2018-06-08
Sapelli: «Conte ha una grande chance. Infilarsi fra Trump e Merkel»
Il quasi premier parla del G7: «Servirebbe la saggezza dc. La nostra fedeltà atlantica per costruire ciò che gli Usa non possono fare, come il ponte di pace con la Russia».Diminuiti gli ordini dell'industria manifatturiera, quarto calo consecutivo. Sono le conseguenze della guerra commerciale Ue-Usa.Lo speciale contiene due articoli«Adesso servirebbe un po' di saggezza democristiana». Dal suo osservatorio universitario il professor Giulio Sapelli, storico ed economista, riesce a fotografare le situazioni con una invidiabile nitidezza. Forse perché non usa l'ottica dello smartphone ma una classica reflex con tutte le sfumature di colore. E alla vigilia del G7 più delicato degli ultimi 20 anni recupera un motto sempre valido per chi si affaccia sulle insidie della politica internazionale: «Lavorare di più e parlare di meno». Al vertice delle sette nazioni più avanzate del mondo avrebbe potuto esserci lui, che nella travagliata formazione del governo gialloblù fu indicato come premier, anche se per una notte sola. Ora si limita a regalare un motto al governo del cambiamento, se davvero vorrà provare a cambiare qualcosa, e al premier Giuseppe Conte, da oggi in Canada davanti ai grandi del mondo a rappresentare un'Italia nuova, che desta curiosità a livello internazionale ma viene massacrata in patria dalla trincea mediatica. «E dire che non sono passati 100 giorni, ma 100 minuti».Professor Sapelli, sarà un G7 difficile, un duello sulla main street fra Donald Trump e Angela Merkel per via dei dazi. Un'agenda con la Russia e le sanzioni sullo sfondo. E poi la prima uscita di Conte e del suo governo populista. Da dove cominciamo?«Mai l'Occidente si è presentato così diviso nel Dopoguerra soprattutto per i rapporti fra Stati Uniti e Germania. Molto dipende dai dazi imposti da Washington, ma dovremmo sapere che l'obiettivo americano è quello di arginare la Cina. I dazi non sono uno strumento economico, ma di politica estera. L'Europa è stata così sciocca da abbattere quelli con la Cina senza prima decidere se Pechino abbia o no un'economia di mercato. E adesso piange. Noi dovremo essere bravi a ritrovare la nostra vocazione alla mediazione. L'Italia ha sempre avuto un ruolo ponte, torni ad esercitarlo».Ruolo ponte ha in sé qualcosa di andreottiano. Ce lo spiega?«Parlare con tutti, riuscire a essere importanti per tutti. Recuperare il valore della politica Dc, dell'Eni di Enrico Mattei. E dovremmo anche ricordarci di ciò che sosteneva Henry Kissinger: la nostra fedeltà atlantica serve per costruire ciò che gli Stati Uniti non possono fare. Per esempio un ponte di pace con la Russia. Perché io credo che alla lunga Trump e Putin torneranno a camminare insieme. È un G7 importante, nel quale non si può pensare di limitarsi alla passerella. Per esempio, utilizzarlo per riavvicinarci alla Germania dopo le ultime fibrillazioni sarebbe l'ideale».Il nuovo premier Conte e il ministro degli Esteri, Enzo Moavero, saranno in grado?«Conte è alla prima uscita, ma Moavero ha grande esperienza. Gli stessi che adesso sono scatenati contro il nuovo governo, nel 2012 portavano doni e ceri votivi davanti ai santini di Mario Monti. Chi può essere più preparato di Moavero, che fu scelto da lui? Vogliamo mettere in discussione Monti? Certo che sono caustico...Piuttosto, c'è una precondizione che tutti nel nuovo esecutivo dovrebbero seguire, figuriamoci in un G7».Quale, professore?«La nobile e saggia consegna del silenzio. Alta diplomazia, ricuciture dove sono necessarie, disponibilità e coraggio nelle relazioni. Ma soprattutto, e qui mi rivolgo specialmente a Matteo Salvini che stimo molto, la capacità di non dichiarare niente. La campagna elettorale è finita, la ragion di Stato prevede altri protocolli comportamentali».Domanda all'economista in prima linea: come considera l'impennata dello spread che ha battezzato il governo Conte?«Esattamente un'impennata, niente altro. E fu provocata dalle dichiarazioni poco avvedute del presidente Sergio Mattarella, del quale peraltro ho massimo rispetto. Si figuri, sono torinese. Lui doveva fare il pompiere, spegnere il fuoco come prevede la Costituzione, e non farlo avvampare. Ora è tornata la calma perché da sempre i mercati premiano la stabilità, determinata da un nuovo governo votato dagli italiani. Era così semplice».Il mainstream mediatico però si è scatenato contro i populisti e non si è più fermato. Giornali, televisioni, c'è una caccia alla sbavatura ad alta intensità. Non la insospettisce?«No, perché quando un piccolo establishment come il nostro vede sgretolarsi il terreno sul quale ha posato comodamente i piedi per anni, reagisce con le armi più pesanti che ha: i media. In Italia non esiste un editore indipendente. E nel piccolo establishment degli indignados ci metto anche Silvio Berlusconi; è fuori e gli rode».Può essere una naturale reazione ad anni di denigrazioni grilline.«In Italia, e non solo, si è cementato nei gangli culturali, economici, politici, il pensiero unico radical chic, conformista e dal respiro cortissimo. Ma non crea danni soltanto da noi; ieri ho letto su Le Figaro che in Francia sono arrivati a chiedere la censura dei libri di Pierre Loti perché hanno scoperto che era razzista e antisemita. Le patenti ideologiche del pensiero debole; è la cultura che innalza i popoli, ma se è calata dall'alto non è cultura. Lo aveva capito perfettamente Pierpaolo Pasolini: l'establishment inferocito di oggi è composto da chi applaudiva quelli che picchiavano i poliziotti. E noi siamo qui a prendere le loro botte». Soprattutto il professor Paolo Savona, che per una settimana è stato fatto passare per un reietto delle isole.«Guardi, il professor Savona non ha bisogno di dimostrare di essere debole o forte. La pensiamo nello stesso modo, non lavoriamo per la fama ma per la gloria, che è qualcosa che va oltre noi stessi e sta dentro i libri. È certamente un pilastro di questo governo è non meritava le angherie verbali che ha subìto, ma da studioso raffinato e profondo è già andato oltre. Sono convinto che in questo momento è il primo a dire ai giovani colleghi che il governo dovrà essere unito».M5s e Lega non hanno molto in comune. Resisteranno o si sfalderanno?«Due culture diverse, due mondi diversi, ma un collante fortissimo determinato anche dall'anagrafe: sono giovani e vogliono cambiare il Paese in meglio. Ora è arrivato per loro il momento di lavorare in silenzio e di far propria una delle frasi più democristiane della storia: smorzare i toni».Professor Sapelli, all'inizio delle consultazioni lei è stato premier per una notte. Ha dormito?«Ma non è vero, mi ero semplicemente messo a disposizione del Paese. E comunque mi sono angosciato, un'angoscia esistenziale che deriva da ciò che dicevo prima: loro sono tutti giovani. Nelle imprese e nell'amministrazione i vecchi come me servono ancora per saggezza, esperienza e attenzione alle curve. Ma in politica no. Lei parla di Terza repubblica a un signore che è ancora dentro la Prima. Avrei ringraziato gli amici della Lega, sarei stato lì una settimana. E poi sarei tornato a casa».Giorgio Gandola<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/conte-ha-una-grande-chance-infilarsi-fra-trump-e-merkel-2576058752.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-locomotiva-tedesca-rallenta-paga-la-cura-donald" data-post-id="2576058752" data-published-at="1758199880" data-use-pagination="False"> La locomotiva tedesca rallenta: paga la «cura Donald» Brutte notizie per l'industria tedesca. È troppo presto per parlare di crisi, ma i segnali sono tutt'altro che rassicuranti, tanto che anche i più ottimisti iniziano ad aggrottare la fronte. Con un comunicato diramato ieri, l'ufficio di statistica tedesco Destatis (l'equivalente del nostro Istat) ha reso noto che gli ordini dell'industria manifatturiera nel mese di aprile sono diminuiti del 2,5% rispetto al mese precedente e dello 0,1% su base annua. Uno scivolone ci può stare, ma non si tratta di un caso isolato. Quello registrato è infatti il quarto calo consecutivo e, cosa forse ancora più preoccupante, spiazza gli analisti che si aspettavano un dato positivo di poco inferiore all'1%. Nel dettaglio, rispetto a marzo gli ordini domestici sono scesi del 4,8% mentre quelli esteri dell0 0,8%. Quest'ultimo dato è stato letteralmente azzoppato dagli ordini provenienti dai paesi dell'Unione europea, calati del 9,9%, è solo parzialmente compensato dall'aumento di quelli dal resto del mondo, aumentati invece del 5,4%. Grossa delusione da parte degli addetti ai lavori. Carsten Brzeski, capo economista della filiale tedesca di Ing Direct, ha parlato di «doccia fredda». Brzeski ha ammesso che l'inizio dell'anno per il settore industriale si è rivelato peggiore del previsto. Pacata la reazione del ministero per gli Affari economici, che definisce «prevedibile» il rallentamento della prima parte dell'anno e interpreta la serie di cali come un rimbalzo rispetto al forte aumento degli ordini in entrata nella seconda metà del 2017. «Al momento il ruolo svolto dalla crescente situazione di incertezza», si legge nella nota diffusa da Berlino, «è difficile da valutare, specialmente in relazione all'ambiente esterno». Gli analisti non sono altrettanto prudenti, e attribuiscono senza mezzi termini il dato negativo di ieri all'incombente guerra commerciale tra Unione europea e Stati Uniti. Un conflitto in grado tagliare le gambe all'economia tedesca, che si regge in buona parte proprio sul surplus commerciale. Da diversi anni la bilancia degli scambi di Berlino presenta un enorme delta positivo, ben oltre il massimo consentito dalle regole europee previste dal «six pack» pari al 6% sul prodotto interno lordo. Nell'ultimo triennio il saldo medio tedesco si è attestato all'8,5%, terzo nell'intera Ue dopo Irlanda e Paesi Bassi. Thomas Gitzel, capo economista a Vp bank, ritiene che il crollo degli ordini sia riconducibile al dibattito in corso sull'inasprimento delle tariffe. Ma non c'è solo Donald Trump a turbare il sonno dell'economia tedesca. Il nuovo governo gialloblù appena insediatosi in Italia, il blocco Visegrad insofferente nei confronti dei vincoli europei, la Brexit e il rapporto con Emmanuel Macron sono tutti fattori di instabilità che minacciano la fiorente locomotiva teutonica. Se stavolta la situazione dovesse sfuggire di mano alla cancelliera Angela Merkel, potremmo trovarci ad assistere al primo atto del declino tedesco. Antonio Grizzuti
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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