2023-11-28
In arrivo la nuova mannaia sui conti italiani
Ursula von der Leyen (Ansa)
Bruxelles sta mettendo a punto un meccanismo per la riduzione di debito e deficit a tappe forzate: il 7 e l’8 dicembre Ecofin ed Eurogruppo discuteranno la proposta. Assurdo il ritorno all’austerità proprio quando pure la Germania inizia a criticarla.L’Italia sta per andare a infilare la testa in un cervellotico meccanismo di riduzione di debito e deficit che rischia di fare impallidire la rigidità del freno tedesco al debito (deficit/Pil non oltre lo 0,35%), proprio mentre in Germania discutono della validità del «freno al debito».È questo il tema che caratterizzerà la settimana che porterà il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti e il suo staff a Bruxelles giovedì 7 e venerdì 8 per partecipare rispettivamente a Eurogruppo e Consiglio Ecofin. Il cui ordine del giorno per la mattina della festa dell’Immacolata prevede l’esame di due proposte di regolamento e di una direttiva - risultato dell’ultimo tentativo di mediazione della presidenza di turno spagnola - che riformano le norme del 1997 e del 2012-2013. Si preannunciano un Sant’Ambrogio ed un’Immacolata di grande tensione. Perché se il perimetro della discussione è delimitato dalla simulazione numerica eseguita dalla Commissione, in un documento che abbiamo avuto modo di consultare, allora l’esito (dannoso per noi) è segnato. E non basteranno aggiustamenti marginali a capovolgere un impianto che è da rifiutare in radice.Per l’Italia si sta allestendo un sentiero da incubo da percorrere in sette anni, in cui ci sono tre voragini che rischiano di risultare fatali. La prima è la riduzione del deficit/Pil di 0,5 punti percentuali all’anno, equivalenti a 10 miliardi, almeno fino al 2030. La seconda è una clausola di salvaguardia che prevede la riduzione del debito/Pil a un tasso medio di 1 punto percentuale all’anno. La terza - ove mai uscissimo vivi dalle prime due - è quella che ci chiede, dopo l’aggiustamento di 0,5 punti, di avvicinarci con riduzioni annue di 0,15 punti alla cosiddetta «ancora» del 2% di deficit/Pil. Un’ancora che potrebbe essere fissata anche più in basso, al 1% o 1,5%. La «logica» sottostante è che, in caso di crisi e quindi di necessità di un ruolo espansivo del bilancio pubblico, lo Stato membro, partendo dal 2%, minimizzi il rischio di sfondare la soglia del 3% con le politiche anti cicliche che sarà chiamato ad adottare.Il sentiero sopra descritto riguarda non solo l’Italia ma anche la Francia, con percentuali di riduzione identiche. Va leggermente meglio a Spagna, Ungheria e Portogallo, mentre a Belgio e Slovacchia viene addirittura chiesto un sacrificio lievemente superiore. Si tratta di un’altra tegola sui francesi, che proprio martedì 21 sono finiti sotto i riflettori della Commissione, che ha valutato la proposta di bilancio per il 2024 di Parigi «a rischio di non conformità con le raccomandazioni del Consiglio». È invece passato in sordina il fatto che la Germania - pur essendo come l’Italia «non pienamente in linea» - è stata accusata dalla Commissione di mantenere ancora nel 2024 una serie di sussidi per il contenimento dei costi energetici ed è quindi stata invitata a eliminarli.La discussione in corso sul rigore di bilancio che dovrà contenere il riformando Patto di stabilità è ancora più assurda, perché è proprio dalla Germania che provengono voci che mettono in discussione quell’impianto ideologico. «È stato uno dei più grandi errori della politica economica tedesca negli ultimi 20, 30 anni», sono le lapidarie parole con le quali il professor Jens Südekum dell’università di Düsseldorf ha commentato sulle pagine del Financial Times il freno al debito. Aggiungendo che «la sciocchezza ora fa parte della Costituzione e non possiamo liberarcene». Il partito del cancelliere Olaf Scholz non ha esitato a definirlo «non adeguato alle sfide del futuro», ovvero «un freno sul futuro». Concepito sull’onda dei 500 miliardi spesi dallo Stato per i salvataggi bancari causati dalla grande crisi del 2009, è stato all’epoca ritenuto un fattore generatore di stabilità finanziaria, un freno alla spontanea tendenza dei governi a spendere o tagliare le tasse.Purtroppo, nel 2012 quell’onda lunga si è propagata da Berlino a Bruxelles e alle altre capitali dell’Eurozona, producendo un pacchetto di norme (trattato su Fiscal compact, regolamenti del Six pack e Two pack) che hanno di fatto zavorrato l’economia italiana, in particolare, in tutto il decennio seguente. La modifica dell’articolo 81 della nostra Costituzione, dove nel 2012 è stato introdotto il principio dell’equilibrio di bilancio con la pistola dello spread puntata alla tempia, origina proprio da quel furore ideologico.Producendo l’unico risultato di aumentare il debito pubblico, frenare il Pil e aumentare la disoccupazione. Con la essenziale differenza che la Germania si è creata i suoi fondi separati - conteggiati fuori dal debito e dal deficit pubblico - e ha così predicato bene e razzolato male. Mentre noi abbiamo dovuto impilare deficit primari un anno dopo l’altro, fino a raggiungere un minimo del 1,6% nel 2019, con il governo Conte uno minacciato e ricattato per otto lunghi mesi. Ora in Germania, perfino l’autore del «freno», l’ex ministro socialdemocratico delle finanze Peer Steinbrück, l’ha definito «non più al passo con i tempi».Se certi dubbi si sono fatti largo perfino sul Corriere della Sera - dove mercoledì abbiamo letto che, con le regole chieste dai tedeschi, «chi più debito e costi più alti interessi finirebbe per dover eseguire le manovre più depressive, come se molti anni di crisi dell’euro non avessero insegnato proprio niente» - significa che la misura è davvero colma.«Gli uomini fanno i progetti e gli dei sorridono» recita un antico proverbio yiddish, ripreso dallo scrittore israeliano Meir Shalev. È il commento più appropriato per un’ottusità ideologica anacronistica propugnata proprio da chi quelle regole fa solo finta di rispettarle ma le aggira, come la Germania.Ci stiamo incatenando a immaginifici scenari predeterminati di riduzione di debito e deficit disegnati a tavolino, come se il mondo intorno restasse immobile, pronto ad assecondare i desiderata dei fanatici del rigore di bilancio. Dobbiamo ringraziare a questo punto i trattati che prevedono la regola dell’unanimità, proprio per bloccare questi madornali errori che si vorrebbero imporre a maggioranza.