
Il Consiglio ha ritenuto legittimo l'interrogatorio a Filippo Vannoni e non ha ravvisato interferenze con la Procura di Roma: crolla la teoria del complotto. Il pm ha avuto una censura, ma solo per aver parlato a «Repubblica». Henry John Woodcock non ha commesso irregolarità durante l'indagine Consip. Nemmeno il Consiglio superiore della magistratura presieduto dal renzianissimo David Ermini è riuscito a dimostrare il contrario. Ieri il Csm ha emesso la sentenza disciplinare sui pm di Napoli Woodcock e Celestina Carrano, entrambi assolti dall'accusa più grave - inserita nel capo A - quella di non aver iscritto nel registro degli indagati Filippo Vannoni ed averlo interrogato come persona informata sui fatti. Secondo i renziani quello di sentire come testimone Vannoni, senza avvocato difensore e con l'obbligo di dire la verità, era stato un colpo basso, una furbizia procedurale per metterlo in difficoltà e fargli confessare cose mai successe, come le spifferate dell'ex ministro Luca Lotti sull'indagine in corso. Ma i consiglieri del parlamentino delle toghe non si sono dimostrate del medesimo avviso. Per il cinquantunenne magistrato anglonapoletano è caduta anche l'accusa di aver tenuto un comportamento scorretto nei confronti dei colleghi romani. È stato, invece, condannato per le sue dichiarazioni riportate in un articolo di Repubblica.Più che un procedimento disciplinare è stato un processo biblico, dato che le arringhe difensive sono durate complessivamente più di 10 ore e che alla sezione disciplinare del Csm sono servite 13 udienze per condannare parzialmente Woodcock. Però non bisogna dimenticare che lo scorso luglio si sono svolte le elezioni per il rinnovo dei componenti di Palazzo dei Marescialli e soprattutto la delicatezza della vicenda Woodcock-Carrano. Binomio strettamente legato a un processo penale in corso a Roma: il caso Consip (sette persone sono state rinviate a giudizio lo scorso 14 dicembre), che conta tra gli imputati Lotti, ma anche i generali dei carabinieri Tullio Del Sette ed Emanuele Saltalamacchia, oltre lo stesso Vannoni. Per Tiziano Renzi è stata invece chiesta l'archiviazione. L'interrogatorio a Napoli in veste di persona informata sui fatti di Filippo Vannoni (a processo con l'accusa di favoreggiamento), già consigliere della presidenza del Consiglio durante il governo Renzi e il presunto danneggiamento del lavoro dei pm romani erano il vero cuore della vicenda disciplinare. Perché se fosse stata sancita la scorrettezza di Woodcock, in pochi minuti il Giglio magico avrebbe iniziato a rigridare al complotto.Ieri, prima della camera di consiglio durata tre ore da cui si è evinto il disaccordo tra i consiglieri, ha preso la parola per delle brevi repliche il sostituto procuratore generale della Cassazione, Mario Fresa: «Confesso che la tesi difensiva sembra appartenere alla “metagiustizia", a differenza di quella della procura generale della Cassazione che si basa su precedenti giurisprudenziali delle sezioni unite». Di parere opposto Marcello Maddalena, ex procuratore di Torino e difensore di Woodcock: «È una persona sentita come testimone (Vannoni, ndr) che aveva interesse a mentire e che ora è imputato nel procedimento di Roma. Sembra che ci si dolga per un teste che inguaia un'altra persona (Lotti, ndr). Mica sapevano (Woodcock e Carrano, ndr) che il Vannoni avrebbe parlato di Lotti». La sentenza dunque spazza via i dubbi sulla correttezza dell'operato, dal punto di vista procedurale, dei magistrati napoletani. Il collegio giudicante, presieduto da Fulvio Gigliotti (consigliere laico in quota M5s), ha dunque accolto quasi in toto la versione difensiva.Evaporato il primo capo di incolpazione è rimasto in piedi il secondo, quello che ha configurato la censura. Riguarda l'articolo di Repubblica firmato da Liana Milella del 13 aprile 2107. «Un colloquio», come ha detto Woodcock poco prima della sentenza, «che sarebbe dovuto rimanere salottiero». Infatti l'ha ricordato anche Marcello Maddalena nella precedente udienza: «Milella è venuta meno alla promessa di mantenere quel colloquio segreto». E ancora: «Sono stato tradito, ingannato». Una fuga di notizie che secondo i sei consiglieri - Fulvio Gigliotti, Filippo Donati (laico in quota M5s), Piercamillo Davigo (togato di Autonomia e indipendenza), Marco Mancinetti (magistrato iscritto ad Unicost, frangia centrista), Corrado Cartoni (appartenente alla fazione conservatrice di Magistratura indipendente) e Giuseppe Cascini (Area, sindacato di sinistra delle toghe) - vale la condanna di Woodcock per aver «tenuto un comportamento gravemente scorretto nei confronti del procuratore della Repubblica di Napoli, Nunzio Fragliasso». Quest'ultimo, che di fronte al Csm sul suo sottoposto in un'udienza precedente ha dichiarato: «Un collega che stimo e apprezzo professionalmente, al quale riconosco una grande correttezza». Per Woodcock è caduta anche l'accusa del capo C, cioè «l'aver commesso una grave scorrettezza nei confronti dei magistrati della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma». Coi i quali a suo dire «c'è un rapporto di stima reciproca». Dopo la pronuncia dei consiglieri il sostituto procuratore generale della Cassazione Mario Fresa ha commentato: «Attendiamo le motivazioni della sentenza, ma le assoluzioni sul capo A non ci soddisfano». Resta il fatto che Woodcock, nell'ambito dell'inchiesta Consip, ha commesso un solo errore. Parlare con Repubblica.
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