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2021-04-17
Contro il primato tedesco delle dosi Parigi fa resistenza, Roma aspetta
Ursula von der Leyen (Ansa)
Ieri la cancelliera tedesca, Angela Merkel (66 anni), si è vaccinata con Astrazeneca. Il giorno prima, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen (62 anni), ha invece ricevuto una dose di Biontech-Pfizer così come gli altri funzionari della Commissione cui vengono inviate delle fiale «dalle autorità belghe, non abbiamo la possibilità di scegliere», ha spiegato un portavoce.
Ma la vera geopolitica dei vaccini si gioca sul campo dei contratti. Negli ultimi giorni si sono fatte sempre più insistenti le voci da Bruxelles sul mancato rinnovo degli accordi tra l'Ue e Az e anche Johnson&Johnson (utilizzano la stessa piattaforma a vettore virale). Obiettivo: privilegiare case farmaceutiche più affidabili e prodotti meno controversi come Pfizer e Moderna. Tanto che la stessa Von der Leyen ha già annunciato l'arrivo di 50 milioni di dosi aggiuntive di Pfizer nel secondo trimestre e l'apertura di una trattativa con Biontech-Pfizer per un terzo contratto su 1,8 miliardi di dosi da qui al 2023 e per la produzione europea dei componenti essenziali. Non solo. L'ad di Pfizer, Albert Bourla, ha detto che le persone avranno «probabilmente» bisogno di una terza dose del vaccino contro il coronavirus entro 12 mesi dalle prime due. Quindi, i contratti nei prossimi mesi saranno ancora più ricchi considerando anche che il prezzo delle singole dosi dovrebbe aumentare da 15,5 a 19,5 euro.
La partita per consegnare le chiavi dei vaccini Ue alla Germania, via Biontech, non è però ancora chiusa. Lo dimostrano le dichiarazioni fatte in tv dal ministro francese dell'Industria, Agnès Pannier Runacher, che considera, sì, «fortemente probabile» che l'Ue non rinnovi il contratto con Az. Ma non parla di J&J. E soprattutto, si aspetta che «i vaccini di Novavax e Sanofi siano pronti nella seconda parte di quest'anno». Facendo così intendere che a Bruxelles si può anche dare la precedenza ai vaccini a mRna ma tra qualche mese non si potrà non considerare anche le new entry come appunto l'americana Novavax (in fase di rolling con l'Ema, potrebbe essere messo in commercio tra un mese e i negoziati con la Commissione sul contratto sono in corso) e il prodotto a mRna della francese Sanofi che è in dirittura d'arrivo con due nuovi vaccini: uno a base di proteine sviluppato con l'inglese Gsk e l'altro (basato su mRna) con l'americana Translate Bio. Senza dimenticare l'altro vaccino francese, Valneva, basato su una quarta tecnologia (conta su due stabilimenti produttivi, uno in Svezia e l'altro in Scozia) che ha riportato ottimi risultati preliminari nelle fasi 1 e 2 dei test clinici e si appresta a iniziare la fase 3 (test di massa) previa approvazione. Insomma, se i tedeschi puntano a diventare dominanti nella produzione post emergenza, i francesi non si accontenteranno di fare i subfornitori di Berlino. Dove, come abbiamo già scritto nei giorni scorsi, la partita sulla produzione futura dei vaccini va letta attraverso la lente della campagna elettorale tedesca che andrà avanti fino a settembre, quando la Merkel lascerà il comando. Campagna in cui si sta combattendo una guerra interna alla coalizione - non di governo, ma di federazione - tra Csu e Cdu, che ha in mano la gestione politica della sanità del partito Popolare al Parlamento Ue. Non a caso quello che la von der Leyen ha lasciato solo intuire, è stato espresso in maniera esplicita dall'eurodeputato della Cdu tedesca Peter Liese, medico e portavoce per la salute del Ppe: «La Commissione in futuro non comprerà più vaccini da J&J e Az, ma si affiderà ai vaccini a mRna di Biontech/Pfizer, Moderna e Curevac per combattere nel lungo termine la pandemia».
Di certo, i riposizionamenti sono in corso e i grandi player già pensano all'anno prossimo. Novavax, ad esempio, prevede di produrre nel 2022 un miliardo di dosi, Moderna già quest'anno arriverà a quota un miliardo tra Usa, Ue e resto del mondo. Curevac dovrebbe essere approvato entro giugno e le prime dosi arriveranno a luglio. Stanno continuando le sperimentazioni su vaccini in età pediatrica negli Usa (sia Moderna sia Pfizer) e il prossimo 20 aprile verranno comunicati anche i risultati della valutazione dell'Ema su J&J dopo lo stop precauzionale dell'Fda americana. La stessa multinazionale Usa, secondo il Wall Street Journal, avrebbe contattato le concorrenti nella produzione del vaccino anti Covid per proporre uno studio congiunto sul rischio di trombosi ed esporsi mediaticamente con una sola voce: Pfizer e Moderna avrebbero rifiutato, mentre Az avrebbe accettato l'offerta. Nonostante la musica suonata dalle campane tedesche che incanta Bruxelles, dunque, J&J non è fuori dai giochi, anche perché il costo è una frazione di quello dei vaccini attualmente in somministrazione, e nel suo caso parliamo di un monodose che potrebbe avere un vantaggio logistico per la distribuzione nei Paesi più poveri.
Nel prossimo match dei vaccini resta ancora da capire quale posizione terrà l'Italia: si schiererà con i tedeschi monopolisti o con i francesi e quindi con il mercato? Vedremo.
Vaccinatori, ora arrivano i rinforzi
«Io il crollo di fiducia in Astrazeneca non lo vedo nei dati», ha detto ieri il premier, Mario Draghi, in conferenza stampa lasciando quasi tutte le domande dei giornalisti sulla campagna vaccinale al ministro della Salute, Roberto Speranza, seduto accanto a lui. Speranza ha quindi confermato che non c'è un crollo nei dati delle vaccinazioni, ma «una maggiore richiesta di informazione dagli hub vaccinali», anche se in questi giorni era stato il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio, a dire che «troppi italiani non si prenotano». In ogni caso il ministro ha ribadito che si tratta di un vaccino «efficace e sicuro, continuiamo a puntarci. L'evidenza scientifica ci ha portato a una raccomandazione di natura anagrafica. Quindi in queste ore il vaccino Astrazeneca è utilizzato sopra i 60 anni e intendiamo continuare a utilizzarlo. I dati che ci arrivano dai territori sono incoraggianti. Chiaramente chi rifiuta questo vaccino va in coda e non ha una possibilità immediata di sostituirlo». Proprio ieri, la Regione Lazio ha deciso di proporre il vaccino Astrazeneca per gli under 60, ma solo a chi si offre volontario. L'obiettivo è «non mandare sprecate le dosi». I volontari con meno di 60 anni che sceglieranno Astrazeneca non dovranno firmare liberatorie aggiuntive oltre al consenso informato che normalmente si sottoscrive al momento della vaccinazione.
In Italia oltre 10 milioni di persone hanno ricevuto almeno una dose di un vaccino anti Covid, secondo i dati del ministero della Salute, e hanno quindi una qualche forma di protezione dal coronavirus. Di questi, oltre 4,2 milioni hanno ricevuto anche il richiamo. E ieri è stata raggiunta anche la soglia del 50% con almeno una dose tra gli over 70 (over 80 compresi). Nel report settimanale, diffuso sempre ieri dalla struttura commissariale, si legge che dal 10 al 16 aprile in Italia sono state somministrate 1.749.937 dosi di vaccino anti Covid, per 291.656 dosi al giorno. A oggi sono state iniettate 14.259.835 dosi. Sono 102 i punti vaccinali in più nell'ultima settimana e 843 in più dal 25 febbraio. Sono 2.276 in totale i punti vaccinali attivi. Il 76,09% degli ultraottantenni in Italia ha ricevuto almeno la prima dose del vaccino, ovvero 3.451.064 persone. Ad aver fatto il richiamo è anche il 45,19% della stessa categoria di età. Nella fascia tra i 70 e i 79 anni, il 30,14% ha ricevuto almeno la prima dose e il 3,41% anche la seconda. Le due dosi di vaccino anti Covid sono state somministrate al 76% degli ospiti delle Rsa, al 75,65% dei sanitari e all'1,35% del personale scolastico. La prima dose è stata invece somministrata al 92,38% degli ospiti delle Rsa, al 92,68% del personale sanitario e al 73,55% del personale scolastico. In pole position, sul fronte degli over 80, ci sono le Marche, dove la prima dose è andata al 100% del target, pari a 111.567 persone, mentre prima e seconda dose sono state iniettate al 53,69%.
Sul fronte dei vaccinatori, a essere assoldati saranno anche i biologi, le ostetriche e i radiologi. Dopo l'anamnesi da parte di un medico, per loro sarà possibile inoculare le dosi nei laboratori di analisi aderenti alla campagna vaccinale. Lo riferisce il presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Massimiliano Fedriga, che ieri ha firmato assieme a Speranza, un protocollo con l'Ordine nazionale dei biologi e anche con le Federazioni degli ordini della professione di ostetrica e dei tecnici di radiologia medica, delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione. «Potranno partecipare alla campagna vaccinale, dopo aver frequentato lo specifico corso dell'Istituto superiore di sanità. Nei protocolli è previsto l'impegno del governo allo stanziamento delle risorse necessarie», ha spiegato Fedriga. Nel frattempo, agli appartenenti alle forze armate non sarà inoculato alcun tipo di vaccino fino a nuova disposizione, per dare priorità alle fasce a rischio indicate dal commissario Francesco Paolo Figliuolo.
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L'Ue si appresta a scaricare Az e J&J, favorendo Biontech-Pfizer. Ma il governo francese invita ad attendere anche i nuovi farmaci in arrivo. Il 20 aprile atteso il verdetto dell'Ema su J&J, che non è ancora fuori dai giochi.Massimiliano Fedriga (Conferenza delle Regioni) annuncia l'impiego di biologi, ostetriche e radiologi. Raggiunta la soglia del 50% degli over 70. Il Lazio propone Az agli under 60 volontari.Lo speciale contiene due articoli.Ieri la cancelliera tedesca, Angela Merkel (66 anni), si è vaccinata con Astrazeneca. Il giorno prima, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen (62 anni), ha invece ricevuto una dose di Biontech-Pfizer così come gli altri funzionari della Commissione cui vengono inviate delle fiale «dalle autorità belghe, non abbiamo la possibilità di scegliere», ha spiegato un portavoce. Ma la vera geopolitica dei vaccini si gioca sul campo dei contratti. Negli ultimi giorni si sono fatte sempre più insistenti le voci da Bruxelles sul mancato rinnovo degli accordi tra l'Ue e Az e anche Johnson&Johnson (utilizzano la stessa piattaforma a vettore virale). Obiettivo: privilegiare case farmaceutiche più affidabili e prodotti meno controversi come Pfizer e Moderna. Tanto che la stessa Von der Leyen ha già annunciato l'arrivo di 50 milioni di dosi aggiuntive di Pfizer nel secondo trimestre e l'apertura di una trattativa con Biontech-Pfizer per un terzo contratto su 1,8 miliardi di dosi da qui al 2023 e per la produzione europea dei componenti essenziali. Non solo. L'ad di Pfizer, Albert Bourla, ha detto che le persone avranno «probabilmente» bisogno di una terza dose del vaccino contro il coronavirus entro 12 mesi dalle prime due. Quindi, i contratti nei prossimi mesi saranno ancora più ricchi considerando anche che il prezzo delle singole dosi dovrebbe aumentare da 15,5 a 19,5 euro. La partita per consegnare le chiavi dei vaccini Ue alla Germania, via Biontech, non è però ancora chiusa. Lo dimostrano le dichiarazioni fatte in tv dal ministro francese dell'Industria, Agnès Pannier Runacher, che considera, sì, «fortemente probabile» che l'Ue non rinnovi il contratto con Az. Ma non parla di J&J. E soprattutto, si aspetta che «i vaccini di Novavax e Sanofi siano pronti nella seconda parte di quest'anno». Facendo così intendere che a Bruxelles si può anche dare la precedenza ai vaccini a mRna ma tra qualche mese non si potrà non considerare anche le new entry come appunto l'americana Novavax (in fase di rolling con l'Ema, potrebbe essere messo in commercio tra un mese e i negoziati con la Commissione sul contratto sono in corso) e il prodotto a mRna della francese Sanofi che è in dirittura d'arrivo con due nuovi vaccini: uno a base di proteine sviluppato con l'inglese Gsk e l'altro (basato su mRna) con l'americana Translate Bio. Senza dimenticare l'altro vaccino francese, Valneva, basato su una quarta tecnologia (conta su due stabilimenti produttivi, uno in Svezia e l'altro in Scozia) che ha riportato ottimi risultati preliminari nelle fasi 1 e 2 dei test clinici e si appresta a iniziare la fase 3 (test di massa) previa approvazione. Insomma, se i tedeschi puntano a diventare dominanti nella produzione post emergenza, i francesi non si accontenteranno di fare i subfornitori di Berlino. Dove, come abbiamo già scritto nei giorni scorsi, la partita sulla produzione futura dei vaccini va letta attraverso la lente della campagna elettorale tedesca che andrà avanti fino a settembre, quando la Merkel lascerà il comando. Campagna in cui si sta combattendo una guerra interna alla coalizione - non di governo, ma di federazione - tra Csu e Cdu, che ha in mano la gestione politica della sanità del partito Popolare al Parlamento Ue. Non a caso quello che la von der Leyen ha lasciato solo intuire, è stato espresso in maniera esplicita dall'eurodeputato della Cdu tedesca Peter Liese, medico e portavoce per la salute del Ppe: «La Commissione in futuro non comprerà più vaccini da J&J e Az, ma si affiderà ai vaccini a mRna di Biontech/Pfizer, Moderna e Curevac per combattere nel lungo termine la pandemia».Di certo, i riposizionamenti sono in corso e i grandi player già pensano all'anno prossimo. Novavax, ad esempio, prevede di produrre nel 2022 un miliardo di dosi, Moderna già quest'anno arriverà a quota un miliardo tra Usa, Ue e resto del mondo. Curevac dovrebbe essere approvato entro giugno e le prime dosi arriveranno a luglio. Stanno continuando le sperimentazioni su vaccini in età pediatrica negli Usa (sia Moderna sia Pfizer) e il prossimo 20 aprile verranno comunicati anche i risultati della valutazione dell'Ema su J&J dopo lo stop precauzionale dell'Fda americana. La stessa multinazionale Usa, secondo il Wall Street Journal, avrebbe contattato le concorrenti nella produzione del vaccino anti Covid per proporre uno studio congiunto sul rischio di trombosi ed esporsi mediaticamente con una sola voce: Pfizer e Moderna avrebbero rifiutato, mentre Az avrebbe accettato l'offerta. Nonostante la musica suonata dalle campane tedesche che incanta Bruxelles, dunque, J&J non è fuori dai giochi, anche perché il costo è una frazione di quello dei vaccini attualmente in somministrazione, e nel suo caso parliamo di un monodose che potrebbe avere un vantaggio logistico per la distribuzione nei Paesi più poveri.Nel prossimo match dei vaccini resta ancora da capire quale posizione terrà l'Italia: si schiererà con i tedeschi monopolisti o con i francesi e quindi con il mercato? Vedremo. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/contro-primato-tedesco-dosi-parigi-2652611609.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="vaccinatori-ora-arrivano-i-rinforzi" data-post-id="2652611609" data-published-at="1618606026" data-use-pagination="False"> Vaccinatori, ora arrivano i rinforzi «Io il crollo di fiducia in Astrazeneca non lo vedo nei dati», ha detto ieri il premier, Mario Draghi, in conferenza stampa lasciando quasi tutte le domande dei giornalisti sulla campagna vaccinale al ministro della Salute, Roberto Speranza, seduto accanto a lui. Speranza ha quindi confermato che non c'è un crollo nei dati delle vaccinazioni, ma «una maggiore richiesta di informazione dagli hub vaccinali», anche se in questi giorni era stato il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio, a dire che «troppi italiani non si prenotano». In ogni caso il ministro ha ribadito che si tratta di un vaccino «efficace e sicuro, continuiamo a puntarci. L'evidenza scientifica ci ha portato a una raccomandazione di natura anagrafica. Quindi in queste ore il vaccino Astrazeneca è utilizzato sopra i 60 anni e intendiamo continuare a utilizzarlo. I dati che ci arrivano dai territori sono incoraggianti. Chiaramente chi rifiuta questo vaccino va in coda e non ha una possibilità immediata di sostituirlo». Proprio ieri, la Regione Lazio ha deciso di proporre il vaccino Astrazeneca per gli under 60, ma solo a chi si offre volontario. L'obiettivo è «non mandare sprecate le dosi». I volontari con meno di 60 anni che sceglieranno Astrazeneca non dovranno firmare liberatorie aggiuntive oltre al consenso informato che normalmente si sottoscrive al momento della vaccinazione. In Italia oltre 10 milioni di persone hanno ricevuto almeno una dose di un vaccino anti Covid, secondo i dati del ministero della Salute, e hanno quindi una qualche forma di protezione dal coronavirus. Di questi, oltre 4,2 milioni hanno ricevuto anche il richiamo. E ieri è stata raggiunta anche la soglia del 50% con almeno una dose tra gli over 70 (over 80 compresi). Nel report settimanale, diffuso sempre ieri dalla struttura commissariale, si legge che dal 10 al 16 aprile in Italia sono state somministrate 1.749.937 dosi di vaccino anti Covid, per 291.656 dosi al giorno. A oggi sono state iniettate 14.259.835 dosi. Sono 102 i punti vaccinali in più nell'ultima settimana e 843 in più dal 25 febbraio. Sono 2.276 in totale i punti vaccinali attivi. Il 76,09% degli ultraottantenni in Italia ha ricevuto almeno la prima dose del vaccino, ovvero 3.451.064 persone. Ad aver fatto il richiamo è anche il 45,19% della stessa categoria di età. Nella fascia tra i 70 e i 79 anni, il 30,14% ha ricevuto almeno la prima dose e il 3,41% anche la seconda. Le due dosi di vaccino anti Covid sono state somministrate al 76% degli ospiti delle Rsa, al 75,65% dei sanitari e all'1,35% del personale scolastico. La prima dose è stata invece somministrata al 92,38% degli ospiti delle Rsa, al 92,68% del personale sanitario e al 73,55% del personale scolastico. In pole position, sul fronte degli over 80, ci sono le Marche, dove la prima dose è andata al 100% del target, pari a 111.567 persone, mentre prima e seconda dose sono state iniettate al 53,69%. Sul fronte dei vaccinatori, a essere assoldati saranno anche i biologi, le ostetriche e i radiologi. Dopo l'anamnesi da parte di un medico, per loro sarà possibile inoculare le dosi nei laboratori di analisi aderenti alla campagna vaccinale. Lo riferisce il presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Massimiliano Fedriga, che ieri ha firmato assieme a Speranza, un protocollo con l'Ordine nazionale dei biologi e anche con le Federazioni degli ordini della professione di ostetrica e dei tecnici di radiologia medica, delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione. «Potranno partecipare alla campagna vaccinale, dopo aver frequentato lo specifico corso dell'Istituto superiore di sanità. Nei protocolli è previsto l'impegno del governo allo stanziamento delle risorse necessarie», ha spiegato Fedriga. Nel frattempo, agli appartenenti alle forze armate non sarà inoculato alcun tipo di vaccino fino a nuova disposizione, per dare priorità alle fasce a rischio indicate dal commissario Francesco Paolo Figliuolo.
L’argento è ai massimi storici a oltre 60 dollari l’oncia superando i fasti del 1979 o del 2011. Oltre 45 anni fa l’inflazione fuori controllo, la crisi degli ostaggi in Iran e l’invasione sovietica dell’Afghanistan spinsero il prezzo dell’oro a triplicare, mentre l’argento salì addirittura di sette volte. Dopo quel picco, entrambi i metalli entrarono in una lunga fase di declino, interrotta solo dalla sequenza di crisi finanziarie iniziata con il crollo del mercato immobiliare statunitense nel 2007, proseguita con il fallimento di Lehman Brothers nel 2008 e culminata nella crisi del debito europeo tra il 2010 e il 2012. In quel periodo l’oro raddoppiò, mentre l’argento quasi quadruplicò.
A differenza dei grandi rally del passato, l’ultimo anno non è stato caratterizzato da eventi catastrofici paragonabili. E allora perché un rally dei «preziosi»? Parte della spiegazione risiede nelle preoccupazioni degli investitori per una possibile pressione politica sulla Federal Reserve, che potrebbe tradursi in inflazione più elevata con tassi più bassi, uno scenario tradizionalmente favorevole ai metalli preziosi. Un’altra parte deriva dagli acquisti di oro da parte delle banche centrali, impegnate a ridurre la dipendenza dal dollaro. Oggi il metallo giallo rappresenta circa il 20% delle riserve ufficiali globali, superando l’euro (16%). Il congelamento delle riserve russe dopo l’invasione dell’Ucraina ha incrinato la fiducia nel dollaro come valuta di riserva, rafforzando l’attrattiva dell’oro e, per effetto di contagio, anche dell’argento.
Lo sblocco di 185 miliardi di euro di asset russi congelati sta già producendo effetti profondi sull’architettura finanziaria globale e sulla gestione delle riserve da parte delle banche centrali. Secondo Jefferies, il dibattito sulla possibile monetizzazione di queste riserve rappresenta un precedente di portata storica e costituisce uno dei principali motori dell’accelerazione degli acquisti di oro da parte delle banche centrali, iniziata nel 2022.
Il problema è innanzitutto di fiducia. Per i mercati globali il segnale è già stato colto. Il congelamento delle riserve russe nel 2022 è stato il “trigger” - lo stimolo - che ha spinto molti Paesi, soprattutto al di fuori del G7, a interrogarsi sulla sicurezza delle proprie attività denominate in valute occidentali. La risposta è stata un accumulo senza precedenti di oro. I dati del World Gold Council mostrano che tra il terzo trimestre del 2022 e il secondo del 2025 le banche centrali hanno acquistato 3.394 tonnellate di metallo prezioso, con tre anni consecutivi oltre la soglia delle 1.000 tonnellate.
Questo movimento strutturale si è intrecciato con altri fattori macroeconomici che hanno sostenuto una spettacolare corsa dell’oro. Tra il 2024 e il 2025 i prezzi sono raddoppiati, spinti dagli acquisti ufficiali, dai tagli dei tassi della Federal Reserve, da un dollaro più debole, dai dubbi sull’indipendenza della banca centrale statunitense e dal ritorno massiccio degli investitori negli Etf.
Altro fattore scatenante di oro e argento è il debito. Quello globale sfiora ormai la soglia dei 346mila miliardi di dollari, segnala l’Institute of International Finance (IIF), che nel suo ultimo rapporto evidenzia come, a fine settembre, l’indebitamento complessivo abbia raggiunto i 345,7 trilioni, pari a circa il 310% del Pil mondiale. Secondo l’IIF, «la maggior parte dell’aumento complessivo è arrivato dai mercati sviluppati, dove l’ammontare del debito ha segnato un un rapido aumento quest’anno».
Più debito e più sfiducia sulle regole finanziarie portano alla fuga però dai titoli di Stato, come emerge dai rendimenti. Quelli dei bond pubblici globali a 10 anni e oltre sono balzati al 3,9%, il livello più alto dal 2009. I rendimenti obbligazionari mondiali (gli interessi che si pagano) sono ora 5,6 volte superiori al minimo registrato durante la pandemia del 2020. Trainano il rialzo le principali economie, tra cui Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, Canada, Germania e Australia. Per dire, il rendimento dei titoli di Stato tedeschi a 30 anni è salito al 3,46%, il livello più alto da luglio 2011. Quando l’argento toccò un picco.
L'era del denaro a basso costo per i governi sembra finita. Vediamo come finisce questa corsa del «silver» e del «gold».
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Ansa
Secondo quanto riferito, i militari della Bundeswehr saranno impiegati principalmente in attività di ingegneria militare. Un portavoce del dicastero ha spiegato che il loro compito consisterà in «attività di ingegneria», che potrebbero includere «la costruzione di fortificazioni, lo scavo di trincee, la posa di filo spinato o la costruzione di barriere anticarro». Sempre secondo il ministero, il dispiegamento non richiederà però un mandato parlamentare, poiché «non vi è alcun pericolo immediato per i soldati legato a un conflitto militare».
Ma se il pericolo non c’è allora perché inviarli oltretutto senza passare dal Parlamento? Il rafforzamento delle difese lungo il confine orientale dell’Alleanza si inserisce in un contesto segnato dal protrarsi della guerra in Ucraina e dall’intensificarsi delle operazioni militari russe sul terreno. Secondo un rapporto analitico dell’intelligence britannica datato 13 dicembre, rilanciato da Rbc, le forze russe stanno tentando di avanzare nell’area di Siversk, nella regione di Donetsk, approfittando delle difficili condizioni meteorologiche. Londra smentisce però le dichiarazioni di Mosca sul controllo totale della città. Gli analisti ritengono che reparti russi siano riusciti a infiltrarsi nella zona centrale sfruttando la nebbia, mentre le Forze di difesa ucraine continuano a presidiare i quartieri occidentali, a conferma che i combattimenti sono ancora in corso anche se la città risulta ormai in gran parte perduta e per tentare di riconquistarla sarebbero necessarie nuove riserve. L’intelligence britannica sottolinea inoltre come Siversk rappresenti da tempo un obiettivo strategico per Mosca. Il controllo della città, spiegano gli analisti, consentirebbe alle forze russe di aprire un corridoio verso centri urbani più grandi e decisivi del Donetsk, come Sloviansk e Kramatorsk, che restano sotto il controllo ucraino. Il rapporto segnala inoltre una capacità limitata delle truppe ucraine di condurre operazioni di raid localizzate nella parte settentrionale di Pokrovsk e sottolinea come le forze russe continuino a subire perdite consistenti lungo l’intera linea del fronte. Secondo le stime di Londra, nel 2025 il numero complessivo di morti e feriti tra le fila russe potrebbe arrivare a circa 395.000 unità.
Sul piano umanitario ed energetico, l’Ucraina sta affrontando le conseguenze degli ultimi attacchi russi contro le infrastrutture elettriche. Dopo i bombardamenti notturni, oltre un milione di utenze sono rimaste senza corrente. Le squadre di emergenza hanno però già avviato gli interventi di ripristino. «Attualmente oltre un milione di utenze sono senza elettricità. Ma le squadre di riparazione, sia di UkrEnergo che degli operatori del sistema di distribuzione, hanno già avviato i lavori di riparazione per garantire la fornitura ai consumatori. Spero che oggi riusciremo a riparare la maggior parte di ciò che è stato interrotto durante la notte», ha dichiarato Vitaliy Zaychenko, presidente del cda dell’operatore pubblico della rete elettrica, citato dall’agenzia statale Ukrinform. Zaychenko ha aggiunto che le situazioni più critiche si registrano nelle regioni di Odessa, Mykolaiv e Kherson, confermando come il conflitto continui a colpire in modo diretto la popolazione civile e le infrastrutture essenziali del Paese.
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Donald Trump (Ansa)
Insomma, se di nuovo attaccato, in soccorso del Paese di Volodymyr Zelensky scenderebbero gli Stati membri dell’Alleanza. Probabilmente - come nel caso dell’organizzazione nordatlantica - non ci sarebbero automatismi e sarebbero necessarie prima delle consultazioni politiche. La Russia, però, sarebbe avvisata. E la novità è che anche gli Stati Uniti, benché recalcitranti a impegnarsi per Kiev e per il Vecchio continente, hanno accolto il lodo Meloni.
Axios, citando fonti dell’amministrazione americana, ha scritto che la Casa Bianca sarebbe pronta a dare il suo assenso, sottoponendo comunque l’intesa al voto del Congresso. «Vogliamo offrire agli ucraini», ha dichiarato un funzionario Usa, «una garanzia di sicurezza che non sia un assegno in bianco da un lato, ma che sia sufficientemente solida dall’altro».
La definizione dello scenario postbellico sarebbe uno dei tre accordi da firmare separatamente: uno per la pace, uno per la sicurezza, uno per la ricostruzione. L’esponente dell’esecutivo statunitense considera positivo che, per la prima volta, la nazione aggredita abbia mostrato una visione per il dopoguerra. A dispetto dell’apparente stallo dei negoziati, peraltro, il collaboratore di Donald Trump ha riferito ad Axios che, negli Usa, l’apertura di Zelensky almeno a un referendum sullo status dei territori occupati viene considerata «un progresso». All’America sarebbe stato giurato che gli europei sosterrebbero il capo della resistenza, se decidesse di mandare in porto la consultazione.
Steve Witkoff e Jared Kushner si sarebbero confrontati su piano per creare una zona demilitarizzata a ridosso del fronte, insieme ai consiglieri per la sicurezza di Ucraina, Germania, Francia e Regno Unito. I passi avanti sarebbero stati tali da convincere Trump a spedire il genero e l’inviato speciale in Europa. Entrambi, in vista del vertice di domani, sono attesi oggi a Berlino per dei colloqui con rappresentanti ucraini e tedeschi. Domani, invece, i delegati di The Donald vedranno il cancelliere, Friedrich Merz, Macron e il premier britannico, Keir Starmer. Al summit parteciperanno anche altri leader Ue e Nato, tra cui Giorgia Meloni. Reduce, a questo punto, da un successo politico e diplomatico.
Un’accelerazione delle trattative potrebbe aiutarla a trarsi d’impaccio pure dalle difficoltà interne: i malumori della Lega per il decreto armi e l’intervento a gamba tesa del Colle sulla necessità di sostenere Kiev. La reprimenda di Sergio Mattarella poteva certo essere diretta contro il Carroccio, che infatti ieri ha risposto, con toni insolitamente duri, tramite Paolo Borchia: al capo dello Stato, ha lamentato l’eurodeputato, «piace far politica». A giudicare dai commenti di Matteo Salvini e Claudio Borghi, però, sembra improbabile una crisi della maggioranza. Ma la coincidenza davvero interessante è che l’inquilino del Quirinale ha pronunciato il suo discorso appena dopo il faccia a faccia tra Meloni e Zelensky, cui il nostro premier avrebbe fatto presente l’inevitabilità di «concessioni territoriali dolorose». Ieri è toccato ad Antonio Tajani smentire le presunte pressioni italiane affinché l’Ucraina accetti le condizioni del piano di Trump. «Sui territori», ha precisato il ministro degli Esteri, seguito a ruota da Guido Crosetto, «la decisione è solo degli ucraini». Fatto sta che, pure sull’utilizzo degli asset russi - una partita delicatissima, nella quale nemmeno la posizione della Germania è priva di ambiguità - Roma sta cercando di disinnescare le mine piazzate dalla Commissione europea, che sarebbero di intralcio alla pace.
Chi, intanto, si sta riaffacciando nella veste di mediatore è Recep Tayyip Erdogan. Teme che il Mar Nero, nel quale Ankara mantiene interessi vitali, diventi «un campo di battaglia», come ha detto ieri il Sultano. Non a caso, Kiev ha accusato Mosca di aver colpito un cargo turco che trasportava olio di girasole. Erdogan ha garantito che «la pace non è lontana» ed espresso apprezzamenti per l’iniziativa di The Donald. «Discuteremo il piano anche con il presidente degli Stati Uniti Trump, se possibile», ha annunciato. Con Vladimir Putin, ha aggiunto il presidente, «abbiamo parlato degli sforzi della Turchia per raggiungere la pace. Entrambi riteniamo positivo il tentativo di impostare un dialogo per porre fine al conflitto. Trump si è attivato e noi siamo al suo fianco, i nostri contatti con gli Usa sono continui».
Ieri, sono stati trasferiti in Ucraina quasi tutti i prigionieri liberati dalla Bielorussia in cambio dello stop alle sanzioni statunitensi, compresa l’oppositrice al regime Maria Kolesnikova. Pure questo è un piccolo segnale. Se ne attende qualcuno dall’Europa. Prima che la guerra diventi la sua tragica profezia che si autoavvera.
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