2021-05-11
Ddl Zan, sentenze e pressioni. Così si sta preparando la strada all’utero in affitto
La norma sulla omotransfobia e i pronunciamenti della Consulta sono i grimaldelli per introdurre anche in Italia la maternità surrogata, che è vietata dalla Legge 40L’utero in affitto non è lontano. Non così così tanto, almeno. Del resto, se alla manifestazione milanese di sabato dei Sentinelli Marilena Grassadonia, membro della segreteria nazionale di Sinistra italiana già presidente di Famiglie arcobaleno, ha caldeggiato una «stagione dei diritti in cui si parli di Gpa» (gestazione per altri, e cioè appunto utero in affitto, ndr), un motivo c’è. E forse anche più di uno visti gli almeno due ambiti che registrano un percorso di avvicinamento ad una pratica che in Italia, giova ricordarlo, non solo risulta illegale, ma non si può neppure pubblicizzare, pena, stabilisce l’articolo 12 della Legge 40, «la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro».Un primo elemento di approssimazione, per il nostro Paese, all’utero in affitto, è di natura giurisprudenziale. Il riferimento è, qui, alle due sentenze «gemelle» - le 32 e 33 del 9 marzo scorso - con cui la Corte Costituzionale ha invitato il Parlamento a tutelare pienamente i nati dalla procreazione eterologa e utero in affitto all’estero; in particolare, con la sentenza 33 - originata dal caso di un bambino nato all’estero attraverso l’utero in affitto e riconosciuto dalla Corte Suprema della British Columbia, ma non nel nostro Paese, come avente «due papà» - la Consulta ha richiamato la necessità della tutela del minore ottenuto con la maternità surrogata.Un richiamo che non è un esplicito invito, ovvio, a legalizzare l’utero in affitto, ma certo costituisce un incentivo a tale pratica; il che è abbastanza sorprendente in considerazione del fatto che con la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, n. 12193 dell’8 maggio 2019 si è era riconosciuto il divieto maternità surrogata nel nostro ordinamento come tutela, in primis, della dignità della donna, e che due anni prima, nel 2017, era stata la stessa Corte Costituzionale, con la sentenza 272, ad affermare che l’utero in affitto «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane». Parole richiamate, beninteso, anche nelle sentenza di marzo che però, come si è detto, vanno in una direzione eticamente insidiosa. E questo è il versante giurisprudenziale. Un secondo piano che vede lo sdoganamento dell’utero in affitto come sempre meno lontano è poi politico. Infatti, è vero che il centrodestra ha presentato iniziative legislative contro tale pratica - la prima è stato un ddl del senatore della Lega Simone Pillon contro il turismo procreativo, che prevede il divieto assoluto di trascrizione di atti di nascita da parte di genitori non biologici, seguito da quello di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni per rendere l’utero in affitto reato universale -, ma la sinistra non è stata a guardare. Anzi, è notizia giusto del mese scorso l’iniziativa pro «gravidanza solidale» a firma degli onorevoli Guia Termini, Doriana Sarli, Riccardo Magi, Nicola Fratoianni ed Elisa Siragusa, che hanno depositato in Parlamento un elaborato dell’associazione Luca Coscioni e Certi Diritti. Lo scopo di tale progetto è quello di consentire l’utero in affitto purché gratuito, e cioè una «gravidanza solidale», appunto. L’idea sembra quindi esser quella di ripercorrere le orme del Regno Unito, dove la cosiddetta gestazione per altri è sì consentita ma solo accompagnata da rimborsi spese.Peccato che, come scritto dalla femminista Julie Bindel sul londinese Evening Standard nell’ottobre 2020 «in Gran Bretagna una madre surrogata può richiedere fino a 15.000 sterline di rimborsi spese, che equivalgono allo stipendio annuale per molte donne con un lavoro a bassa retribuzione». Ne consegue come «gravidanza solidale» sappia molto di stratagemma per spianare la strada alla mercificazione del grembo materno e del nascituro pur chiamando, semplicemente, le cose in modo diverso. Ma torniamo all’utero in affitto e all’iter che la politica sta portando avanti per riconoscerlo.In aggiunta al citato disegno di legge della sinistra per introdurre la pratica purché «in forma gratuita», un ruolo di primo piano lo occupa senza dubbio l’ormai celebre disegno di legge di Alessandro Zan. Perché se, da un lato, è di certo vero che nei dieci articoli del testo già approvato in prima lettura alla Camera lo scorso novembre di utero in affitto non si parla minimamente, dall’altro ogni legge produce, va da sé, delle conseguenze. E si dà il caso che la norma contro l’omobitransfobia spianerebbe la strada all’utero in affitto sotto almeno due versanti.Il primo è quello del reato d’opinione fondato sul «genere» e sull’«orientamento sessuale»: se si rischierà una denuncia per istigazione all’odio nella misura in cui si negherà il titolo di famiglia a «due papà» diventati tali con l’utero in affitto, è evidente che l’opposizione alla maternità surrogata diventerà prerogativa di pochi temerari. In seconda battuta, le iniziative di sensibilizzazione - dentro e fuori le scuole - previste dal ddl Zan all’articolo 7, finiranno proprio col normalizzare i contesti familiari venutisi a comporre con la maternità surrogata. Ecco che allora, con la legge contro l’omotransfobia vigente, quello che oggi appare ancora un tema molto spinoso - la legalizzazione dell’utero in affitto, appunto -, nel giro di un paio di anni diventerebbe un passaggio quasi naturale per l’ordinamento giuridico del nostro Paese, alla luce della «mutata sensibilità» che verrebbe a crearsi. Purtroppo la Grassadonia e chi dice che il ddl Zan «è solo l’inizio» ha, quindi, ragione da vendere.