2020-04-23
Conte crede ancora alla farsa di Bruxelles. Solo Parigi la smonta
Il Consiglio finirà con un altro rinvio. Zero fondi per il decreto e per le nostre aziende. L'Eliseo: accordo forse a fine giugno.Molti clienti delusi. Sace rende note le pratiche per i finanziamenti destinati all'export.Lo speciale contiene due articoliSe ancora qualcuno avesse dei dubbi, a smontarli è arrivata la lettera del presidente del consiglio Ue, Charles Michel. La riunione odierna non deciderà nulla. L'ex primo ministro belga ha raccontato quale sarà la roadmap for recovery, ma la strada descritta per l'uscita dalla crisi del Covid-19 non è costellata nemmeno di buone intenzioni. Il Consiglio Ue poco meno di un mese fa, non volendo prendere decisioni in materia di interventi economici, ha passato la palla all'Eurogruppo. Il quale ha avuto due settimane di tempo. Alla fine non ha trovato un accordo sulla mutualizzazione del debito e così ha ripassato la palla al Consiglio che oggi farà la stessa cosa con la Commissione. Il che significa che l'agenda odierna dei lavori è solo un specchietto per le allodole. La traccia del vertice è già segnata: via libera ai prestiti del Meccanismo europeo di stabilità (su richiesta di ciascun Stato) per 240 miliardi; al sostegno delle casse integrazioni nazionali (100 miliardi), ai prestiti della Banca europea degli investimenti (200 miliardi per le imprese medio piccole). Le tre operazioni si fonderebbero sull'emissione di bond sul mercato, ma non si tratta di eurobond nell'accezione secca di emissioni di debito comune. E qui sta il busillis. Se non si decide a chi va il debito i progetti di Michel non stanno in piedi. Non solo: c'è pure un quarto pilastro costituito dal Recovery fund, fondo per la ripresa economica.Qui i dettagli sono sconosciuti: di quanto disporrà, come reperirà le risorse, come saranno utilizzate, quanto durerà, come sarà collegato al bilancio Ue dovrà essere negoziato successivamente. Tradotto: sarà deciso dalla Commissione e si tornerà al punto di partenza. Fonti dell'Eliseo francese citate da agenzie internazionali fanno sapere che «le discussioni continueranno per diverse settimane. Ci vorrà un incontro fisico di capi di Stato e di governo per agire, forse a giugno», ha concluso l'Eliseo che spera cautamente di «raggiungere un accordo durante l'estate». La strada della farsa è dunque ancora molto lunga. Purtroppo i media italiani sembrano ignorare lo sfacelo Ue. Basta invece fare un salto su Bloomberg per leggere l'analisi internazionale. Secondo l'agenzia oggi non succederà nulla e quindi passerà la linea tedesca a cui l'Italia si sarebbe piegata nel totale silenzio. Idem la Reuters che ribadisce un fatto lapalissiano: Berlino non accetterà mai di condividere le garanzie degli altri Paesi. Mentre a toccare la carne viva del problema è il Financial Times che in un lungo editoriale ricorda che solo la Bce, in un momento come questo, può essere decisiva facendo acquisti a sostegno dei debiti pubblici di tutti i Paesi Ue. Esattamente il contrario di quanto si legge nella lettera di Michel dove si fa cenno solo al Mes, al Sure, alla Bei e a null'altro. Nessuna citazione della Bce che nel frattempo, purtroppo, getta altra benzina sul fuoco. Ieri ha parlato Christine Lagarde. La governatrice ha negato che il direttivo abbia mai discusso di helicopter money, cioè di soldi a pioggia. Parole sublimi per le orecchie dei tedeschi che ieri sono stati rincuorati anche da una seconda dichiarazione. La Lagarde, rispondendo a un'interrogazione del deputato Marco Zanni del gruppo leghista, ha ribadito che la Bce non può fare direttamente acquisti di titoli. Di per sé la cosa è ovvia, ma detta alla vigilia del Consiglio Ue serve a ribadire che non si sgarrerà mai dalle politiche di bilancio e che non sarà consentito un disavanzo eccessivo. A questo punto il cerchio è chiuso e dentro ci ha infilato la testa il nostro premier Giuseppe Conte. Dopo aver accusato Matteo Salvini e Giorgia Meloni di propalare fake news sul Mes rivendicando la volontà di non volerne chiedere l'attivazione, non ha ancora spiegato che cosa stanno facendo i suoi sherpa in Europa da quattro settimane a questa parte. Se il Mes non è una opzione perché discuterne per così tanto tempo? E soprattutto non ha mai fatto un atto di trasparenza. È inammissibile portare avanti una trattativa sostenendo che l'Italia sceglierà strumenti di finanziamento e quindi di debito e che solo in un secondo momento saranno decise le condizioni sottostanti. È come firmare una cambiale. Una cosa che va bene solo al Pd e a un pezzo dei 5 stelle perché l'altra sul Mes ha idee diverse. Ieri l'eurodeputato grillino Ignazio Corrao ha sparato a zero sulle nomine approvate dal suo partito a Roma e ha pubblicamente rinnegato il patto che ha consentito la nomina di Ursula von der Leyen. Ma è la disperata filosofia del prendere tempo attuata da Conte che rischia non andare più bene a un pezzo più ampio di maggioranza. Conte ha usato con il decreto di marzo (25 miliardi) tutta la flessibilità concessa dall'Ue. Il decreto imprese è a saldo e pieno di promesse per le aziende, tutte irrealizzabili. Tant'è che sui 400 miliardi promessi, potranno esserne garantiti al massimo 25. Il cosiddetto decreto di aprile è già slittato a maggio. Il governo ha infatti spostato al 30 aprile l'appuntamento con l'Aula per chiedere l'autorizzazione a sforare il deficit. Conte spera, contro ogni realtà, di poter ottenere qualcosa da Bruxelles (a questo punto a qualunque condizione) per finanziare nuovo deficit e far vedere di essere in grado di distribuire fondi alle aziende che soffrono di Covid-19. Ma la difficoltà in cui si trova è palese. Ieri pomeriggio era previsto il cdm per fissare un tetto allo sforamento dei conti pubblici. È saltato in attesa del Consiglio Ue di oggi. Ma se le previsioni francesi sono vere anche solo a metà, aspettare è una follia. La stessa follia che fa il paio con la strategia del lockdown: «Niente soldi per l'economia, state a casa». Obbligare il Paese a rimanere chiuso perché non si sa come affrontare la riapertura (dal punto di vista economico) porterà a due effetti. L'esasperazione dei cittadini miti, coloro che hanno sempre portato acqua al mulino del Pil e pagato le tasse. E - secondo effetto - lasciare morire le filiere produttive più colpite. La ristorazione in Italia fattura 90 miliardi di euro e il turismo più di 200. Conte fa il temporeggiatore sulla schiena di tutti questi imprenditori e lavoratori. Un corpo esangue si rianima, uno morto no.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/conte-crede-ancora-alla-farsa-di-bruxelles-solo-parigi-la-smonta-2645807154.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="particle-1" data-post-id="2645807154" data-published-at="1587582441" data-use-pagination="False"> Come avevamo già accennato la coperta decreto imprese è corta. Il plafond per i prestiti a garanzia statale starebbe già finendo. Ieri la Banca Popolare di Bari ha fatto sapere di non potere «accogliere ulteriori domande» sui prestiti garantiti dallo Stato fino a 25.000 euro previsti dal decreto di inizio aprile, perché «le richieste hanno superato il plafond messo a disposizione dalla banca». A scriverlo è l'istituto di credito stesso sul suo sito, nella sezione dedicata alle richieste.In poche parole, in tre giorni (la richiesta di prestiti garantiti è iniziata lunedì) l'istituto barese avrebbe già finito i fondi a disposizione. E non sarebbe l'unico in questa situazione. Il motivo è semplice con 1,7 miliardi concessi a supporto si potranno gestire al massimo 350.000 pratiche su oltre 6 milioni di aventi diritto. «Alcune banche stanno comunicando ai propri clienti di non poter erogare i finanziamenti fino a 25.000 euro coperti al 100% con garanzia pubblica a causa dell'esaurimento dei plafond dedicati. L'Italia non può attendere oltre. Il sistema bancario nazionale ha bisogno di banche a partecipazione pubblica che svolgono la propria attività bilanciando logiche, criteri e condizioni di mercato con l'interesse pubblico alla tutela della stabilità del sistema economico e produttivo. È un grave errore chiedere alle banche di svolgere attività “sociali"», ha fatto sapere in una nota il sottosegretario al ministero dell'Economia e delle Finanze, Alessio Villarosa. Una situazione che attirerà molte critiche sul governo e pure sul comparto bancario sul quale la politica ha scaricato gran parte delle responsabilità. Chi afferma, dunque, che il decreto rappresenti un regalo alle banche può iniziare a porsi qualche dubbio. Innanzitutto perché non è vero che per avere un prestito da 25.000 euro sia obbligatorio rientrare da esposizioni in essere per ottenere il finanziamento statale. Nonostante alcuni istituti bancari abbiano pubblicato sui loro siti dei banner che annunciavano: «Puoi chiedere un nuovo finanziamento con credito aggiuntivo, pari ad almeno il 10%, attraverso la rinegoziazione e il consolidamento del debito. Il finanziamento in essere andrà estinto. In questo caso la garanzia dello Stato sarà del 90%». La realtà è diversa. Il rifinanziamento di precedenti posizioni, infatti, non è un obbligo, ma solo una opzione concessa dalla nuova norma. Inoltre, va detto che l'impresa che rinegozia un vecchio debito ottiene liquidità immediata pari a un 10% aggiuntivo di un vecchio prestito (ad esempio, passa da 1 milione a 1,1 milioni di euro). In più riceve una garanzia statale al 90% su tutto il finanziamento, si libera di vecchie garanzie (mobili o immobili) e le tiene pronte per eventuali, future operazioni di credito e paga interessi minori rispetto a prima. Come se non bastasse, la società che ha richiesto il prestito ottiene anche una moratoria di 24 mesi sul precedente affidamento (il che significa che per due anni versa solo interessi). In poche parole, il vantaggio per il cliente è tangibile. Sul fronte bancario, l'istituto, se è vero che porta sotto il paracadute pubblico il vecchio finanziamento rinegoziato (quindi riduce il rischio che corre su quel prestito), rinuncia però a interessi più alti applicati al vecchio prestito e dice addio alla possibilità di incassare il capitale del vecchio affidamento per 24 mesi. Praticamente, non vede soldi (se non gli interessi) per due anni. Sul fronte dell'export si sta invece muovendo la Sace, società del gruppo Cassa depositi e prestiti, specializzata nella protezione degli investimenti. Garantisce i prestiti del decreto liquidità per le grandi aziende e ha diffuso ieri una circolare nella quale spiega le modalità operative concordate con l'Abi guidata da Antonio Patuelli per avere le garanzie. Come si spiega, il rilascio delle garanzie alle banche, già accreditate o che intendono farne richiesta, «avverrà online attraverso il portale dedicato Garanzia Italia sviluppato dalla stessa Sace, dove le banche potranno inserire le proprie richieste e ottenere le relative garanzie richieste, approvate dallo Stato, in tempi brevi».