Profitti record e rialzi di Borsa per le aziende che fanno i preparati anti Covid con i soldi dell'Europa. E ora i prezzi vengono aumentati.
Profitti record e rialzi di Borsa per le aziende che fanno i preparati anti Covid con i soldi dell'Europa. E ora i prezzi vengono aumentati.Boom in borsa, capitalizzazioni da record e ricavi trimestrali impressionanti: le casse dei vaccinifici anti Covid di Big Pharma si sono allargate a dismisura. E se avevano già visto schizzare il valore delle loro azioni in corrispondenza dell'annuncio dei primi risultati dei test sui loro prodotti alla fine del 2020, ora, scavando tra i bilanci, è possibile fare i conti. Nei primi tre mesi del 2021 Pfizer, la più lesta a lanciare un vaccino anti Covid, ha fatto registrare un aumento di fatturato di circa 4,5 miliardi di dollari, riportando un +45% rispetto allo stesso periodo del 2020. I ricavi dal vaccino? Sono stimati in 3,5 miliardi di dollari. Gli utili per ogni azione sono arrivati a 0,93 dollari, con un aumento del 47% su base tendenziale.Per ora le previsioni legate alle vendite di vaccino nel 2021 si aggirano sui 26 miliardi di dollari, ma potrebbero crescere se Pfizer riuscirà a produrre di più insieme con BionTech, piccola azienda tedesca che nel giro di un anno è entrata sgomitando in Big Pharma grazie al Covid: nel primo trimestre i ricavi erano già a 2,08 miliardi di euro, rispetto ai 27,7 milioni dello stesso periodo del 2020. L'utile netto è salito a 1,12 miliardi a fronte della perdita netta di 53,4 milioni del 2020. Ma anche Astrazeneca, l'unica che si era impegnata a non trarre profitto durante la pandemia dal suo vaccino anti Covid e nonostante una comunicazione fallimentare nel periodo in cui si erano cominciati a verificare decessi di vaccinati, incassa un +15% di fatturato dalle vendite di farmaci, con 7,3 miliardi di dollari di ricavi. Dai vaccini, però, arrivano incassi solo per 275 milioni di dollari. Ma i manager sembrano prevedere un aumento a 1,169 miliardi alla fine del primo semestre e consegne per oltre 700 milioni di dosi in oltre 170 Paesi. Il periodo Covid deve aver portato comunque il vento in poppa all'azienda, visto che ha fatto registrare un utile netto doppio rispetto ai 780 milioni registrati nello stesso periodo del 2020 e un utile per azione di 1,18 dollari nel trimestre, a fronte degli 0,59 dollari dello stesso trimestre del 2020. La statunitense Moderna, che commercializza solo il vaccino anti Covid, ha incassato 1,7 miliardi di dollari di ricavi dal vaccino e conta di poter arrivare a 18 miliardi di dollari di vendite solo nel 2021. Di pari passo sono cresciute le azioni, con aumenti di oltre il 300%. Per la Curevac non è andata proprio come avevano previsto. La notizia che il vaccino, dopo i test, è risultato efficace solo al 47% ha fatto crollare le azioni di oltre il 50%. crolla solo curevacIl valore di mercato di Curevac ne ha risentito in negativo per oltre 6 miliardi di euro. Prima, però, qualcuno pare abbia avviato operazioni sospette in borsa, vendendo le azioni prima del crollo. Stando al quotidiano tedesco Rheinische Post, la Bafin, autorità tedesca di regolazione finanziaria, sospetta che i dipendenti di Curevac o di Bayer, la grande casa farmaceutica tedesca che ha partecipato alla produzione del vaccino, abbiano sfruttato le informazioni riservate sui risultati del vaccino per vendere le azioni in un momento favorevole, prima del crollo. A novembre l'Unione Europea aveva firmato un contratto con Curevac per la fornitura di 405 milioni di dosi. Come per tutti gli altri accordi non si sa a che prezzo e a quali condizioni, visto che i contratti sono secretati. Senza l'intervento del sottosegretario al Bilancio belga Eva de Bleeker, che nel dicembre 2020 pubblicò sul suo profilo Twitter i prezzi per singola dose dei vaccini Covid, rimuovendo il post dopo qualche minuto (quando ormai era già diventato virale), probabilmente nessuno avrebbe avuto ancora alcuna indicazione sui costi. costi bassi, ricavi altiL'eurodeputato tedesco del Cdu e responsabile per la salute del gruppo Ppe Peter Liese disse subito che quei conti erano attendibili. Si scoprì, così, che il prezzo più basso era quello relativo al prodotto Astrazeneca: 1,78 euro a dose. Il farmaco della tedesca Curevac, invece, costava circa 10, mentre quello di Sanofi/Gsk si aggirava intorno ai 7 euro. Poco più alto quello di Johnson and Johnson con 6,94 euro. Prezzi più alti per Pfizer/Biontech (12 euro a dose) e Moderna che ha contrattato 14,7 euro (per quest'ultimi due è prevista doppia dose a paziente). Poi sono stati annunciati i rincari. E le prime aziende a far sapere che i costi sarebbero saliti per le forniture dei vaccini sono state proprio Pfizer, il cui prodotto è schizzato a 19 euro, e Moderna, arrivato a 25,50 euro. La possibilità che siano necessarie dosi di richiamo a causa delle nuove varianti, poi, ha portato il Ceo di Pfizer a stimare che si potrà arrivare fino a 175 dollari a dose in un futuro non molto lontano. Per assicurarsi adeguate forniture di questi due vaccini, l'Italia sembra aver speso fino a oggi 4,1 miliardi di euro in più. Stando alle stime contenute in un report di Oxfam ed Emergency, membri della People's vaccine alliance, movimento di organizzazioni sanitarie e umanitarie, il costo necessario a livello globale per somministrare i vaccini contro il Covid potrebbe essere «almeno cinque volte più basso se le case farmaceutiche non approfittassero del loro monopolio». Il dossier svela anche che l'analisi delle tecniche di produzione dei vaccini di tipo mRna, messi in commercio da Pfizer e Moderna (realizzate da Public citizen con ingegneri dell'Imperial college e pubblicate nel rapporto), dimostra che potrebbero essere realizzati in media con un costo che varia da appena 1,18 a 2,85 dollari a dose. Il vero problema sono i brevetti, che impediscono il libero mercato e offrono un potere monopolistico alle Big Pharma, nonostante i governi abbiano contribuito nella fase della ricerca, anche con accordi di acquisto anticipato. Le società farmaceutiche hanno così nelle loro mani il diritto esclusivo di utilizzare e sfruttare l'invenzione, in questo caso il vaccino, per 20 anni dalla concessione del brevetto.gli esborsi di covaxA fronte di questi costi di produzione, il programma internazionale Covax (che ha come obiettivo l'accesso equo ai vaccini anti Covid-19 per i Paesi a basso reddito) paga in media un prezzo che è cinque volte superiore. Mentre i governi stanno pagando un prezzo che è tra le quattro e le 24 volte superiore al costo di produzione. L'Unione africana, per esempio, ha versato a Pfizer 6,75 dollari a dose (quasi sei volte di più rispetto al costo stimato di produzione) mentre Israele ha pagato 28 dollari a dose: quasi 24 volte il costo di produzione. Moderna, che ha potuto contare su importanti risorse pubbliche per sviluppare il vaccino, ha fatto pagare il proprio siero tra le quattro e le 13 volte in più rispetto al costo di produzione. Il prezzo più basso l'hanno pagato gli Stati Uniti e oscilla tra 12 e 16,50 dollari a dose. La Colombia ha sborsato 30 dollari a dose e il Sudafrica avrebbe rifiutato un'offerta al prezzo di 42 dollari a dose. Proprio il governo del Sudafrica, insieme con quello indiano, ha svelato El Pais, hanno chiesto all'Organizzazione mondiale del commercio di sospendere temporaneamente la proprietà intellettuale sulle tecnologie, i farmaci e i vaccini contro il nuovo coronavirus durante la pandemia, almeno fino a quando non sarà raggiunta l'immunità globale di gruppo, che l'Organizzazione mondiale della sanità stima al 70% della popolazione mondiale. «La scarsità mondiale di vaccini», hanno spiegato Sara Albiani, policy advisor per la salute globale di Oxfam Italia, e Rossella Miccio, presidente di Emergency, «è una diretta conseguenza del sostegno dei Paesi ricchi ai monopoli delle aziende farmaceutiche, che a oggi non hanno fatto nessun reale passo in avanti per la condivisione di tecnologie, know how e brevetti con i tanti produttori che nei Paesi in via di sviluppo potrebbero garantire l'abbattimento dei prezzi e l'incremento della produzione mondiale». Big Pharma ringrazia.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».
Antonio Scoppetta (Ansa)
- Nell’inchiesta spunta Alberto Marchesi, dal passato turbolento e gran frequentatore di sale da gioco con toghe e carabinieri
- Ora i loro legali meditano di denunciare la Procura per possibile falso ideologico.
Lo speciale contiene due articoli
92 giorni di cella insieme con Cleo Stefanescu, nipote di uno dei personaggi tornati di moda intorno all’omicidio di Garlasco: Flavius Savu, il rumeno che avrebbe ricattato il vicerettore del santuario della Bozzola accusato di molestie.
Marchesi ha vissuto in bilico tra l’abisso e la resurrezione, tra campi agricoli e casinò, dove, tra un processo e l’altro, si recava con magistrati e carabinieri. Sostiene di essere in cura per ludopatia dal 1987, ma resta un gran frequentatore di case da gioco, a partire da quella di Campione d’Italia, dove l’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti è stato presidente fino a settembre.
Dopo i problemi con la droga si è reinventato agricoltore, ha creato un’azienda ed è diventato presidente del Consorzio forestale di Pavia, un mondo su cui vegliano i carabinieri della Forestale, quelli da cui provenivano alcuni dei militari finiti sotto inchiesta per svariati reati, come il maresciallo Antonio Scoppetta (Marchesi lo conosce da almeno vent’anni).
Mucche (iStock)
In Danimarca è obbligatorio per legge un additivo al mangime che riduce la CO2. Allevatori furiosi perché si munge di meno, la qualità cala e i capi stanno morendo.
«L’errore? Il delirio di onnipotenza per avere tutto e subito: lo dico mentre a Belém aprono la Cop30, ma gli effetti sul clima partendo dalle stalle non si bloccano per decreto». Chi parla è il professor Giuseppe Pulina, uno dei massimi scienziati sulle produzioni animali, presidente di Carni sostenibili. Il caso scoppia in Danimarca; gli allevatori sono sul piede di guerra - per dirla con la famosissima lettera di Totò e Peppino - «specie quest’anno che c’è stata la grande moria delle vacche». Come voi ben sapete, hanno aggiunto al loro governo (primo al mondo a inventarsi una tassa sui «peti» di bovini e maiali), che gli impone per legge di alimentare le vacche con un additivo, il Bovaer del colosso chimico svizzero-olandese Dsm-Firmenich (13 miliardi di fatturato 30.000 dipendenti), capace di ridurre le flatulenze animali del 40%.





