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2020-08-25
Conte sfila sul palco di Amatrice, una delle poche costruzioni in piedi
Ansa
Purché non si sappia in giro, altrimenti il governo trema. Giuseppe Conte si fa tanta pubblicità, ma ha l'abitudine di nascondere la verità. Lo fa secretando i verbali scomodi - dalle zone rosse a Ustica - e cercando di tappare la bocca ai terremotati. La scena è di ieri mattina. Si presenta ad Amatrice - che è ancora colpevolmente solo un cumulo di sassi - col picchetto del «generale cordoglio». Le telecamere lo seguono mentre contrito contempla le macerie che stanno lì dalle 3.36 del 24 agosto 2016 senza che nulla sia stato ricostruito, senza che nulla sia stato fatto. Là sotto sono morti in 239: più uno. Quell'uno è il marito di una signora consunta dalla sua rabbia educata. Si avvicina a Conte e lo rimprovera: «Mio marito si è ammazzato per lo choc. L'ho trovato io, appeso a una trave. Siamo amareggiati, ci sono solo promesse, solo promesse». Conte trema d'imbarazzo poi dice: «Ne parliamo dopo la cerimonia signora, ne parliamo a casa sua». A casa non ci andrà ma si apparteranno un momento. Eh già, la cerimonia. C'è la messa che si celebra con distanziamento d'ordinanza nel campo di pallone col vescovo di Rieti, monsignor Domenico Pompili, che va giù piatto: «La lentezza della ricostruzione non è più sostenibile. Ma se si vuole davvero rinascere deve essere privilegiata la relazione, non la speculazione». Allora perché le casette di cartongesso dove vivono ancora in 30.000 - gli altri 6.000 che stavano in albergo sono stati sfrattati e ora sono per strada - sono costate più di un appartamento ai Parioli? Il Papa ha pregato per le «meravigliose terre terremotate», Sergio Mattarella ha mandato un messaggio. «Nella triste ricorrenza del quarto anno dal gravissimo terremoto che provocò nell'Italia centrale più di 300 vittime e oltre 40.000 sfollati, desidero ancora una volta esprimere ai cittadini di Amatrice, Accumuli, Arquata, Pescara del Tronto e delle altre zone colpite, vicinanza e solidarietà. Nonostante tanti sforzi impegnativi», dice il presidente della Repubblica, «l'opera di ricostruzione è incompiuta e procede con fatica, tra molte difficoltà anche di natura burocratica». Eccolo il capro espiatorio: la burocrazia. A quello si attacca Giuseppe Conte. È guardato a vista da un bifronte Nicola Zingaretti, presidente del Lazio e segretario del Pd, è braccato dalla gente che gli rimprovera di tutto. Due genitori che hanno perso un figlio di 22 anni portano magliette con scritto «Vogliamo parlare Con…te» e lui deve accettarne lo sfogo. Gira scortato da Giovanni Legnini, il confidente al Csm di Luca Palamara che si sta riciclando come quarto commissario straordinario al terremoto (di nomina) Pd in quattro anni, e dal capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, che sta muto di fronte alle proteste. Il presidente del Consiglio annuncia ai terremotati che la ricostruzione se la possono scordare a meno che non si accetti il Recovery fund. Però l'ex avvocato del popolo di andare ad Arquata e Pescara del Tronto (49 morti) e ad Accumuli (11 morti) ad annunciare la sentenza di «fine ricostruzione mai» non se la sente. Giuseppe Conte scandisce: «Le leggi per accelerare e semplificare le abbiamo fatte, ma tra sei mesi, un anno, non cambierà nulla. Il processo di ricostruzione è lungo e complesso. Il Recovery fund potrà dare un contributo per integrare le risorse già stanziate». Significa: non aspettatevi nulla, non c'è un euro e ciò che io vi porterò dall'Europa è l'unica via di uscita. Ma appena insediato a capo del suo governo bis, il 13 settembre 2019, disse a Castel Sant'Angelo sul Nera (totalmente distrutto): «La ricostruzione di questi territori martoriati è una priorità del governo e l'ho detto anche chiedendo la fiducia al Parlamento, è un grande impegno che ho preso nei confronti delle comunità locali a nome di tutto il governo». L'anno prima ancora ad Amatrice, il Conte uno l'11 giugno disse: «Sono qui per evitare che queste persone sentano un senso di solitudine e di abbandono». Ma ora ci deve pensare l'Europa col Recovery fund? Sarebbe il caso che il premier si spiegasse. Forse doveva portare con sé anche l'alleato Matteo Renzi, che nel 2016 quando era al posto di Conte disse: «Ricostruiremo tutto. Non possiamo avere uno sguardo burocratico. Le risorse ci sono già, l'Italia non lesinerà sulla ricostruzione». In effetti dovrebbero esserci oltre 6 miliardi per il sisma, ma in quattro anni si sono compiute solo 85 opere pubbliche su 1.800 e 2.500 cantieri privati su 65.000! Giovanni Legnini sarebbe contento di aprire 5.000 cantieri entro l'estate prossima. Ma se serve il Recovery fund per compiere chissà quando l'opera i miliardi di Renzi dove sono finiti? E le centinaia di milioni solidali? Qualcosa non torna, a meno che Giuseppe Conte non voglia pagarsi coi soldi europei la sua «polizza vita» al governo. Il 30 ottobre sono quattro anni delle altre scosse: 60.000 sfollati, Norcia devastata, mezza provincia di Macerata rasa al suolo. Sarebbe il caso di evitare un'altra passerella del generale cordoglio.
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Nell'anniversario del sisma del 2016, il premier torna nei territori colpiti. I parenti delle vittime lo criticano e Sergio Mattarella gli dà l'alibi della burocrazia. Ma la rinascita è ferma, e Giuseppi si attacca al Recovery fund. Purché non si sappia in giro, altrimenti il governo trema. Giuseppe Conte si fa tanta pubblicità, ma ha l'abitudine di nascondere la verità. Lo fa secretando i verbali scomodi - dalle zone rosse a Ustica - e cercando di tappare la bocca ai terremotati. La scena è di ieri mattina. Si presenta ad Amatrice - che è ancora colpevolmente solo un cumulo di sassi - col picchetto del «generale cordoglio». Le telecamere lo seguono mentre contrito contempla le macerie che stanno lì dalle 3.36 del 24 agosto 2016 senza che nulla sia stato ricostruito, senza che nulla sia stato fatto. Là sotto sono morti in 239: più uno. Quell'uno è il marito di una signora consunta dalla sua rabbia educata. Si avvicina a Conte e lo rimprovera: «Mio marito si è ammazzato per lo choc. L'ho trovato io, appeso a una trave. Siamo amareggiati, ci sono solo promesse, solo promesse». Conte trema d'imbarazzo poi dice: «Ne parliamo dopo la cerimonia signora, ne parliamo a casa sua». A casa non ci andrà ma si apparteranno un momento. Eh già, la cerimonia. C'è la messa che si celebra con distanziamento d'ordinanza nel campo di pallone col vescovo di Rieti, monsignor Domenico Pompili, che va giù piatto: «La lentezza della ricostruzione non è più sostenibile. Ma se si vuole davvero rinascere deve essere privilegiata la relazione, non la speculazione». Allora perché le casette di cartongesso dove vivono ancora in 30.000 - gli altri 6.000 che stavano in albergo sono stati sfrattati e ora sono per strada - sono costate più di un appartamento ai Parioli? Il Papa ha pregato per le «meravigliose terre terremotate», Sergio Mattarella ha mandato un messaggio. «Nella triste ricorrenza del quarto anno dal gravissimo terremoto che provocò nell'Italia centrale più di 300 vittime e oltre 40.000 sfollati, desidero ancora una volta esprimere ai cittadini di Amatrice, Accumuli, Arquata, Pescara del Tronto e delle altre zone colpite, vicinanza e solidarietà. Nonostante tanti sforzi impegnativi», dice il presidente della Repubblica, «l'opera di ricostruzione è incompiuta e procede con fatica, tra molte difficoltà anche di natura burocratica». Eccolo il capro espiatorio: la burocrazia. A quello si attacca Giuseppe Conte. È guardato a vista da un bifronte Nicola Zingaretti, presidente del Lazio e segretario del Pd, è braccato dalla gente che gli rimprovera di tutto. Due genitori che hanno perso un figlio di 22 anni portano magliette con scritto «Vogliamo parlare Con…te» e lui deve accettarne lo sfogo. Gira scortato da Giovanni Legnini, il confidente al Csm di Luca Palamara che si sta riciclando come quarto commissario straordinario al terremoto (di nomina) Pd in quattro anni, e dal capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, che sta muto di fronte alle proteste. Il presidente del Consiglio annuncia ai terremotati che la ricostruzione se la possono scordare a meno che non si accetti il Recovery fund. Però l'ex avvocato del popolo di andare ad Arquata e Pescara del Tronto (49 morti) e ad Accumuli (11 morti) ad annunciare la sentenza di «fine ricostruzione mai» non se la sente. Giuseppe Conte scandisce: «Le leggi per accelerare e semplificare le abbiamo fatte, ma tra sei mesi, un anno, non cambierà nulla. Il processo di ricostruzione è lungo e complesso. Il Recovery fund potrà dare un contributo per integrare le risorse già stanziate». Significa: non aspettatevi nulla, non c'è un euro e ciò che io vi porterò dall'Europa è l'unica via di uscita. Ma appena insediato a capo del suo governo bis, il 13 settembre 2019, disse a Castel Sant'Angelo sul Nera (totalmente distrutto): «La ricostruzione di questi territori martoriati è una priorità del governo e l'ho detto anche chiedendo la fiducia al Parlamento, è un grande impegno che ho preso nei confronti delle comunità locali a nome di tutto il governo». L'anno prima ancora ad Amatrice, il Conte uno l'11 giugno disse: «Sono qui per evitare che queste persone sentano un senso di solitudine e di abbandono». Ma ora ci deve pensare l'Europa col Recovery fund? Sarebbe il caso che il premier si spiegasse. Forse doveva portare con sé anche l'alleato Matteo Renzi, che nel 2016 quando era al posto di Conte disse: «Ricostruiremo tutto. Non possiamo avere uno sguardo burocratico. Le risorse ci sono già, l'Italia non lesinerà sulla ricostruzione». In effetti dovrebbero esserci oltre 6 miliardi per il sisma, ma in quattro anni si sono compiute solo 85 opere pubbliche su 1.800 e 2.500 cantieri privati su 65.000! Giovanni Legnini sarebbe contento di aprire 5.000 cantieri entro l'estate prossima. Ma se serve il Recovery fund per compiere chissà quando l'opera i miliardi di Renzi dove sono finiti? E le centinaia di milioni solidali? Qualcosa non torna, a meno che Giuseppe Conte non voglia pagarsi coi soldi europei la sua «polizza vita» al governo. Il 30 ottobre sono quattro anni delle altre scosse: 60.000 sfollati, Norcia devastata, mezza provincia di Macerata rasa al suolo. Sarebbe il caso di evitare un'altra passerella del generale cordoglio.
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Secondo un’analisi della Fondazione Eni Enrico Mattei, la decarbonizzazione dell’auto europea stenta: le vendite elettriche sono ferme al 14%, le batterie e le infrastrutture sono arretrate. E mentre Germania e Italia spingono per una maggiore flessibilità, la Commissione europea valuta la revisione normativa.
La decarbonizzazione dell’automobile europea si trova a un bivio. Lo evidenzia un’analisi della Fondazione Eni Enrico Mattei, in un articolo dal titolo Revisione o avvitamento per la decarbonizzazione dell’automobile, che mette in luce le difficoltà del cosiddetto «pacchetto automotive» della Commissione europea e la possibile revisione anticipata del Regolamento Ue 2023/851, che prevede lo stop alle immatricolazioni di auto a combustione interna dal 2035.
Originariamente prevista per il 2026, la revisione del bando è stata anticipata dalle pressioni dell’industria, dal rallentamento del mercato delle auto elettriche e dai mutati equilibri politici in Europa. Germania e Italia, insieme ad altri Stati membri con una forte industria automobilistica, chiedono maggiore flessibilità per conciliare gli obiettivi ambientali con la realtà produttiva.
Il quadro che emerge è complesso. La domanda di veicoli elettrici cresce più lentamente del previsto, la produzione europea di batterie fatica a decollare, le infrastrutture di ricarica restano insufficienti e la concorrenza dei produttori extra-Ue, in particolare cinesi, si fa sempre più pressante. Nel frattempo, il parco auto europeo continua a invecchiare e la riduzione delle emissioni di CO₂ procede a ritmi inferiori alle aspettative.
I dati confermano il divario tra ambizioni e realtà. Nel 2024, meno del 14% delle nuove immatricolazioni nell’Ue a 27 è stata elettrica, mentre il mercato resta dominato dai motori tradizionali. L’utilizzo dell’energia elettrica nel settore dei trasporti stradali, pur in crescita, resta inferiore all’1%, rendendo molto sfidante l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050.
Secondo la Fondazione Eni Enrico Mattei, non è possibile ignorare l’andamento del mercato e le preferenze dei consumatori. Per ridurre le emissioni occorre che le nuove auto elettriche sostituiscano quelle endotermiche già in circolazione, cosa che al momento non sta avvenendo in Italia, seconda solo alla Germania per numero di veicoli.
«Ai 224 milioni di autovetture circolanti nel 2015 nell’Ue, negli ultimi nove anni se ne sono aggiunti oltre 29 milioni con motore a scoppio e poco più di 6 milioni elettriche. Valori che pongono interrogativi sulla strategia della sostituzione del parco circolante e sull’eventuale ruolo di biocarburanti e altre soluzioni», sottolinea Antonio Sileo, Programme Director del Programma Sustainable Mobility della Fondazione. «È necessario un confronto per valutare l’efficacia delle politiche europee e capire se l’Unione punti a una revisione pragmatica della strategia o a un ulteriore avvitamento normativo», conclude Sileo.
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Ecco #DimmiLaVerità del 15 novembre 2025. Con il senatore di Fdi Etel Sigismondi commentiamo l'edizione dei record di Atreju.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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