Il Def dimostra che la crescita dell’economia ha permesso di ridurre i danni dei sussidi all’edilizia. Ma restano i problemi, dall’aumento dei prezzi alla mancanza di risorse per altri interventi più incisivi.
Il Def dimostra che la crescita dell’economia ha permesso di ridurre i danni dei sussidi all’edilizia. Ma restano i problemi, dall’aumento dei prezzi alla mancanza di risorse per altri interventi più incisivi.Con il Documento di economia e finanza pubblicato qualche giorno fa si è chiusa, speriamo, la stagione dei conti ballerini sull’impatto del Superbonus e degli altri bonus edilizi, sulle finanze pubbliche.Sabato dalle colonne del Sole 24 Ore, ci ha pensato il già ministro dell’economia Giovanni Tria ad archiviare la strumentale polemica sollevata da un’opposizione priva di argomenti, a proposito del Def senza parte programmatica. «il vero programma veniva presentato a settembre con la Nadef […] questo rendeva di fatto il Def di aprile uno dei documenti più inutili», ha chiosato inappellabilmente.Oggi, analizzando il Def nei dettagli, la notizia è che le stime aggiornate mostrano che il Superbonus ha avuto sui conti pubblici un impatto significativo - ha quindi ragione il ministro Giancarlo Giorgetti a lamentarsi di quanto sia ingombrante il lascito dei governi Conte 2 e Draghi - ma sostenibile.Premettendo che non sempre i mercati hanno ragione e spesso soffrono di miopia, è però evidente un fatto: secondo la Nadef di settembre scorso, il debito/Pil a legislazione vigente (cosiddetto tendenziale) previsto per il 2026 era pari al 139,6%, mentre oggi il Def si attesta al 139,8%. Uno scarto insignificante. Con l’enorme differenza che, tra settembre 2023 e aprile 2024, al Mef hanno rifatto i conti sull’impatto del Superbonus sul fabbisogno e sul saldo netto da finanziare (Snf) per i prossimi anni e, solo nel quinquennio 2023-2027, sono spuntati fuori ben 67,2 miliardi di maggior fabbisogno.Tre punti di Pil, mediamente lo 0,6% del Pil di ciascun anno. Un’enormità. Soprattutto perché si tratta di un fabbisogno aggiuntivo e sopravvenuto rispetto alle stime che erano già nei tendenziali dei conti pubblici. Insomma, un fatto compiuto su cui è quasi impossibile agire ex post.Per comprendere meglio la portata del fenomeno, è opportuno ritornare alle origini di questa controversa misura agevolativa, le cui stime originarie in termini di fabbisogno e Snf si attestavano a 70,9 miliardi nell’arco temporale 2020-2035 (di cui 49,4 nel periodo 2023-2027). A maggio 2023 ci fu la prima operazione verità del Mef che in audizione parlamentare svelò che quella cifra era salita a 116,1 miliardi (di cui 96,1 tra 2023 e 2027). Oggi una tabella del Def (trasferimenti alle famiglie dal conto consolidato di cassa del settore pubblico) ci mostra come quella cifra sia lievitata, sempre nel quinquennio che concentra la gran parte del fabbisogno, da 96,1 a 163,3 miliardi. Ecco spiegati i 67,2 miliardi. Circa 3 punti percentuali di Pil nominale, senza i quali il debito/Pil del 2026 sarebbe stato pari al 137,6%, anziché al 139,8%. E nel 2027 il divario si sarebbe allargato a 3 punti.In altri tempi, quei 67 miliardi aggiuntivi - peraltro subiti e non pianificati - avrebbero scatenato un putiferio a reti unificate. Immaginiamo i titoli su Bloomberg o sul Financial Times e le dichiarazioni minacciose a mercati aperti del commissario Ue di turno. Invece silenzio.Per il motivo spiegato in apertura e cioè per la sostanziale stabilità del rapporto debito/Pil, anche dopo il passaggio dell’uragano Superbonus. E questo soprattutto grazie alla buona tenuta del Pil nominale, comprendente l’effetto inflazione, che è previsto crescere del 3,7%, 3,5% e 3% rispettivamente nel 2024, 2025 e 2026. Sempre sufficientemente al di sopra del costo medio degli interessi sul debito pubblico. E tanto basta, almeno per stabilizzare il rapporto debito/Pil. È doveroso aggiungere che quella crescita è anche il risultato della spesa pubblica per i bonus edilizi. Ma questo non può costituire l’argomento per l’assoluzione di una misura come il Superbonus che trascina con sé almeno tre difetti strutturali.Il primo è - come si vede anche da questi dati - l’eccessivo peso sul bilancio dello Stato. È vero che non bisogna disperdere le risorse in mille rivoli, ma non si era mai visto un così eccessivo sbilanciamento verso un’unica misura. Significa legare le mani del ministro dell’Economia, si trattasse anche della bacchetta magica per moltiplicare i pani e i pesci. In secondo luogo, non può esistere un’agevolazione fruibile «ad libitum», perfino nei supermercati le promozioni sono fino «a esaurimento scorte». Un rubinetto sempre aperto e accessibile, incompatibile con una attenta gestione del bilancio pubblico. Non a caso, il credito d’imposta per il programma Transizione 5.0, appena varato, prevede un meccanismo di prenotazione e notifica preventiva. Procedura che avrebbe peraltro contrastato molto efficacemente le frodi.In terzo luogo, il settore delle costruzioni ha un limite di capacità produttiva relativamente rigido. Una volta saturato, cosa avvenuta rapidamente, il risultato è stato solo quello dell’aumento dei prezzi, non del Pil reale. Da ultimo, la reale efficacia dei bonus edilizi va misurata sottraendo i lavori che sarebbero stati comunque eseguiti anche senza incentivo, quota che Bankitalia ha stimato pari a circa la metà.Dopo il definitivo blocco di cessioni e sconti in fattura - che avevano costituito il vero volano dell’agevolazione, ammettendo al beneficio anche soggetti senza debiti fiscali o senza liquidità - ora i numeri sembrano stabilizzati. Il faro dell’attenzione - ai fini degli effetti sul debito -si sposta sulla quota di contribuenti che riusciranno a compensare i crediti di imposta nei prossimi anni. Perché, a prescindere dalle regole contabili, saranno queste compensazioni di crediti con debiti d’imposta che determineranno il vero impatto sulle casse statali. Ed esiste il sospetto che potrebbero esserci molte imprese edili o che hanno concesso lo sconto in fattura ma non sono poi riuscite a cedere il credito, così come alcuni contribuenti persone fisiche o altri cessionari che potrebbero non avere imposte da compensare. L’effetto sarà una correzione migliorativa dei conti, ma lo sapremo solo a fine 2027.
Leone XIV (Ansa)
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