2020-02-26
Conte attacca la Lombardia che lo manda a quel paese. Poi, retromarcia sui tamponi
Giuseppe Conte e Attilio Fontana (Ansa)
Durissimo scontro con il governatore Attilio Fontana che rispedisce al mittente le accuse di «buchi» procedurali. Il premier incassa e fa dietrofront sui test: «Fatti troppi».Un po' una gaffe, un po' una prova di inadeguatezza, un po' un tentativo di scaricare su altri responsabilità innanzitutto proprie. È stato questo mix tossico che, l'altra sera tardi, ha portato Giuseppe Conte, in un intervento televisivo sconsiderato, ad attaccare prima un ospedale («gestione non in linea con i protocolli», con implicito ma chiaro riferimento a Codogno) e poi le Regioni («pronti a contenere le deleghe delle Regioni»). Un doppio clamoroso autogol: anche perché una sortita del genere - di tutta evidenza - risultava stonata rispetto alla richiesta di unità nazionale (peraltro tardiva e interessata) avanzata dal premier e ai suoi elogi della «macchina dei controlli» di poche ore prima. Inevitabile che ieri, per mezza giornata, Conte sia stato bersaglio di risposte durissime e assolutamente motivate. Ecco il governatore lombardo leghista Attilio Fontana: «Idea irricevibile e per certi versi offensiva». E ancora: «Parole in libertà che mi auguro siano state dettate dalla stanchezza e dalla tensione. La Lombardia sta dimostrando di essere all'altezza della situazione e sta gestendo con competenza ciò che sta accadendo. E tutto ciò alla faccia dell'autonomia e dei pieni poteri». Fino alla bordata finale: «Se si mette ad accusare le Regioni, significa che sta seguendo un'altra strategia. È la strategia della disperazione». Altrettanto sonoro lo schiaffo di Giulio Gallera, assessore azzurro a Welfare e Sanità: «Una dichiarazione inaccettabile da una persona ignorante». Di più: «Il problema è che il presidente del Consiglio non conosce i protocolli e getta la palla in tribuna per coprire le falle gigantesche di un sistema di Protezione civile nazionale che non sta dando alcun tipo di risposte ai problemi che avrebbe dovuto prevedere e predisporre. Ormai sta emergendo la totale incapacità del governo di gestire qualcosa che loro dovevano prevedere e veniamo attaccati in maniera ignobile».Già a notte, lunedì sera, Palazzo Chigi aveva provato a ritrattare o almeno a ridimensionare: «Il presidente Conte, come ribadito tutti i giorni, è pienamente soddisfatto del livello di collaborazione sin qui attuato coi presidenti delle regioni interessate». E ieri Conte, dopo la riunione in videoconferenza con i presidenti delle venti Regioni, ha tentato di andare oltre: «Non è il momento delle polemiche. Dobbiamo lavorare. Sono fiducioso perché tutti i presidenti si sono dimostrati disponibili alla collaborazione».Peccato che la riunione di ieri mattina si sia trasformata in una polveriera. Voci e retroscena convergenti riferiscono di un Fontana fiammeggiante in collegamento contro il premier: «Te ne vai dalla D'Urso mentre l'Italia sta in emergenza e hai pure il coraggio di attaccare medici e infermieri». Dopo di che, il governatore della Lombardia si sarebbe staccato dal collegamento, salvo ritornare dopo un'opera diplomatica condotta - pare - da Lorenzo Guerini, ora ministro della Difesa, ma un tempo sindaco di Lodi. Un Conte nervosissimo avrebbe reagito allontanando i tecnici dalla sala. Ma - inutile girarci intorno - è davanti a uno specchio che il premier troverà il responsabile di queste tensioni. E non solo per tutte le sottovalutazioni del mese passato, per l'errore strategico del blocco dei voli diretti (che ha permesso a potenziali infetti di «triangolare» da altri scali), per il pervicace rifiuto delle proposte dell'opposizione (in particolare, l'isolamento generalizzato di chiunque fosse di ritorno dalla Cina). Ma anche per la dissennata gestione mediatica delle ultime 96 ore, con un Conte in maglioncino onnipresente in tv, ansiogeno (anziché portatore di vere rassicurazioni), insicuro (e dunque in cerca di capri espiatori), vanitosamente presenzialista (e dunque massimamente irritante per chi sta nella trincea delle Regioni e dei Comuni). Tornando all'ospedale di Codogno, che Conte non ha nominato in modo esplicito, ma su cui ha chiaramente puntato il dito, anche in questo caso il boomerang di Palazzo Chigi risulta evidente. Basta leggere le due circolari (quella del 22 e quella del 27 gennaio) a cui il personale sanitario doveva attenersi nel momento in cui ebbe a che fare con M., il trentottenne visitato il 18 febbraio e poi ricoverato il 19. Se infatti è vero che i casi sospetti andavano «visitati in un'area separata dagli altri pazienti e ospedalizzati in isolamento in un reparto di malattie infettive, possibilmente in una stanza singola, facendo loro indossare la mascherina chirurgica», è altrettanto vero che M., in quel momento, non rientrava nella categoria. Secondo le circolari, erano da considerarsi «casi sospetti» non tutti i portatori di infezioni respiratorie acute, ma chi avesse una «storia di viaggi o residenza in aree a rischio della Cina, nei 14 giorni precedenti l'insorgenza della sintomatologia», o avesse avuto «contatto stretto con un caso probabile o confermato» di Coronavirus, o avesse «visitato o lavorato in un mercato di animali vivi a Wuhan» o «lavorato o frequentato una struttura sanitaria» con ricoverati per Coronavirus. M. non rientrava in nessuna di queste ipotesi. In prima battuta, interpellato dai medici, aveva solo citato un viaggio a New York. Solo dopo il ricovero, a sua moglie venne in mente una cena con un amico di ritorno dalla Cina (tra l'altro, negativo dopo il test). Morale: ai medici di Codogno sarebbe servita la sfera di cristallo. E l'attacco da parte di Conte appare a maggior ragione ingiusto e politicamente vile. In una conferenza stampa, ieri pomeriggio, il governatore Fontana non ha mancato di ribadire il suo dissenso dal premier: «Ritengo quest'affermazione un errore. L'ospedale di Codogno non ha commesso alcun errore, ha rispettato i protocolli, anzi ha fatto un passo in più. Conte se n'è reso conto».A rendere tutto più surreale, l'ultima giravolta di ieri del premier, che improvvisamente, contraddicendo le sue stesse scelte, si è allineato alle obiezioni della Regione Lombardia e di Walter Ricciardi (Oms), neo consigliere del ministero della Salute e fino a due giorni fa molto duro con il governo: «La prova tampone va fatta solo in alcuni casi circostanziati. Il fatto che negli ultimi giorni si sia esagerato con la prova tampone non corrisponde alle prescrizioni della comunità scientifica». Come se a decidere di operare in senso diverso fosse stato qualcun altro.