2023-10-11
Consulta da matti su siero e smart working
Secondo i giudici costituzionali «non è irragionevole» aver imposto l’obbligo di vaccinazione anche agli impiegati amministrativi degli ospedali che lavoravano da casa. La denuncia era partita da una donna sospesa pur non avendo contatti con medici e pazienti.La Corte costituzionale torna a stupire. Lunedì 9 ottobre la Consulta ha depositato una sentenza (per la cronaca, la numero 186) con la quale ha stabilito che, contro il Covid, non è stata «irragionevole» la scelta di vietare il lavoro «da remoto» degli impiegati amministrativi delle aziende socio-sanitarie non in regola con le vaccinazioni.La vicenda risale al 31 dicembre 2021, quando una dipendente amministrativa dell’Ospedale di Brescia era stata sospesa dal lavoro - e anche dallo stipendio - in quanto «non vaccinata contro il Covid». La donna si era rivolta al Tribunale del lavoro e aveva contestato sospensione e sanzione perché era stata impiegata in uno stabile diverso da quello dell’ospedale, ma soprattutto perché dal 20 settembre 2021 lavorava in «smart working». Nel novembre 2022, dopo qualche udienza, il Tribunale aveva sospeso il processo e - ipotizzando l’incostituzionalità delle norme in base alle quali l’Ospedale aveva deciso la sospensione della donna - le aveva sottoposte al vaglio della Consulta. Che si è trovata così a dover valutare i due successivi decreti legge contro la pandemia che il governo di Mario Draghi aveva varato a fine marzo e a metà novembre del 2021, e che poi erano stati convertiti in legge dal Parlamento tra il maggio 2021 e il gennaio 2022. Il secondo dei due decreti, in particolare, aveva stabilito la vaccinazione come «requisito essenziale» per il personale che «a qualsiasi titolo svolge la propria attività lavorativa» nelle aziende sanitarie: quindi anche per i dipendenti in «smart working», che non avevano alcun contatto con i pazienti. Il Tribunale di Brescia aveva segnalato alla Consulta due apparenti motivi di incostituzionalità. Il primo riguardava «la disparità di trattamento» riservata ai dipendenti interni di una struttura sanitaria, obbligati a vaccinarsi, mentre i decreti non avevano imposto alcun obbligo agli addetti che vi operavano con contratti esterni: per esempio gli addetti alle pulizie, o gli addetti alla mensa. Il secondo motivo, se possibile ancora più forte, derivava dalla «irragionevolezza dell’indiscriminata imposizione dell’obbligo (di vaccinazione, ndr), a prescindere dalle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa». È più che evidente, infatti, che se il vaccino contro il Covid nel 2021 doveva servire a evitare il contagio tra gli addetti ospedalieri e i pazienti, la stessa imposizione non aveva alcun senso per chi – lavorando a distanza, via computer – non poteva avere alcun contatto fisico, e quindi non poteva né contagiare né essere contagiato.Ci sono voluti quasi due anni per leggere le motivazioni con cui la Consulta ha deciso di rigettare la segnalazione del Tribunale di Brescia, respingendo entrambe le ipotesi d’incostituzionalità. Ma la sentenza, va detto, non convince. Sul primo punto la Corte, di fatto, non prende posizione, e si limita a sostenere che il Tribunale di Brescia non avrebbe adeguatamente motivato il suo ricorso (che invece sembra chiarissimo). Sul secondo punto, e cioè l’evidente irragionevolezza d’imporre un vaccino a chi non opera fisicamente in un ospedale, ma lavora «da remoto», la Consulta scrive che «nella gestione dell’emergenza sanitaria, il legislatore […] ha operato una chiara scelta favorevole a una diffusa vaccinazione». E quindi giustifica l’inasprimento sanzionatorio deciso dal governo Draghi nel novembre 2021, quando il secondo decreto vieta anche il lavoro da remoto: «A seguito dell’aggravarsi della situazione sanitaria», scrivono i giudici costituzionali, «il legislatore è addivenuto a una scelta più radicale, che meglio consentisse di far fronte all’evolversi della pandemia, assicurando una tempestiva e uniforme attuazione dell’obbligo vaccinale e un più semplice e lineare esercizio dei controlli».Ma tra la fine di marzo 2021 (data del primo decreto sanitario) e il 17 novembre 2021 (data del secondo decreto) la situazione sanitaria non si era affatto aggravata. Il 31 marzo 2021, in tutta Italia, gli infettati da Covid ricoverati erano 29.180, ed erano 3.710 quelli in terapia intensiva. Il 17 novembre, invece, i ricoverati erano scesi a 4.060, e soltanto 486 si trovavano in terapia intensiva. Del resto, se davvero la situazione si fosse «aggravata» tra marzo e novembre, questo avrebbe inequivocabilmente dimostrato l’inefficacia della vaccinazione.L’avvocato milanese Stefano De Bosio, difensore di un notevole numero di sanitari colpiti da sanzioni per il rifiuto di vaccinarsi, sostiene che «il divieto di lavoro da remoto resta una vessazione indifendibile» e critica la sentenza: «È la drammatica prova», dice, «che questa Corte costituzionale non garantisce più le libertà fondamentali, ma la coercizione senza limiti».Che cosa accadrà, ora? Il Tribunale di Brescia dovrebbe riprendere il processo sospeso e decidere sul ricorso presentato dalla dipendente contro la sospensione dello stipendio decisa dall’Ospedale. Il Tribunale potrebbe anche tornare a sottoporre alla Corte costituzionale la questione relativa all’ingiusto, diseguale trattamento riservato dai decreti Draghi ai dipendenti di un’azienda sanitaria e ai suoi collaboratori esterni, ai quali è stato permesso di lavorare in un ospedale anche se non vaccinati, e soltanto perché assunti da una ditta appaltatrice esterna. Dopo tutto, la Consulta non ha bocciato la questione: l’ha solo respinta, in quanto non sufficientemente motivata.