2020-02-22
Un governo in quarantena
Controlli in aeroporto (Ansa)
Giuseppe Conte, Roberto Speranza, Luigi Di Maio, Lucia Azzolina: i giallorossi si sono atteggiati a primi della classe, preoccupati soltanto di dare addosso ai governatori del Nord, che chiedevano provvedimenti seri. Risultato: siamo in emergenza.Fino a ieri per il governo era tutto sotto controllo e chi invitava alla prudenza, anzi alla quarantena, era giudicato un ignorante o, peggio, un untore che spandeva allarmi fasulli. «L'Italia è un Paese grande e forte, non deve avere paura», spiegava rassicurante all'inizio di febbraio Roberto Speranza, ministro che al massimo, in caso di contagio, può garantire la salute solo con il cognome ma certo non con la competenza. «Basta allarmismi e fake news», ammoniva rimbrottando chiunque dubitasse delle misure messe in atto dal suo dicastero: «Noi siamo il Paese che ha tenuto l'atteggiamento più prudenziale». Giuseppe Conte, che come è noto non difetta di autostima, addirittura a gennaio, parlando con i giornalisti, si dimostrava super ottimista: «Vi assicuro che l'Italia ha adottato la linea di misure di cautela tra le più efficaci in Europa e forse a livello internazionale». Ma che dice: galattico, anzi intergalattico. Insomma, siamo avanti. Di più: siamo i numeri uno e non c'è da avere alcun timore. E per chi non avesse capito, dopo una settimana il presidente del Consiglio rincarò la dose, in italiano incerto: «Una corretta informazione ci porta a dire che sia sciocco e che non ci sia nessun rischio di contagio legato alla componente etnica».Luigi Di Maio, dall'alto della sua lunga esperienza internazionale, gettava come i colleghi acqua sul fuoco della paura: «Il livello elevato di attenzione da parte delle autorità sanitarie non giustifica l'allarmismo nella popolazione italiana che si è registrato in questi giorni». Tradotto: siete un branco di fifoni, ci pensiamo noi a difendervi dall'influenza mortale. Il meglio però lo ha dato il governatore della Toscana, Enrico Rossi, che, forte del suo passato da assessore regionale alla Sanità, firmava un protocollo d'intesa con il console cinese di Firenze per evitare la quarantena ai 2.500 immigrati di Zhejiang, quarto focolaio mondiale per diffusione del coronavirus, tornati a casa dopo aver festeggiato in patria il Capodanno. Rossi, a chi parlava di quarantena, addirittura dava del fascioleghista, quasi che la prevenzione non potesse che avere il colore delle idee di Matteo Salvini e Giorgia Meloni.Ostentando sicurezza perché, come a metà febbraio dichiarò il capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, «abbiamo disegnato tutti gli scenari possibili e al momento non abbiamo motivo per andare a individuare altri punti da controllare». Palazzo Chigi ha così respinto al mittente anche la richiesta dei governatori di Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia, che richiedevano la quarantena per i bimbi cinesi di ritorno dal loro Paese. «Non voglio che si creino allarmismi. Il governo si è mosso immediatamente», dichiarava baldanzosa la ministra della Scuola, Lucia Azzolina, «e voglio tranquillizzare tutti perché la propaganda non fa assolutamente bene».In pratica, Speranza, Conte, Di Maio, Borrelli e Azzolina erano più preoccupati della propaganda, degli allarmismi e di quelle che definivano fake news, che del virus. «Noi ci affidiamo alla scienza e non alla propaganda», sentenziavano in coro il 4 febbraio. Risultato, mentre si beavano di aver fermato i voli diretti tra Fiumicino e Pechino e mentre il presidente della Repubblica porgeva le sue scuse al governo cinese perché l'Italia aveva osato mettere a terra gli aerei diretti verso la Repubblica popolare, il virus si spandeva senza problemi e con settimane di ritardo si scopre che la quarantena era la cosa giusta e la scemenza era proprio l'ostentata sicurezza. E dire che a richiedere cautela e l'isolamento di chiunque fosse stato in Cina nel periodo di massima diffusione del contagio non erano solo i leghisti, ma anche virologi del calibro di Roberto Burioni, cioè studiosi che al solo sentire nominare Salvini o la Meloni corrono il rischio di uno shock anafilattico. No, neanche il super esperto di vaccini è riuscito a bucare la corazza di prevenzione ideologica del governo sulle uniche misure da adottare. Così, per non passare per razzista o xenofoba, per non urtare la comunità cinese, ma soprattutto per non perdere gli affari con Pechino, la maggioranza che detta legge a Palazzo Chigi è stata con le mani in mano, limitandosi a misurare la febbre ai viaggiatori in arrivo dall'estero, misura adottata nelle ultime settimane e peraltro - come dicono gli scienziati - non decisiva.Risultato, ci siamo portati in casa il coronavirus, che per giorni è stato diffuso in alcuni centri della Lombardia e ora si è esteso anche al Veneto. Centinaia di persone adesso sono sottoposte al controllo e alcuni paesi sono letteralmente in isolamento. «Stiamo circoscrivendo il contagio», ha detto il ministro nomenomen. Sì, certo, adesso che il contagio è diffuso. Cioè con un ritardo di settimane e una sottovalutazione di un mese. La verità è che siamo in emergenza. E scriverlo non è allarmismo, ma cronaca. Con buona pace dei ministri del pensiero politicamente censurato.
(Guardia di Finanza)
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
Continua a leggereRiduci