2019-11-06
Conte si impicca alla sua balla su Mincione
Alla Camera il premier si aggrappa alle sue incongruenze. Conferma che il giorno prima di firmare il parere a favore di Fiber 4.0 vide Matteo Salvini, Luigi Di Maio e Vincenzo Spadafora in un hotel milanese. Ma sostiene che durante il vertice non capì che stava nascendo il governo.Una ventina di minuti davanti ai deputati della Repubblica. Il premier, Giuseppe Conte , se la cava così e si convince di uscire dal vicolo del conflitto d'interessi nel quale si è infilato da solo. Il tema in questione è il suo ruolo di avvocato che ha rilasciato un parere sulla società di tlc Retelit sulla quale il primo cdm del governo Conte uno si è pronunciato. Nei 20 minuti ha però aggirato ed evitato il dettaglio più semplice. Due domeniche fa, alla vigilia dell'esito del voto in Umbria, il Financial Times diffonde un articolo che mette in collegamento Conte con gli scandali vaticani che portano a Raffaele Mincione. Nello smentire il testo la stessa sera Palazzo Chigi diffonde una nota nella quale spiega che non poteva sapere di essere presidente in pectore. E quindi perché sottrarsi all'incarico? In realtà Conte firma il parere il pomeriggio del 14 maggio 2018. Quella mattina un quotidiano nazionale pubblicava un articolo in cui si faceva il nome di Conte come candidato grillino e il nome di Giulio Sapelli come candidato leghista. L'articolo non era per nulla campato per aria. La sera prima infatti i due premier in pectore erano stati ascoltati in momenti diversi nella stessa suite di un albergo milanese. A ricevere i due c'erano Giancarlo Giorgetti e Matteo Salvini per la Lega e Luigi Di Maio e Vincenzo Spadafora per il M5s. Nella sua relazione ieri sera Conte non ha per nulla smentito - non poteva farlo - gli eventi e si è limitato a dire: «Ho letto che alcuni organi di stampa riferiscono di un incontro avvenuto a Milano, nella serata del 13 maggio, con i leader dei due partiti che poi avrebbero sostenuto il nuovo esecutivo. Preciso che questo primo incontro, evidentemente interlocutorio rispetto al conferimento dell'incarico di governo, questo primo incontro, dicevo, è comunque intervenuto a distanza di giorni dall'accettazione dell'incarico e quando l'attività di studio della questione giuridica e di elaborazione del parere era ormai terminata». Come dire, ai primi di maggio non sapevo dell'incarico e quando ho saputo ormai il parere era redatto. Un po' semplicistica come posizione. D'altronde Conte non chiarisce nemmeno una seconda incongruenza. Nella nota di lunedì 28 ottobre, Palazzo Chigi tiene a precisare di non aver avuto contatti con alcuno ai vertici di Fiber 4.0 (tanto meno con Mincione), ma non spiega da chi gli sia arrivato l'incarico. Il leghista Giulio Centemero nel suo intervento si ricollega a questo punto e aggiunge altri due elementi. Chiede di far luce su chi abbia effettivamente contattato Conte sul tema e suggerisce (evidentemente alla Consob) di controllare l'andamento delle azioni Retelit in quei giorni finali di maggio 2018. Il dito del leghista fa emergere in effetti picchi anomali di acquisti e in modo indiretto riporta la questione su Carige. Se nessuno ai vertici di Fiber 4.0 ha conferito l'incarico del parere non è che è stato l'avvocato Guido Alpa? Centemero aggiunge un'altra domanda: perché Conte ha chiamato il legale di Carige durante l'assemblea decisiva per le sorti della scalata da parte di Mincione? Il busillis è infatti tutto qui. Sembra sempre più chiaro che opposizioni e maggioranza stiano girando attorno al nodo della questione. Quali mondi rappresenta Giuseppe Conte? E a quali fa riferimento su due partite così delicate, quella bancaria e quella delle telecomunicazioni. Il primo punto riporta la questione al Vataicano e agli interessi di quest'ultimo su Carige. È ormai appurato che Mincione, lo stesso raider che scalava Retelit, era impegnato sulla banca genovese e lo faceva gestendo in parte il denaro proveniente dall'Obolo di San Pietro. Aveva interesse il Vaticano ad allontanare il primo azionista (la famiglia Malacalza) e affidare la banca a Mincione? Dopo lo scoppio dell'inchiesta interna sugli investimenti a Londra verrebbe da temere di sì. Poi c'è l'altro dossier bollente, quello delle tlc e del 5G. Nell'intervento in Aula ieri sera ha fatto bene a ricordare Giorgio Mulè (Fi) che il parere dell'antitrust sulle mosse di Conte su Retelit (documento che mira ad assolverlo) viene emesso solo perché il caso viene sollevato da una interpellanza del Pd. Conte dunque non avrebbe mai fatto emergere la sua posizione di imbarazzo e il vero motivo dell'assenza nel cdm del 7 giugno 2018. Seduta nella quale il suo governo ha messo il golden power sull'azienda di tlc. Va notato che il primo governo Conte si apre con un cdm dedicato alle tlc e il secondo governo Conte si apre con un cdm dedicato all'allargamento dei poteri del golden power sul 5G. Da lontano sembra una coincidenza, mentre da vicino non si può non vedere un nesso. La partita Retelit potrebbe essere delicata quanto quella che passa sotto il nome di Spygate. Il premier che non ha mai mollato le deleghe ai servizi si trova in mezzo a una grossa partita delle intelligence internazionali. C'è dunque un livello più basso di potenziale conflitto (Carige e il Vaticano) e un livello più alto (i cavi sottomarini e la cybersecurity). Un giorno fornirà la risposte delle risposte? Ha agito per l'interesse nazionale oppure no...
Il Gran Premio d'Italia di Formula 1 a Monza il 3 settembre 1950 (Getty Images)
Elbano De Nuccio, presidente dei commercialisti (Imagoeconomica)