
L'incontro tra il premier italiano e il generale rilancia Roma sulla crisi libica e spiazza Parigi. Il cessate il fuoco riavvicina Italia e Usa.Attorno a Tripoli si continua a combattere, ma l'attuale stallo politico e militare (con entrambe le parti che rivendicano conquiste) sta spingendo le diplomazie, occidentali e non, coinvolte nel caos libico, a trovare una soluzione per il cessate il fuoco. In prima linea c'è l'Italia, desiderosa di riprendere il controllo di quella cabina di regia sulla Libia che il presidente statunitense, Donald Trump, aveva affidato al premier Giuseppe Conte l'estate scorsa. Che per risolvere la questione libica si debba passare anche, e soprattutto, per Khalifa Haftar è cosa chiara anche al governo italiano. Dall'estate scorsa, infatti, le cose sono cambiate, complici l'ascesa del generale, la fragilità del governo riconosciuto dalla comunità internazionale e guidato da Fayez Al Serraj, l'intervento di diversi Paesi del Golfo tra cui gli Emirati Arabi Uniti e l'Arabia Saudita e l'attivismo della Francia di Emmanuel Macron.Ieri l'uomo forte della Cirenaica, alla ricerca di un canale legale per vendere il petrolio (visto che pur controllando l'80 per cento del territorio del Paese, non ha accesso ai soldi, che passano dalla Banca centrale di Tripoli e dalla compagnia nazionale petrolifera, la Noc), ha incontrato Conte a Palazzo Chigi. Si tratta della prima visita in Europa di Haftar dall'inizio delle ostilità attorno alla capitale libica del 4 aprile scorso. Il generale ha discusso per circa due ore con il premier italiano, che ha spiegato di aver espresso la «preoccupazione dell'Italia». Conte ha ribadito che il nostro Paese «chiede il cessate il fuoco» e che si arrivi a una soluzione «politica». A chi gli chiedeva come Haftar avesse accolto le sue raccomandazioni, Conte si è limitato a rispondere: «È stato un lungo incontro, un lungo scambio di informazioni. Gli ho espresso la posizione del governo. Noi vogliamo il cessate il fuoco e confidiamo nella via politica come unica soluzione».Nelle stesse ore, a Tripoli, l'ambasciatore italiano in Libia, Giuseppe Maria Buccino Grimaldi, incontrava il ministro dell'Interno del governo di accordo nazionale, Fathi Bashaga, uomo forte dell'esecutivo guidato da Serraj. Secondo quanto riporta un comunicato del ministero tripolino, Buccino Grimaldi ha ribadito il sostegno italiano all'esecutivo di Serraj «come governo legittimo e riconosciuto a livello internazionale», aggiungendo che l'Italia «non sostiene l'attacco di Haftar», come «confermato nella dichiarazione congiunta dei ministri degli Esteri dell'Unione europea».Difficile ipotizzare gli sviluppi di questo stallo, che potrebbe sfociare in una tregua così come in un'escalation militare. L'obiettivo dell'Italia, per riprendersi la cabina di regia, è il cessate il fuoco. Cioè l'unico scenario che «proteggerà il petrolio libico», come aveva scritto alcuni giorni fa su Bloomberg Mustafa Sanallah, presidente della compagnia petrolifera statale libica. E della «cooperazione nel settore dell'energia nel contesto dell'attuale situazione di sicurezza», come riferito dall'ambasciata italiana a Tripoli via Twitter, hanno parlato lo stesso Sanallah e Buccino Grimaldi nel loro incontro di mercoledì.Difficilmente Haftar accetterà il cessate il fuoco senza vedersi garantito l'accesso agli introiti del petrolio, seppur stia provando a vendere l'oro nero attraverso un accordo tra la Noc e il gruppo emiratino Sulaco (questa soluzione però violerebbe le risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite). In questo lavoro diplomatico l'Italia sta cercando di tornare a lavorare di concerto con gli Stati Uniti, dopo la svolta pro Haftar di Trump. Ieri mattina, infatti, prima dell'incontro con il generale, il premier Conte ha ricevuto a Palazzo Chigi l'ambasciatore statunitense, Lewis Eisenberg.L'Italia sembra aver battuto sul tempo la Francia, ospitando per prima il generale Haftar, atteso a Parigi per incontrare il presidente Macron soltanto a metà della prossima settimana, come riferito ieri da Le Figaro. Se Roma lavora su Washington, però, Parigi lo fa su Mosca. Ieri il viceministro degli Esteri russo, Mikhail Bogdanov, e l'inviato francese per la Libia, Frederic Desagneaux, si sono visti nella capitale russa per cercare di «porre fine agli scontri armati» a Tripoli. Curioso che la Russia, da sempre al fianco di Haftar, abbia voluto ribadire il sostegno agli sforzi dell'inviato delle Nazioni unite in Libia, Ghassan Salamé.La strada diplomatica appare come l'unica praticabile ora. È sufficiente guardare l'ultima mossa degli Emirati Arabi Uniti, storici alleati del generale: il ministero degli Esteri di Abu Dhabi ha fatto arrivare alla Reuters un commento sull'offensiva di Haftar spiegando che «non ci ha consultato» prima di lanciare l'attacco. Colpa della frenata dell'avanzata di Haftar e del conseguente fallimento del tentativo di forzare la mano alle Nazioni unite.
Elly Schlein (Getty images)
I dem vogliono affondare la riforma Nordio ma dimenticano che alle ultime elezioni politiche assicuravano la creazione di un nuovo «tribunale» disciplinare per i magistrati. Se lo fa il governo, però, è da boicottare.
«Proponiamo di istituire con legge di revisione costituzionale un’Alta corte competente a giudicare le impugnazioni sugli addebiti disciplinari dei magistrati e sulle nomine contestate». La citazione sopra riportata non proviene da un documento elettorale del centrodestra o da un intervento pubblico del guardasigilli Carlo Nordio, bensì dal programma elettorale del Pd alle elezioni politiche del 2022. Eppure, nonostante questo, durante l’approvazione della riforma della giustizia varata dal centrodestra, i dem, contrari al pacchetto di modifiche varato dalla maggioranza, hanno lanciato strali anche contro questo punto, dimenticandosi che era parte del loro programma. «Si vuole costituire una magistratura giudicante e una magistratura requirente come due corpi separati e culturalmente distanti, selezionati da due concorsi diversi, con due Csm distinti e con un’Alta corte disciplinare che risponde a logiche esterne alla magistratura stessa.
Papa Leone XIV (Ansa)
Nel commentare la dichiarazione dei vescovi Usa sull’immigrazione, il pontefice ha ribadito il diritto a controllare i confini. I media francesi hanno omesso il passaggio.
Papa Leone XIV ha risposto ai giornalisti che si trovavano a Castel Gandolfo martedì sera e si è espresso su vari argomenti: la pace in Ucraina, le stragi in Nigeria, i suoi progetti di viaggi apostolici per il 2026 e anche delle sue abitudini quando soggiorna a Villa Barberini. Tra temi trattati c’era anche la gestione dell’immigrazione negli Stati Uniti. Come scritto da Vatican News, il Santo Padre ha commentato la dichiarazione sui migranti pubblicata, giovedì scorso, della Conferenza episcopale statunitense.
Ursula von der Leyen (Ansa)
La Commissione prepara nuove regole per la circolazione rapida (massimo tre giorni) di truppe e cingolati tra i Paesi dello spazio Schengen. Un tempo simbolo di pace...
«Vi sono molte cose che contrassegnano l’Ue e la sua storica integrazione, ma due ne esprimono appieno l’anima: Erasmus e Schengen. È poco responsabile mettere a rischio la libertà di movimento degli europei». Firmato Sergio Mattarella. Correva l’anno 2018 e l’Austria in accordo con la Germania aveva proposto di chiudere il confine con l’Italia per non far arrivare i migranti. Sono passati sette anni e la Commissione europea presenta un regolamento per far viaggiare i carri armati senza frontiere. Schengen doveva essere il simbolo della pace e della libertà e ora diventa la Schengen con le stellette che ci costa malcontati 270 miliardi in dieci anni, in modo che le truppe si muovano liberamente e velocemente.
Sergio Mattarella e Giorgia Meloni (Ansa)
Dalla riforma della giustizia alla politica estera: sono molti i temi su cui premier e capo dello Stato dovranno confrontarsi nei prossimi mesi, malgrado le tensioni.
Come in una qualsiasi relazione, quando si insinua nella coppia lo spettro del tradimento, i rapporti si incrinano e non possono più tornare ad essere come erano prima. Lo tsunami che si è abbattuto sul Quirinale a seguito dello scoop della Verità, rischia di avere gravissime ripercussioni a lungo termine, sui legami tra governo e presidente della Repubblica. E anche se il Colle sminuisce la questione, definendola «ridicola», il consigliere per la Difesa del capo dello Stato, Francesco Saverio Garofani, non solo conferma ma aggiunge particolari che mettono a dir poco in imbarazzo i soggetti coinvolti. E hai voglia a dire che quelle fossero solo battute tra amici. La pezza peggiore del buco.






