Finalmente ci siamo. Stamattina alle 10 i leader dei 27 Paesi della Ue si ritroveranno di persona a Bruxelles per entrare nel vivo di negoziati che potrebbero durare anche fino a domenica e potrebbero richiedere un successivo meeting nelle prossime settimane. La posta in gioco è alta: il bilancio «ordinario» settennale 2021-2027 (Qfp, il primo senza Uk) su cui si litiga ormai da un anno e mezzo, e il nuovo fondo straordinario (Next Gen Eu) da 750 miliardi, proposto dalla Commissione lo scorso 27 maggio.
Nei mesi scorsi, a proposito di Recovery Fund e Mes, ci è capitato spesso di ipotizzare scenari che poi sono stati regolarmente confermati dai fatti. Allo stesso modo, riteniamo di poter ipotizzare che finirà come tra Totò e Peppino nel famoso film Totò, Peppino e la malafemmina: Totò doveva a Peppino 40.000 lire e, subito dopo averle restituite, chiese in prestito 80.000 lire. Peppino prestò solo le 40.000 lire che aveva appena ricevuto e Totò sottolineò che, a quel punto, Peppino era debitore di altre 40.000 lire. A nulla valsero le proteste di Peppino che invece sosteneva di essere creditore di 40.000 lire! Ecco, il negoziato europeo rischia di finire in questo modo: nessuno avrà chiaro il proprio saldo debitore o creditore. Tutto sarà mescolato in un enorme calderone di dare ed avere, di cui non saranno chiari né gli addendi, né il relativo ammontare.
Ma noi lo diciamo subito, provando a smascherare sin d'ora i giochi contabili che partiranno per provare che il presidente Giuseppe Conte sarà tornato da Bruxelles con un grande successo politico per rilanciare il nostro Paese.
Un antipasto lo abbiamo avuto già lo scorso 10 luglio, leggendo le 10 slide con cui il presidente del Consiglio europeo, il belga Charles Michel, presentava la sua proposta di mediazione rispetto a quella iniziale della Commissione. Confrontando la risposta alla crisi di Ue, Usa e Cina, alla Ue viene attribuita la cifra di 2.364 miliardi, ben superiore a quella degli altri colossi mondiali. C'è un piccolo particolare, in quella cifra sono inclusi i 1.074 miliardi del Qfp che è un bilancio ordinario della Ue. Come se, dopo una malattia, ci chiedessero quanto cibo in più stiamo mangiando, e noi rispondessimo elencando tutto il nostro menù, anche quello ordinario, necessario per il mero sostentamento, che comunque mangiavamo anche prima. Il livello è questo e quindi prepariamoci.
Non sarà difficile ingannarci. Infatti, la Commissione sarà autorizzata ad indebitarsi emettendo obbligazioni (verosimilmente acquistate in gran parte dalla Bce, e qui sta il primo bluff) fino a 750 miliardi per erogare 500 miliardi di sussidi e 250 miliardi di prestiti. La garanzia per emettere tali titoli, necessaria affinché il mercato riconosca il rating Aaa, è l'ampliamento del bilancio Ue fino al 2% del Pil, in crescita rispetto all'iniziale 1,1%. Quindi comunque un impegno per il nostro Paese, ancorché di firma e non per cassa. La gran parte delle somme saranno erogate attraverso il Recovery and resilience plan (Rrf) da 310 miliardi di sussidi (334 a prezzi correnti) e 250 miliardi di prestiti. Tralasciamo i prestiti che, per definizione, non generano contribuenti o beneficiari netti (tanto si presta e tanto si rimborsa) e guardiamo i sussidi. L'Italia dovrebbe riceverne 68 miliardi dal Rrf (il 20,4% di 334 miliardi), ma il presidente Michel ha già precisato che solo il 70% di quei fondi sarà allocato, nel 2021 e 2022, con quella base di ripartizione. Il restante 30% sarà allocato nel 2023 tenendo conto dell'effettiva caduta del reddito registrata nel biennio precedente, criterio che dovrebbe vederci «avvantaggiati».
Ma la sorpresa, viene dopo il 2026 - che è già un passo indietro rispetto al 2028 previsto dalla Commissione - quando le obbligazioni emesse cominceranno ad andare a scadenza ed il bilancio Ue dovrà dotarsi di risorse per rimborsarle. Quale sarà il contributo a carico dell'Italia, decisivo per comprendere il contributo netto? Non è dato sapere. Infatti, la Commissione intende rimborsare quei titoli attraverso «risorse proprie», cioè entrate autonome derivanti da imposte sul carbone, emissioni, digitale e plastica e, in misura minore, contribuzione aggiuntiva richiesta agli Stati membri. È fortissimo il timore, considerando anche cosa accade con il Qfp in cui siamo stati contribuenti netti per 35 miliardi nel precedente settennio, che la base imponibile di quelle imposte veda le nostre imprese contribuire in modo più che proporzionale rispetto al Pil. In sostanza, il benefico effetto dei 68 miliardi, ancorché tardivo, perché si tratta solo di stanziamenti i cui effetti finanziari saranno molto dilazionati, troverà adeguata contropartita in future e maggiori tasse per le nostre imprese ed il saldo sarà probabilmente negativo.
Ma questo è il meno. Il piano nazionale per la ripresa, che dovrà essere approvato a maggioranza qualificata dal Consiglio, conterrà tali e tante aggiustamenti macroeconomici, le famose riforme strutturali, tutte potenzialmente recessive, che il costo di quei fondi rischia di diventare un salasso.
È questo l'addendo decisivo nel calcolo che tenteranno di nasconderci.





