Caab, gli enti di previdenza professionali e il sistema cooperativo) e Alleanza 3.0, la mega cooperativa dei supermercati Coop. Per pompare l'operazione erano stati addirittura creati i «Ficobus», autobus per il collegamento dal centro di Bologna, mentre Trenitalia aveva garantito sconti e promozioni. Tutti convinti dall'abile Farinetti che sarebbe stata una macchina di soldi. Invece Eatalyworld srl, la società che gestisce Fico, nel primo anno ha registrato un utile di soli 19.000 euro ma il crollo c'è stato nel 2019, nonostante non ci fosse ancora l'ombra della pandemia. L'anno è stato chiuso con perdite di esercizio nette per 3,14 milioni di euro e un numero di visitatori fermo a 1,6 milioni. Tra la fine del 2019 e gli inizi del 2020 gli azionisti e le Coop di Alleanza 3.0 hanno di nuovo messo mano al portafogli con nuovi finanziamenti per 4,2 milioni di euro. L'assemblea del 12 giugno scorso ha deciso la copertura delle perdite quasi per intero con altri 2,8 milioni di euro versati a marzo dai soci. Ora il parco è chiuso causa Covid, ma Eataly e Coop Alleanza 3.0, un paio di settimane fa, hanno approvato un nuovo piano strategico con un aumento di capitale di 5 milioni di euro. L'entrata questa volta sarà a pagamento. La speranza è di riaprire per Pasqua.Il flop di Fico è l'ennesima tappa del percorso accidentato della cooperazione rossa. In origine le coop dovevano essere imprese sociali. Poi, grazie all'appoggio del Pci che aveva in pugno le amministrazioni locali, si è sviluppata una corsia preferenziale con la politica con un collaudato sistema di porte girevoli e scambi reciproci che negli anni si è evoluto in una sorta di holding. Il profitto ha prevalso sulla connotazione sociale pur continuando a operare in un regime normativo e fiscale di favore.Infrastrutture, servizi, grande distribuzione: non c'è importante ambito economico che non sia stato «colonizzato». Poi il Pci ha cambiato pelle e ha cominciato a perdere potere nelle regioni tradizionalmente governate dalla sinistra. La crisi economica scoppiata nel 2008 ha fatto il resto, con il crollo di settori come l'edilizia e il calo dei consumi, travolgendo il braccio economico del partito rosso. Le conseguenze sono arrivate fino a migliaia di risparmiatori che avevano dato soldi alle coop sotto forma di prestito sociale: il Sole 24 Ore ha calcolato che se la macchina coop fosse una banca, sarebbe la venticinquesima in Italia per volume di raccolta. Ma il denaro spesso non è stato restituito quando il meccanismo è saltato. La Lega Consumatori si è fatta parte attiva chiedendo al Parlamento forme di tutela del risparmio delle coop in default: sono coinvolti 1,2 milioni di soci per un ammontare complessivo di risparmi pari a 12 miliardi di euro.In Friuli, per esempio, oltre 20.000 risparmiatori sono rimasti schiacciati dal fallimento di Cooperative Operaie e Coop Carnica, alle quali avevano affidato quasi 130 milioni resi solo in parte. Restituzione molto parziale (40% delle somme depositate dai soci) anche a Reggio Emilia per il crac di Coop Muratori di Reggiolo e di Orion. Il crac delle Cooperative operaie di Trieste si è risolto, dopo 6 anni di battaglie giudiziarie, il 20 gennaio scorso, con l'assoluzione degli imputati e ora gli ex soci temono che la sentenza pregiudichi i risarcimenti.Particolarmente colpite sono state le coop delle costruzioni e quelle abitative. Unacoop, operativa soprattutto nell'area Nord di Milano, viene messa in liquidazione coatta a dicembre 2016: beffati 700 risparmiatori e in fumo 16 milioni di euro. Eclatante la vicenda della cooperativa parmense di costruzioni Di Vittorio, dichiarata fallita nel 2015 dopo che il commissario giudiziale ha scoperto un buco da 19 milioni in bilancio. Travolti i 650 soci prestatori che avevano versato 12 milioni come prestito sociale e 485 famiglie residenti in appartamenti a canone concordato. La Di Vittorio era stata fondata nel 1970 per realizzare abitazioni di proprietà indivisa, una specie di affitto permanente a canone agevolato riservato ai soci. Nel 2015 finisce in liquidazione coatta Coopsette, per decenni una potenza nazionale nel settore dell'edilizia che ha contribuito a costruire la metro di Torino e la stazione Tiburtina di Roma. Era il vanto e il simbolo dell'Emilia operosa, un modello per le altre cooperative con i manager che si dividevano tra i cantieri e le sezioni del Pci. Implode per la crisi dell'edilizia, ma nonostante gli 800 milioni di debito evita il fallimento. Il commissario liquidatore in 4 anni riesce a recuperare 80 milioni di euro per tentare di fornire un ristoro, molto parziale, ai creditori.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson
Finita la caccia al killer dell’attivista Usa: è un ragazzo di 22 anni, convinto dal padre a consegnarsi. Sui bossoli inutilizzati le scritte: «Fascista, prendi questo!» e il ritornello del canto.
Sergio Mattarella (Ansa)
Facendo finta di ignorare le critiche della Meloni, Re Sergio elogia il «Manifesto» rosso di Spinelli. E lo propone nuovamente come base di un’Unione ai minimi storici.
Attività all'aria aperta in Val di Fassa (Gaia Panozzo)
Dal 19 al 21 settembre la Val di Fiemme ospita un weekend dedicato a riposo, nutrizione e consapevolezza. Sulle Dolomiti del Brenta esperienze wellness diffuse sul territorio. In Val di Fassa yoga, meditazione e attenzione all’equilibrio della mente.
Non solo il caso Kaufmann: la Procura di Roma ha aperto diversi fascicoli su società di produzione che hanno goduto di faraonici sussidi. C’è pure la Cacciamani, ad di Cinecittà. Intanto i film italiani spariscono dalle sale.