2021-05-14
La Consulta si schiera per i «nuovi diritti»
Giancarlo Coraggio (Ansa)
Per il presidente Giancarlo Coraggio il ddl Zan è «opportuno» perché «la tutela delle minoranze è un problema planetario». Sorvola sulle limitazioni alla libertà imposte durante la pandemia, ma pretende di dettare l'agenda alla politica sui temi etici.La missione della Consulta? Farsi carico dei «nuovi diritti». Lo spiega il presidente, Giancarlo Coraggio , che ieri ha tracciato il bilancio dell'attività della Corte nel 2020, dinanzi a Sergio Mattarella, ai presidenti della Camere, a Mario Draghi e al Guardasigilli, nonché suo predecessore, Marta Cartabia. Tra riflessioni su diritto alla salute, leale collaborazione tra Stato e Regioni, tutela del lavoro, il magistrato partenopeo ha voluto infilare quello che ha l'apparenza di un manifesto ideologico. Coraggio vede una Corte chiamata a operare in una fase storica in cui si moltiplicano le «pretese che chiedono di essere ricondotte a diritti fondamentali». E ritiene che essa abbia il compito di definire le «situazioni giuridiche meritevoli di tutela», oltre che di inquadrare «armonicamente nel contesto preesistente» questo «nuovo diritto». Un corpus che andrebbe sancito dal Parlamento, ma che, alla luce dei vuoti legislativi, è la Consulta stessa, la quale «non può rimanere inerte», a produrre. Strano paradosso. Coraggio è lo stesso che, appena insediatosi, dopo mesi di critiche - anche da parte della Cartabia - sui metodi di gestione della pandemia, in odore d'incostituzionalità, sentì il bisogno di commentare così: «Uno dei casi in cui per la Costituzione è possibile la limitazione delle libertà è per la tutela della salute. Non c'è un'incompatibilità assoluta tra questi diritti. Il problema è vedere se in concreto è stato trovato il giusto equilibrio». L'accento, più che su tale fragile equilibrio, che nessuna istituzione di garanzia ha sindacato, cadeva sulla liceità di conculcare le libertà nel nome della sicurezza sanitaria (vera o virtuale). Eccola, la contraddizione: mentre, nella «nuova normalità», i «vecchi» diritti sono andati a farsi benedire, la Corte costituzionale delinea un'agenda traboccante di retorica su quelli «nuovi». L'esito distopico è che, al momento, nessuno ha il diritto di uscire di casa dopo le ore 22. In compenso, può avere il diritto di procacciarsi un bambino all'estero con l'eterologa e, poi, di farlo registrare in Italia come figlio di due mamme.Sarà per questo che, rispondendo a una domanda dei giornalisti sul ddl Zan, Coraggio ha osservato che «una qualche normativa, come c'è in quasi tutti i Paesi del mondo, è opportuna», visto che «la questione della tutela delle minoranze» è addirittura «un problema planetario». Curiosamente, il presidente non ha nulla da dichiarare sul pericolo che quella legge può rappresentare per la libertà d'espressione. Un principio garantito da quella Costituzione che la Consulta dovrebbe tutelare - a differenza della pretesa di sottoporre i ragazzini a corsi gender, o di spedire dietro le sbarre chi considera un abominio l'utero in affitto. Tipo Giuliano Amato, che fu relatore della sentenza con cui la Corte sosteneva che la gestazione per altri «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane». Coraggio, anzi, esalta il metodo che la Consulta ha adottato dal caso Cappato: l'ultimatum al Parlamento. Non a caso, l'ex numero uno del Consiglio di Stato ha deplorato i «moniti inascoltati» al legislatore, celebrando la strategia «della incostituzionalità “prospettata": all'accertamento della contrarietà a Costituzione della norma fa seguito non già la contestuale declaratoria di illegittimità costituzionale, ma il rinvio a una nuova udienza per l'esame del merito, dando tempo così» agli onorevoli «di disciplinare la materia». Sfugge un dettaglio: il compito di una Corte costituzionale è di verificare, ex post, la compatibilità con la Carta fondamentale delle leggi emanate dall'unico organo democratico-rappresentativo della Repubblica. Non di dettargli l'agenda. Né di ideare «nuovi diritti», nel nome della giurisprudenza evolutiva, pretendendo che il Parlamento li cristallizzi in norme, o procedendo autonomamente a consolidarli, a colpi di sentenze creative. Men che meno, sarebbe opportuno che il presidente di un organo di garanzia organizzasse conferenze stampa, in cui pontifica sulle leggi che gli paiono necessarie e sulle emergenze mondiali. Si fatica ad associare, alla solennità di un'istituzione come la Corte costituzionale, questa prodigalità di opinioni prêt-à-porter da parte del suo vertice. Il quale affronta lo scandalo Palamara, condanna - pure giustamente - la «gogna mediatica» per gli indagati, discute di riforma della giustizia, «processi inutili» e, addirittura, si abbandona a un endorsement dei decreti legge per velocizzare i progetti connessi al Recovery fund: «Accusare Draghi di essere antidemocratico mi pare fuori dal mondo, per non parlare di Marta Cartabia, la cui conversione sarebbe davvero impensabile». Ironia della sorte, Coraggio evoca un termine che, invece, descrive molto bene la parabola dell'attuale Guardasigilli. Costei, fino a una decina d'anni fa, nei suoi scritti, i «nuovi diritti» li demoliva senza appello. Alla fine, tuttavia, ha abbracciato la dottrina per cui le corti dovrebbero svolgere «una funzione dinamizzante dell'ordinamento».Sono allora opportune due annotazioni. Primo: non è compito della Corte indirizzare l'attività del Parlamento. La Costituzione le attribuisce, sì, una molteplicità di funzioni, tra le quali, però, non figura l'ultimatum al potere legislativo. Secondo: il silenzio del legislatore, sebbene possa alimentare contese giuridiche, è una scelta ammissibile. Specie sui temi etici, l'assenza di una decisione univoca può rispecchiare, democraticamente, il disaccordo che esiste nella società. La convinzione che su tutto serva una legge è una superstizione. Ma, a differenza del culto dei cornetti e dei ferri di cavallo, è molto pericolosa.
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