2021-07-25
Conte e il «Fatto» in cortocircuito. Sulla giustizia il M5s è sotto scacco
Martedì 20 luglio dell'anno Domini 2021, dieci giorni appena dall'inizio della discussione in Parlamento della riforma Cartabia sui processi. Titolo del Fatto quotidiano: «Giustizia, Conte non è solo: allarme dal Colle». Sommario: «Csm, i togati furiosi. I timori del Quirinale sul Parlamento che dà ordini ai pm. L'ex premier (cioè quel fine giurista dell'avvocato di Volturare Appula, ndr) vuole evitare la morte dei processi d'appello. I magistrati al Csm pure». Draghi e compagni evidentemente no: di qui le preoccupazioni del capo dello Stato.Sabato 24 luglio dell'anno Domini 2021, cioè quattro giorni dopo e sei giorni prima dell'inizio della discussione della riforma della giustizia a Montecitorio. Sempre titolo del Fatto: «Cartabia e Quirinale imbavagliano il Csm». Occhiello, che sarebbe quella riga grande che sta sopra l'apertura: «Schiforma: Mattarella in soccorso della Guardasigilli». Spiegazione in caratteri minori: «Salvaladri&mafia. La ministra chiede il parere fuori tempo e il Colle la aiuta a ritardarlo». Nel mezzo, cioè nei giorni infrasettimanali, c'è di tutto: «Conte che va da Draghi e offre la soluzione per salvare 150.000 processi», «Il no all'impunità: Conte sfida Draghi» eccetera. Forse a distanza di giorni, l'unico fra i titoli che può dirsi azzeccato tra quelli prodotti dal quotidiano sull'argomento è il seguente: «I 5 stelle vanno in prescrizione». Occhiello: «Calabrache. Cedono a Draghi addirittura sulla giustizia».La breve rassegna stampa della testata filocontiana da sola basta e avanza per capire che ai vertici dei 5 stelle la confusione regna sovrana. Lo stato maggiore dell'ex avvocato del popolo, a quanto pare, non sa più a che santo votarsi pur di impedire che la legge Cartabia rottami la legge Bonafede, ossia la sintesi di tutti i proclami manettari del Movimento. Tuttavia, nonostante lo scomposto agitarsi, la riforma che avrebbe voluto introdurre il concetto che i processi non si estinguono mai, e un rinvio a giudizio dura più a lungo di un diamante, sta per naufragare e tanti saluti ai suonatori. Già, perché mentre la grande parte della stampa si è occupata dello schiaffone che il presidente del Consiglio ha tirato a Matteo Salvini sui vaccini, nessuno o quasi si è curato del Vaffa profferito dal medesimo all'indirizzo del suo predecessore sul tema a lui più caro: la giustizia. Conte ne aveva fatto il suo cavallo di battaglia, ma il quadrupede a quanto pare si sta rivelando un ronzino destinato non a una gloriosa cavalcata, ma al macello.Infatti, da quando Mario Draghi ha messo ai voti in Consiglio dei ministri la fiducia alla riforma preparata dal Guardasigilli, i vertici grillini e in particolare Giuseppe Conte sono nel pallone, costretti a scegliere quale delle due strade che hanno davanti imboccare, pur sapendo che entrambe conducono al patibolo. La prima prevede infatti un voto contrario alla legge Cartabia, con conseguente uscita del movimento dalla maggioranza di governo, ma la altrettanto probabile conseguenza di una frattura fra grillini antigovernisti e grillini opportunisti, cioè pronti a sacrificare i 5 stelle in cambio della poltrona. La seconda ipotesi è invece che Conte chini la testa e anche la pochette di fronte alla Cartabia, schierandosi con gli opportunisti e perdendo gli antigovernisti. Nell'uno e nell'altro caso, per l'ex premier significherebbe una sconfitta, perché avendo appena evitato una scissione fra filo grillini e filo contiani, scegliendo l'una o l'altra strada ne provocherebbe un'altra forse anche più pericolosa della prima. L'uomo degli arbitrati, abituato con quattro cazzabubbole tipo «la caducazione della concessione» a sistemare i dissidi, si ritroverebbe in pratica con un partito dimezzato, che le future elezioni, con il calo dei consensi e la riduzione dei parlamentari contribuirebbero ancora di più a renderlo marginale. Altro che rimonta e grande alleanza con Enrico Letta per rilanciare il fronte anti sovranità: più passano i giorni e più si capisce che Giuseppe Conte è un sovrano senza regno e senza corona. E senza quel po' di esperienza che consente di evitare le trappole.