Lontane le settimane di questa primavera - quando promuoveva spensierate iniziative on line per la Resistenza virale, trovando il tempo per ricorsi al Tar del Lazio contro i decreti ministeriali che dichiaravano temporaneamente «non sicuri» i porti italiani -, l'Arci appare ora letteralmente sul piede di guerra; contro il governo s'intende, e per più ragioni.
La prima concerne la disposta chiusura, fino al 24 di questo mese, di tutti gli oltre 4.000 circoli facenti capo alla associazione ricreativa e culturale in parola, il cui orientamento politico di sinistra e antifascista è, per restare in tema, arcinoto. Una misura che i vertici Arci, dei quali durante il primo lockdown non si ricordano proteste, hanno bocciato come «un colpo durissimo per le sue socie e soci, che sono più di un milione, e per tantissimi circoli che rischiano in questo modo di non riaprire». Di qui la manifestazione del 29 ottobre scorso, con l'associazione scesa in piazza in oltre 2.000 presidi all'insegna dello slogan «curiamo la socialità», per chiedere modifiche nell'ambito dell'iter di conversione del decreto cosiddetto Ristori.
Che Arci e governo siano ai ferri corti è altresì provato dalle parole di Francesca Chiavacci, fiorentina, ex parlamentare e attualmente presidente della federazione appunto Arci, la quale, in una intervista da poco rilasciata a Gaynews.it, ha lamentato proprio il fatto che il decreto abbia introdotto contributi per le partite Iva, senza però alcuna previsione per le attività di promozione sociale.
Una esclusione che, per la presidente dell'associazione, è frutto dell'ignoranza di una politica che non ha ancora compreso «che il no-profit, in generale, si colloca in ogni caso nella dimensione economica del Paese». «I circoli», ha aggiunto la Chiavacci, «sostengono comunque dei costi: personale dipendente, affitti, forniture, manutenzione delle strutture».
Per questo la presidente di Arci ora propone l'istituzione di «un fondo, come avvenuto per le realtà sportive, che includa tutte le realtà sociali che hanno cessato o ridotto la propria attività istituzionale a seguito delle restrizioni. Il fondo dovrà includere le Associazioni di promozione sociale (Aps) ed essere esteso a tutte le sigle associative precedenti alla riforma del terzo settore».
Tradotto dal politichese: anche l'Arci ora batte cassa; il che, se da un lato appare anche comprensibile, dall'altro non può che costituire un curioso paradosso dal momento che, come già ricordato, parliamo di una storica associazione di sinistra che in queste ore si sta lamentando contro le decisioni di un governo che, fino a prova contraria, è del medesimo orientamento ideologico ed ha al dicastero della Salute uno come Roberto Speranza, esponente neppure del Pd bensì di Liberi e Uguali, che sta ben più a sinistra.
Allo stesso modo, non si può non registrare come l'esecutivo guidato da Giuseppe Conte, al di là di quel che potrebbe apparire, oltre a mettere in ginocchio ristoratori, artigiani e imprenditori - con ristori per il momento solo sulla carta -, sta generando un forte malcontento persino, Arci docet, tra il tessuto associativo che rappresenta l'ala politica ora azionista di maggioranza del governo stesso, almeno a giudicare dalle ultime elezioni. In effetti, solo nella rossa Toscana ammonterebbero a 1.500 i circoli Arci a rischio chiusura dopo le serrate disposte da un governo che non solo pare non capire in generale gli italiani e le loro preoccupazioni; ma neppure, ormai, il suo elettorato.





