
Nell'anniversario del sisma del 2016, il premier torna nei territori colpiti. I parenti delle vittime lo criticano e Sergio Mattarella gli dà l'alibi della burocrazia. Ma la rinascita è ferma, e Giuseppi si attacca al Recovery fund. Purché non si sappia in giro, altrimenti il governo trema. Giuseppe Conte si fa tanta pubblicità, ma ha l'abitudine di nascondere la verità. Lo fa secretando i verbali scomodi - dalle zone rosse a Ustica - e cercando di tappare la bocca ai terremotati. La scena è di ieri mattina. Si presenta ad Amatrice - che è ancora colpevolmente solo un cumulo di sassi - col picchetto del «generale cordoglio». Le telecamere lo seguono mentre contrito contempla le macerie che stanno lì dalle 3.36 del 24 agosto 2016 senza che nulla sia stato ricostruito, senza che nulla sia stato fatto. Là sotto sono morti in 239: più uno. Quell'uno è il marito di una signora consunta dalla sua rabbia educata. Si avvicina a Conte e lo rimprovera: «Mio marito si è ammazzato per lo choc. L'ho trovato io, appeso a una trave. Siamo amareggiati, ci sono solo promesse, solo promesse». Conte trema d'imbarazzo poi dice: «Ne parliamo dopo la cerimonia signora, ne parliamo a casa sua». A casa non ci andrà ma si apparteranno un momento. Eh già, la cerimonia. C'è la messa che si celebra con distanziamento d'ordinanza nel campo di pallone col vescovo di Rieti, monsignor Domenico Pompili, che va giù piatto: «La lentezza della ricostruzione non è più sostenibile. Ma se si vuole davvero rinascere deve essere privilegiata la relazione, non la speculazione». Allora perché le casette di cartongesso dove vivono ancora in 30.000 - gli altri 6.000 che stavano in albergo sono stati sfrattati e ora sono per strada - sono costate più di un appartamento ai Parioli? Il Papa ha pregato per le «meravigliose terre terremotate», Sergio Mattarella ha mandato un messaggio. «Nella triste ricorrenza del quarto anno dal gravissimo terremoto che provocò nell'Italia centrale più di 300 vittime e oltre 40.000 sfollati, desidero ancora una volta esprimere ai cittadini di Amatrice, Accumuli, Arquata, Pescara del Tronto e delle altre zone colpite, vicinanza e solidarietà. Nonostante tanti sforzi impegnativi», dice il presidente della Repubblica, «l'opera di ricostruzione è incompiuta e procede con fatica, tra molte difficoltà anche di natura burocratica». Eccolo il capro espiatorio: la burocrazia. A quello si attacca Giuseppe Conte. È guardato a vista da un bifronte Nicola Zingaretti, presidente del Lazio e segretario del Pd, è braccato dalla gente che gli rimprovera di tutto. Due genitori che hanno perso un figlio di 22 anni portano magliette con scritto «Vogliamo parlare Con…te» e lui deve accettarne lo sfogo. Gira scortato da Giovanni Legnini, il confidente al Csm di Luca Palamara che si sta riciclando come quarto commissario straordinario al terremoto (di nomina) Pd in quattro anni, e dal capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, che sta muto di fronte alle proteste. Il presidente del Consiglio annuncia ai terremotati che la ricostruzione se la possono scordare a meno che non si accetti il Recovery fund. Però l'ex avvocato del popolo di andare ad Arquata e Pescara del Tronto (49 morti) e ad Accumuli (11 morti) ad annunciare la sentenza di «fine ricostruzione mai» non se la sente. Giuseppe Conte scandisce: «Le leggi per accelerare e semplificare le abbiamo fatte, ma tra sei mesi, un anno, non cambierà nulla. Il processo di ricostruzione è lungo e complesso. Il Recovery fund potrà dare un contributo per integrare le risorse già stanziate». Significa: non aspettatevi nulla, non c'è un euro e ciò che io vi porterò dall'Europa è l'unica via di uscita. Ma appena insediato a capo del suo governo bis, il 13 settembre 2019, disse a Castel Sant'Angelo sul Nera (totalmente distrutto): «La ricostruzione di questi territori martoriati è una priorità del governo e l'ho detto anche chiedendo la fiducia al Parlamento, è un grande impegno che ho preso nei confronti delle comunità locali a nome di tutto il governo». L'anno prima ancora ad Amatrice, il Conte uno l'11 giugno disse: «Sono qui per evitare che queste persone sentano un senso di solitudine e di abbandono». Ma ora ci deve pensare l'Europa col Recovery fund? Sarebbe il caso che il premier si spiegasse. Forse doveva portare con sé anche l'alleato Matteo Renzi, che nel 2016 quando era al posto di Conte disse: «Ricostruiremo tutto. Non possiamo avere uno sguardo burocratico. Le risorse ci sono già, l'Italia non lesinerà sulla ricostruzione». In effetti dovrebbero esserci oltre 6 miliardi per il sisma, ma in quattro anni si sono compiute solo 85 opere pubbliche su 1.800 e 2.500 cantieri privati su 65.000! Giovanni Legnini sarebbe contento di aprire 5.000 cantieri entro l'estate prossima. Ma se serve il Recovery fund per compiere chissà quando l'opera i miliardi di Renzi dove sono finiti? E le centinaia di milioni solidali? Qualcosa non torna, a meno che Giuseppe Conte non voglia pagarsi coi soldi europei la sua «polizza vita» al governo. Il 30 ottobre sono quattro anni delle altre scosse: 60.000 sfollati, Norcia devastata, mezza provincia di Macerata rasa al suolo. Sarebbe il caso di evitare un'altra passerella del generale cordoglio.
Emanuele Fiano (Ansa)
L’ex deputato pd chiede di boicottare un editore ospite alla fiera patrocinata da Gualtieri e «reo» di avere un catalogo di destra.
Per architettare una censura coi fiocchi bisogna avere un prodotto «nero» ed etichettarlo con la dicitura «neofascista» o «neonazista». Se poi scegli un ebreo (si può dire in questo contesto oppure è peccato?) che è stato pure censurato come testimonial, hai fatto bingo. La questione è questa: l’ex parlamentare Pd, Emanuele Fiano, che già era passato alla cronaca come bersaglio dei pro Pal colpevoli di non averlo fatto parlare all’Università Ca’ Foscari di Venezia e contro il quale qualche idiota aveva mimato la P38, sta premendo per censurare una casa editrice colpevole di pubblicare dei libri pericolosi perché di destra. Anzi, di estrema destra.
Un frame del video dell'aggressione a Costanza Tosi (nel riquadro) nella macelleria islamica di Roubaix
Giornalista di «Fuori dal coro», sequestrata in Francia nel ghetto musulmano di Roubaix.
Sequestrata in una macelleria da un gruppo di musulmani. Minacciata, irrisa, costretta a chiedere scusa senza una colpa. È durato più di un’ora l’incubo di Costanza Tosi, giornalista e inviata per la trasmissione Fuori dal coro, a Roubaix, in Francia, una città dove il credo islamico ha ormai sostituito la cultura occidentale.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.






