2023-06-25
Il tempismo sospetto della Consulta rischia di scassare i conti al governo
Il richiamo sui ritardi nel pagamento del Tfs ai dipendenti statali impone di trovare 14 miliardi. Mentre si tratta il patto di stabilità con l’Ue e si cerca di tappare i buchi di Mario Draghi. Segnali in vista della nomina di sei giudici?La questione pende da una ventina d’anni. Ma il richiamo della Corte costituzionale è arrivato venerdì scorso: basta ritardi nel pagamento della liquidazione ai dipendenti statali, differire la corresponsione dei trattamenti di fine servizio a chi va in pensione per raggiunti limiti di età o di servizio rappresenta una «lesione delle garanzie costituzionali» del lavoratore. Per questo è «indefettibile» e «prioritario» un intervento riformatore del Parlamento perché rimuova questo «vulnus». Certo, già in passato la Corte aveva rivolto un analogo monito alle Camere rimasto inascoltato. Stavolta però avverte: «non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa» sui «gravi problemi» segnalati.Il pagamento a scoppio ritardato del trattamento di fine servizio (Tfs) agli statali è una grossa grana per il governo Meloni che, come ha scritto ieri Il Messaggero, dovrà trovare 14 miliardi per dare corso alla decisione dei giudici (in attesa dell’assegno ci sono 1,6 milioni di pensionati). Una cifra che non sarà facile recuperare nelle pieghe del bilancio ma che va comunque reperita. Gli effetti per lo Stato li aveva calcolati a maggio l’allora presidente dell’Inps, Pasquale Tridico: «Il costo di 14-15 miliardi è alla portata dell’Istituto», aveva detto proprio con riferimento all’ipotesi che la Consulta dichiarasse illegittimo il differimento. Il problema per Palazzo Chigi è che i margini di azione sono limitati perché i soldi vanno trovati proprio mentre si sta trattando con l’Unione europea sulla riforma del patto di stabilità - per rispettare i nuovi vincoli dal 2024 servirebbe una manovra tra i 7 e i 15 miliardi - e mentre si fa i conti con almeno 7 miliardi di «buco» lasciato dall’extragettito del governo Draghi. Anche per questo il tempismo della Consulta è parso sospetto a qualche osservatore, memore di alcune interviste recenti.Come quella della presidente della Corte costituzionale, Silvana Sciarra, che a La Repubblica lo scorso 18 giugno ha ricordato il principio di autonomia della magistratura e ribadito la supremazia del diritto comunitario su quello nazionale. O come quella, sempre su Repubblica, del presidente emerito della Consulta, Giuliano Amato, che l’8 giugno ha amplificato la grancassa della sinistra sulle manovre della destra per cambiare tra l’autunno e il prossimo anno 6 giudici della Consulta e relativi equilibri interni (copione che per i dem diventa inaccettabile solo quando viene seguito dagli avversari). Amato ha chiesto a Giorgia Meloni di rompere con Viktor Orbán dichiarando di vedere «tracce di una fragilità crescente della democrazia nel nostro Paese» e «un timore precostituito legato alle origini fasciste di buona parte di questa destra». Preoccupazioni alimentate pure da Romano Prodi con un’intervista a La Stampa, seguita da una lettera di conferma, sull’«aumento di autoritarismo del governo». Ora arriva il richiamo. Nel mirino c’è l’articolo 3 comma 2 del dl n. 79 del 1997- che ha introdotto un termine dilatorio di un anno per la corresponsione della liquidazione - e l’articolo 12, comma 7, del Dl n. 78 del 2010, che ha invece previsto la rateizzazione del Tfs. I dubbi di costituzionalità erano stati sollevati dal Tar del Lazio e per la Consulta sono fondati. Tuttavia le questioni sollevate sono state giudicate inammissibili perché il modo con cui superare questa ferita attiene alla discrezionalità del legislatore, considerato «il rilevante impatto in termini di provvista di cassa che il superamento del differimento comporta». Spetta dunque al Parlamento stabilire mezzi e le modalità di attuazione di una riforma che tenga conto anche degli impegni assunti nell’ambito della precedente programmazione economico-finanziaria e assicuri una «gradualità» di intervento, magari partendo dai «trattamenti meno elevati per estendersi via via agli altri». Rinviare il pagamento della liquidazione - spiega la Consulta nella sentenza n. 130 redatta dalla giudice Maria Rosaria San Giorgio - contrasta con «il principio costituzionale della giusta retribuzione», di cui tali prestazioni costituiscono una componente; principio che si sostanzia «non solo nella congruità dell’ammontare corrisposto, ma anche nella tempestività della erogazione». Si tratta di «un emolumento volto a sopperire alle peculiari esigenze del lavoratore in una particolare e più vulnerabile stagione della esistenza umana», nota la Corte. E la disciplina del pagamento rateale delle indennità di fine servizio, nonostante preveda temperamenti a favore dei beneficiari dei trattamenti meno elevati, in quanto combinata con il differimento «finisce per aggravare il rilevato vulnus».
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson