
Palazzo Chigi fa l'equilibrista per evitare che l'esecutivo si sfasci. Ribadisce però che non si devia dal contratto gialloblù che parla di «ridiscussione integrale del progetto». Il M5s: stop ai bandi. La proposta del premier: condividere i dubbi con Parigi e con l'Ue.Si muove su un terreno minato Giuseppe Conte: comprende che il dossier Tav può davvero trasformarsi in una mina antiuomo e antigoverno, cioè il perfetto incidente in grado di innescare una crisi dagli esiti imprevedibili. E per il momento, in una conferenza stampa a tratti paradossale, cerca di comprare tempo e di buttare il pallone in avanti. Da un lato, infatti, Matteo Salvini e Luigi Di Maio rassicurano sulla sorte del governo, ma dall'altro nessuno dei due arretra dalle rispettive posizioni sulla linea Torino-Lione. L'altra notte, infatti, non erano bastate cinque ore di vertice (dapprima allargato ai tecnici delle due parti, poi più ristretto e politico) per trovare una soluzione soddisfacente. E così, ieri mattina, Palazzo Chigi ha finito per diffondere una nota da equilibristi (ma a onor del vero più sbilanciata sul lato grillino) parlando di «criticità che impongono un'interlocuzione con gli altri soggetti partecipi del progetto», cioè in primo luogo la Francia, e ammettendo la necessità di «ulteriori incontri non essendoci un accordo finale». Sempre nella mattinata di ieri, l'ambasciatore francese Christian Masset è stato a Palazzo Chigi (non confermato ma probabilissimo un suo incontro diretto con Conte), mentre la ministra francese dei Trasporti, Elisabeth Borne, ai microfoni di Cnews, proseguiva il suo pressing: «Non faremo un tunnel da soli: spero che l'Italia dica sì».Nel primo pomeriggio, Conte è entrato nella parte dello «sminatore», per un verso ricevendo a Palazzo Chigi Mario Virano, direttore generale di Telt, cioè la società italofrancese incaricata dell'opera, e per altro verso convocando una sua conferenza stampa. Un evidente tentativo di mettere una pezza, di provare a distendere il clima, e di rendere plasticamente visibile un'opera di mediazione in corso. Ma prim'ancora che Virano mettesse piede nella sede del governo, Di Maio gettava altra benzina sul fuoco, rimettendo nero su bianco il dissenso dei 5 stelle pure sui bandi e quindi la necessità di uno stop. Peggio: ha pure convocato per le 19 un'assemblea dei parlamentari pentastellati per forzare la mano e far ulteriormente crescere la pressione su premier e alleati.Così, più nei panni di un San Sebastiano che di un «avvocato del popolo», Conte è comparso in conferenza stampa verso le 17.30. Ha tenuto in più passaggi a far sapere che la sua posizione è - allo stato - più negativa che positiva sul progetto, nell'evidente tentativo di rassicurare i 5 stelle. L'esordio del premier è apparso abbastanza surreale: «Un chiarimento preliminare. Vorrei ricordare che non esiste alcuna dichiarazione mia, anche prima di diventare presidente del Consiglio, favorevole o contraria al Tav. Non ho mai preso una posizione. Ho dichiarato da subito di voler affrontare questa questione senza nessun atteggiamento pregiudizievole».Espediente retorico per rendere chiaro il suo metodo: «Non accetterò deviazioni dal percorso che muove dal contratto di governo, che - a proposito del Tav - parla di “ridiscussione integrale del progetto". Quindi», ha proseguito Conte, «il percorso è stato: “Acquisiamo un'analisi costi-benefici, e su questa base decideremo". Come sapete, piaccia o no, quest'analisi è stata compiuta. Ovviamente non siamo avulsi dal dibattito pubblico: ma per noi il punto di riferimento sono gli esperti che sono stati nominati dal ministro Toninelli». E qui Conte ha indossato i panni del telecronista, riassumendo i fatti della sera precedente: «Ieri sera (mercoledì, ndr) fino a tardi siamo stati molte ore, anche con altri esperti, in modo da consentire un dialogo tra loro alla nostra presenza. Uno stress test che è durato molte ore. Mi sono convinto che l'elaborato che ci è stato consegnato realizzi il suo compito, e cioè quello di consegnarci un'analisi plausibile. Poi siamo rimasti noi politici a discutere, perché la decisione finale è tutta politica». Qui Conte, ancora una volta, è sembrato pendere dalla parte di Di Maio: «Io stesso ho manifestato, pur non muovendo da pregiudizi ideologici, forti dubbi e perplessità sulla convenienza di quest'opera infrastrutturale. Allo stato, non sono affatto convinto che questo progetto - concepito dieci anni fa - sia ciò di cui l'Italia ha bisogno». Poi la conclusione politica: «Gli orientamenti politici rimangono tuttora contrapposti: Lega favorevole, M5s contrari. Questo crea oggettivamente uno stallo. Come proseguire? Dobbiamo proseguire alla luce di ciò che è emerso. È doveroso procedere con un'interlocuzione con la Francia e la Commissione europea, per condividere i dubbi con i nostri partner, anche sui criteri di ripartizione delle spese di finanziamento». Resta però - pesante come un macigno - il tema dei bandi, con la scadenza oggettiva di lunedì: «È un tema che stiamo sviscerando in queste ore, e siamo in uno stallo anche qui», ha ammesso Conte. «Dateci tempo fino a lunedì», ha concluso. In sostanza, ancora attesa in un clima politico tesissimo. Così, in serata, si è svolto un ulteriore Consiglio dei ministri, ma - ha tenuto a precisare il premier, per evitare ulteriori guai - senza il tema del Tav all'ordine del giorno. Insomma, l'arbitro Conte ha decretato i tempi supplementari, dopo ben più di 90 minuti di melina. Ma il momento dei calci di rigore inevitabilmente si avvicina. E qualcuno finirà per perdere questa partita, che assomiglia a una gara a eliminazione diretta.
(Ansa)
Il ministero degli Esteri «dal primo gennaio sarà anche un ministero economico». È la riforma della Farnesina spiegata dal titolare del dicastero, Antonio Tajani, ieri a Torino nel corso degli Stati Generali di Forza Italia sul commercio internazionale. «Le nostre ambasciate – ha sottolineato il vicepremier prima di partecipare ai lavori – si dovranno trasformare sempre più in piattaforme per favorire le nostre esportazioni e le nostre imprese. Ho deciso di fare una rivoluzione al ministero degli Esteri. Dal primo gennaio cambierà tutto. Per la prima volta nella storia d’Italia il ministero degli Esteri avrà una testa politica ma anche una testa economica».
«Il ministero – ha spiegato Tajani – diventerà un punto di riferimento per tutti gli imprenditori italiani che lavorano al di là dei confini nazionali. Ho dato disposizione a tutte le ambasciate italiane nel mondo di applicare questo concetto».
«Love Bugs» (TV8)
A vent’anni dal debutto, Love Bugs torna con Brenda Lodigiani e Michele Rosiello: una coppia aggiornata ai tempi dei social, ma ancora alle prese con le piccole banalità quotidiane che definiscono l’amore.
I primi sono stati Fabio De Luigi e Michelle Hunziker, loro i siparietti preceduti da strani miagolii, a quattro zampe su un letto matrimoniale per vincere con una risata la stanchezza della fidanzata. Quando Love Bugs ha debuttato su Italia 1, correva l'anno 2004 e delle dinamiche di coppia, quelle particolari, estranee all'universalità dell'interazione uomo-donna, si sapeva poco e niente. Non c'era Internet, mancava l'imperativo social, con la sua spinta frettolosa a condividere ogni aspetto del proprio privato. Si vedeva, allora, attraverso le parole, le poche che ci si scambiava gli uni di fronte agli altri. E si vedeva attraverso la serialità televisiva, che nel 2004, in Italia, era agli albori.
Nel riquadro, Pierluigi Del Viscovo (IStock)
L’analista Pierluigi Del Viscovo: «A furia di dialogare con la politica, i grandi gruppi si sono illusi di convincere sull’elettrica i clienti. I quali, però, pensano a traffico e parcheggi, non all’inquinamento».
Matteo Piantedosi (Ansa)
Il ministro: «La partita andava giocata, non potevamo cedere al ricatto antisemita».
Chi «Lepore», si fa il centro sociale se lo mangia. Potrebbe essere la morale di un cortocircuito istituzionale provocato dal Sindaco di Bologna che non sapendo come allontanare da sé la responsabilità degli scontri avvenuti venerdì sera prima, durante e dopo la partita di Eurolega di basket tra la Virtus Bologna e il Maccabi di Tel Aviv ha puntato il dito contro il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a cui ha chiesto «almeno 100.000 euro di danni» accusandolo di «irresponsabile gestione dell’ordine pubblico». Puntuale e puntuta è arrivata la risposta del ministro: «I danni? Il sindaco li chieda a chi li ha causati».






